Una possibile lettura del voto del 4 Marzo
passa lungo il nesso nazionale-sovranazionale, per usare il lessico
gramsciano. È per noi l'asse nazionale-europeo-eurozona. L'articolazione
reale del nesso non è univoca e non è neutra, ovviamente. Ha precisi
segni di classe: beneficia o colpisce i diversi interessi economici e
sociali.
Il variegato insieme dell'export ha votato per il Pd+Europa, per Forza Italia nella sua ultima incarnazione merkeliana e, nelle sue esigue frange "Erasmus", per Liberi e Uguali e finanche, la parte più scapigliata, per Potere al Popolo. È l'insieme cosmopolita che vive nei centri delle città e nelle periferie storiche gentrificate (a Roma, per es., il Pigneto è trendy).
L'orda della domanda interna da decenni soffocata ha scelto, nel Mezzogiorno, in prevalenza M5S e, soprattutto al Nord, la Lega di Salvini e l'appendice di Fratelli d'Italia. Vive nelle periferie, nelle fasce sub-urbane, nelle aree rurali.
I migranti, gli ultimi, entrano in gioco come capro espiatorio dello spiaggiamento delle classi medie e del popolo delle periferie, ma alla base del consenso a Salvini c'è la sofferenza economica e sociale, vissuta o temuta.
Il problema per il Pd+Europa, FI e residui di sinistra diversamente collocata è che, nonostante la propaganda di Renzi e Gentiloni ("l'Italia riparte", il "milione di posti di lavoro"), i beneficiari della consolidata declinazione del nesso nazionale-Europa-eurozona sono, in Italia, dati i nostri "fondamentali", soltanto un terzo dell'economia (poco più della quota di Pil da export).
Il problema ulteriore è che, nell'ultimo quarto di secolo, sono stati pesantemente ridimensionati i principali canali redistributivi verso gli interessi connessi alla domanda interna: dai contratti nazionali di lavoro, alla fiscalità generale, al welfare. Quindi, è un'area elettorale che non può essere, per ragioni strutturali, maggioranza, anche fosse unita in Parlamento.
L'insieme degli interessi legati alla domanda interna è, invece, larga maggioranza, ma divergente nella ri-declinazione del nesso nazionale-europeo-eurozona. Lega e FdI sono orientati verso il trumpismo, ossia chiusura doganale e liberismo domestico.
Il M5S si presenta chiaramente in alternativa al nesso europeo consolidato (sono stati etichettati dall'inizio come "populisti anti-sistema", quindi "anti-europei"), ma è senza una linea chiara sul che fare (significativa la risposta "non so" dell'on Castelli alla domanda su come avrebbe votato al referendum sull'euro proposto da Di Maio).
In tale quadro strutturale, la marginalità di Liberi e Uguali deriva dalla sua ambiguità costitutiva: uno sconosciuto programma formalmente keynesiano imperniato sulla rivitalizzazione dello Stato nazionale, ma introdotto da una vuota retorica sul "popolo unico europeo" e portato avanti da classi dirigenti segnate dall'europeismo liberista de L'Ulivo (affrante quando Prodi e Letta dichiarano il loro voto ai cespugli del Pd).
Allora che fare? Per rispondere alla domanda, è necessario affrontare il quesito di fondo, comune a tutte le sinistre europee: chi vuole rappresentare Liberi e Uguali? E il Pd? Il M5S come prova a ridefinire il nesso europeo? Piega verso Salvini, oppure il Pd offre una sponda?
Se vogliamo provare a rappresentare "gli esclusi", gli interessi legati alla domanda interna in chiave progressiva, quindi in alternativa alla Lega e FdI, in collaborazione/competizione con il M5S e in dialettica costruttiva con il Pd dobbiamo abbandonare l'europeismo liberista e scegliere la rotta, difficilissima dati i vincoli e i mercati sovranazionali, del patriottismo costituzionale e quindi dell'europeismo costituzionale, ossia un europeismo che rivendica il primato dei nostri principi costituzionali sui principi liberisti dei Trattati europei (l'abbiamo scritto tante volte qui su HuffPost).
Qui e ora, la prima conseguenza sarebbe la disponibilità al confronto con il M5S, consapevoli delle nostre modestissime forze.
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