“A Roma – denuncia l’ex assessore all'Urbanistica della Giunta di Virginia Raggi – si sta consumando il più grande scempio del patrimonio esistente della sua storia moderna. Per cinque lunghi anni Zingaretti ha favorito gli interessi della speculazione edilizia. Avesse speso qualche idea per la tutela dell’ambiente e delle città, non sarebbe nella posizione di stallo sancita dal voto regionale”.
|
micromega Paolo Berdini*
L’anatra, anche se zoppa, vive in ambienti naturali e – spesso – tutelati. Avesse speso qualche idea per la tutela dell’ambiente e delle città, Zingaretti non sarebbe nella posizione di stallo sancita dalle elezioni regionali.
Se è infatti vero che il presidente della regione Lazio è l’unico esponente PD in controtendenza rispetto ad un partito sconfitto e privo di idee, è altresì vero che per cinque lunghi anni non ha voluto promuovere una visione delle città e dell’ambiente come uniche prospettive per uscire dalla crisi, limitandosi ad una modesta politica a favore degli interessi della speculazione edilizia.
Il bilancio è sotto gli occhi di tutti. Il piano paesaggistico regionale e i piani di assetto dei parchi regionali – provvedimenti da tempo conclusi nella parte tecnica – non sono stati portati in approvazione per una deliberata scelta politica. Di contro, tutti i provvedimenti normativi richiesti dalla famelica lobby del mattone sono stati approvati senza tener conto degli avvertimenti del mondo della cultura. Avvertimenti che, puntualmente, si stanno avverando uno dopo l’altro.
A Roma si sta consumando il più grande scempio del patrimonio esistente della sua storia moderna. Più di venti villini signorili costruiti nei primi decenni del secolo scorso che davano qualità ai quartieri Trieste, Nomentano e Parioli, le zone centrali più qualificate di Roma, sono a rischio di demolizione. La responsabilità sta nel “piano casa” che Zingaretti ha ereditato dall’amministrazione di Renata Polverini riuscendo nel difficile compito di peggiorarlo. Chiunque può demolire e ricostruire gioielli della storia urbana beneficiando di un aumento di cubatura medio del 30%. Il complesso sforzo di rimettere in moto l’economia urbana ridotto a vergognose speculazioni!
Ma Zingaretti ha fatto di peggio. Il piano casa era pur sempre un provvedimento a tempo e consentiva ai comuni di escluderne dall’applicazione automatica le zone più delicate dal punto di vista estetico e storico. Sono poche le città che lo hanno fatto e Roma brilla per la sua assenza, ma almeno dal punto di vista procedurale si poteva correre ai ripari. Nel luglio 2017, a pochi mesi dalla scadenza elettorale, il consiglio regionale del Lazio ha votato una legge indecente che è stata gabellata come “rigenerazione urbana”. All’articolo 6 si prevede che si possano sempre demolire e ricostruire edifici con un premio di cubatura del 20% senza che i comuni possano minimamente interferire. Peggio del piano casa, dunque.
L’affronto alla storia delle città viene poi esteso a tutte le aree agricole dove si possono sempre realizzare alberghi, aree sportive e cliniche sanitarie.
Zingaretti ha creduto che con queste leggi avrebbe guadagnato consensi. Oggi non ha i numeri per governare e c’è soltanto da sperare che sia capace di trovare quei preziosi voti operando una profonda revisione critica dei paradigmi su cui ha basato il futuro del Lazio orientandoli verso il recupero del patrimonio edilizio esistente e sulla salvaguardia dell’ambiente.
* ex assessore all'Urbanistica della Giunta di Virginia Raggi
* * *
LA RIGENERAZIONE POCO URBANA DEL PIANO CASA DI ZINGARETTI
da il Manifesto, 28 marzo 2018
Un delitto perfetto che le consegna agli interessi del settore privato.
La parola magica che consente tale operazione si chiama Rigenerazione urbana, sotto la quale si maschera una vera e propria aggressione speculativa ai danni dei maggiori centri italiani: da Roma, a Firenze, a Venezia, fino ai comuni dell’Emilia Romagna.
E’ sufficiente considerare degradati edifici o pezzi di città per abbatterli e sostituirli con costruzioni nuove di zecca, facendo guadagnare rendite ingiustificate a proprietari e costruttori.
Un capolavoro semantico e politico perché all’espressione rigenerazione urbana, o semplicemente rigenerazione, è facile attribuire un significato positivo: di rinascita, di valorizzazione di quanto è obsoleto, di rinnovamento. Invece si tratta di tutt’altro, anzi del contrario.
Con l’alibi della limitazione di consumo di suolo, si ricorre a una parola d’ordine utile ad acquistare facili consensi, una parola grimaldello con la quale si decreta, in realtà, la morte dell’urbanistica e del governo del territorio.
Oggi la rigenerazione rimbalza dalla legge della Regione Lazio a quella dell’Emilia Romagna, un tempo manuale esemplare di pianificazione urbanistica in tutta l’Europa (Piano Cervellati per il centro storico di Bologna).
Fra le pieghe della rigenerazione urbana si nascondono pratiche assai diverse tra loro: opere di demolizione e ricostruzione di singoli edifici (con annesso premio di cubatura) fino a interventi che riguardano aree dismesse e abbandonate, che è possibile realizzare anche con un semplice accordo tra privati e Comune in deroga agli strumenti urbanistici vigenti; giustificando tali procedure per forzare la presunta rigidità degli strumenti urbanistici e rilanciare il settore dell’edilizia per far “ripartire il Paese”.
Com’è possibile che questa vera e propria delegittimazione di tutte le regole urbanistiche stia dilagando da una parte all’altra nel nostro paese?
L’espressione rigenerazione urbana viene introdotta nell’ambito del Piano Casa, più precisamente nella ”Intesa tra Stato e Regioni” dell’aprile 2009, in pieno governo Berlusconi.
Dopo il quale era compito delle Regioni emanare proprie leggi per dare corso all’accordo.
Nella Regione Lazio il centro destra di Renata Polverini peggiora il testo ampliando le possibilità di intervento dei privati già previste dall’Intesa Stato-Regioni.
Zingaretti recupera il berlusconiano Piano Casa della Polverini (a parte la modifica di alcuni articoli a rischio di incostituzionalità che vengono abrogati) e lo proroga fino al giugno 2017.
Non solo, sempre nel 2017, lo trasforma nella legge sostitutiva Norme per la rigenerazione urbana e il recupero edilizio.
Dunque, in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi comunali vigenti o adottati, sono consentiti interventi di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione, con ampliamento della volumetria o della superficie utile esistente.
Cosa è successo dal 2009 al 2017 e ancora oggi?
Per i provvedimenti in itinere (quanti? nessuno lo sa) i cittadini non potranno porre alcuna obiezione né alle demolizioni/ricostruzioni né agli aumenti di cubatura favoriti dal Piano Casa e neppure ai cambi di destinazione d’uso dei privati in possesso dei requisiti previsti.
Non dappertutto naturalmente, ma solo in quelle aree che non sono soggette a tutela da parte del Piano Territoriale Paesaggistico Regionale, e i Villini del quartiere Coppedé di Roma – un capolavoro architettonico del Liberty italiano – non lo sono.
Così sempre i Villini non sono soggetti a tutela dal Piano Regolatore.
Sembrerebbe un paradosso ma non lo è. In sintesi la manomissione dei Villini è stata resa possibile dal Piano Casa della giunta Polverini ed è continuato con quello di Zingaretti.
E non sappiamo ancora quante altre demolizioni previste sconvolgeranno il tessuto della Capitale, come ha denunciato anche l’Associazione Carte in Regola.
Ancora una volta tocchiamo con mano come i così detti governi di centro-sinistra, a livello locale-regionale quanto a livello centrale, perseguano obiettivi che poco hanno a che fare con l’interesse collettivo, ma ricerchino genericamente consensi senza una visione generale, in questo caso senza un’idea di città.
Roma e il Lazio sono un laboratorio ideale anche per capire perché gli elettori abbandonino quel fronte politico.
Mentre occorrerebbe mettere mano alle tante degradate periferie e rigenerarle, anche sotto il profilo sociale, la giunta Zingaretti lascia mani libere alla speculazione che abbatte i villini Liberty.
Come faceva Vito Ciancimino negli anni ’60, nel centro storico di Palermo.
Enzo Scandurra, Piero Bevilacqua, Velio Abati, Ilaria Agostini, Alberto Asor Rosa,Carla Maria Amici, Anna Angelucci, Giuseppe Aragno, Giovanni Attili, Massimo Baldacci, Alessandro Bianchi, Franco Blandi, Vittorio Boarini, Ilaria Boniburini, Paola Bonora, Roberto Budini Gattai, Giovanni Carosotti, Antonio Castronovi, Carlo Cellamare, Giancarlo Consonni, Vezio De Lucia,Lidia Decandia, Piero Di Siena, Tiziana Drago, Paolo Favilli, Alfonso Gambardella, Maria Pia Guermandi, Rossella Latempa, Cristina Lavinio, Walter Lorenzoni, Laura Marchetti, Ignazio Masulli, Tomaso Montanari, Gaia Pallottino, Tonino Perna, Eddy Salzano, Battista Sangineto, Salvatore Settis, Francesco Santopolo, Lucinia Speciale, Graziella Tonon, Francesco Trane, Gianni Vacchelli, Luigi Vavalà, Alberto Ziparo
(28 marzo 2018)
Nessun commento:
Posta un commento