mercoledì 16 agosto 2017

Verità e Giustizia per Giulio Regeni. L'ambasciatore torna al Cairo per realpolitik: l'Italia deve ricucire con al Sisi se vuole un'intesa con Haftar sui migranti.

Risultati immagini per Giulio RegeniFonti diplomatiche all'HuffPost: "Per raggiungere un patto con il generale (Libico) bisogna passare dal suo protettore egiziano".

...La famiglia Regeni ha definito la decisione preferragostana presa dal Governo come una "resa incondizionata" dell'Italia. Più che una resa è un "baratto". La mancata verità per sancire un patto con Haftar favorito da al-Sisi. Più che una resa, è la vergogna della "realpolitik".


La verità è nella realpolitik più ancora che negli affari. Giustizia e verità su Giulio Regeni non sarà mai ottenuta, né il rientro dell'ambasciatore italiano al Cairo contribuirà a dare volti e nomi ai mandanti e agli esecutori del rapimento e del brutale assassinio del giovane ricercatore friulano. Solo facendo riferimento al caos libico è possibile cogliere il senso della mossa di Roma. Fonti diplomatiche la mettono così con l'Huffington Post": per raggiungere una intesa con il generale Haftar occorre rivolgersi al suo protettore egiziano, il presidente al-Sisi". E rivolgersi ad al-Sisi è possibile solo, rimarca ancora la fonte, se si trova un compromesso sui rapporti politico-diplomatici che segnano le relazioni italo-egiziane nel "dopo-Regeni".
Un segnale all'Italia l'uomo forte della Cirenaica lo aveva lanciato con l'intervista a Lorenzo Cremonesi del Corriere della Sera: da premier in pectore, Haftar aveva criticato l'Italia aprendo però ad una possibile collaborazione sul tema che più sta a cuore oggi al governo Gentiloni-Minniti: il contrasto al traffico di esseri umani. Il modello delineato da Haftar è quello "turco". Come per Erdogan, così con lui l'Europa, e l'Italia, devono investire in risorse economiche (20 miliardi di euro) e in sostegno politico per mettere un tappo alla rotta mediterranea. Ma Haftar non gioca da solo. Se è riuscito a riconquistare Bengasi e a sfondare anche in Tripolitania è soprattutto perché ha potuto godere del sostegno, militare, dell'Egitto.

Dunque, se l'Italia vuole negoziare con Haftar, la luce verde deve venire dal Cairo. E per farla scattare occorre riaccendere la luce nella stanza del nostro ambasciatore nella capitale egiziana. L'indignazione della famiglia Regeni si scontra con le pressioni esercitate in questi mesi su Farnesina e Palazzo Chigi perché l'Italia desse un segnale concreto verso la leadership egiziana per non essere tagliati fuori da un giro di affari milionari, commesse militari, infrastrutture, sfruttamento risorse petrolifere, con l'Egitto. Ed ora, sul tavolo del do ut des c'è anche la "questione libica". Ed è alla luce delle ultime vicende libiche che era ripresa, sottotraccia, la pressione su Palazzo Chigi e Farnesina perché il nostro ambasciatore facesse rientro al Cairo.
"D'altra parte, se dovessimo avere relazioni, politiche, economiche, commerciali, solo con Paesi retti da regimi democratici, dovremmo chiudere ambasciate e smettere di fare affari con più della metà de mondo...". La nostra fonte, un ex diplomatico ora influente lobbista, in maniera un po' brutale ma certamente chiara, sintetizza la realpolitik che vorrebbe un recupero di relazioni a tutto campo con l'uomo forte dell'Egitto. "Avevamo abboccato alle cosiddette 'Primavere arabe' – ed ora eccoci a rimpiangere Mubarak, Gheddafi e pendere dalle labbra di Erdogan...". La restaurazione è compiuta. La stagione della speranza, archiviata. In occasione dei diciotto mesi dal rapimento al Cairo di Giulio Regeni, il cui corpo venne ritrovato orribilmente torturato alcuni giorni dopo, Amnesty International Italia aveva scritto al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni chiedendo se, dopo la recente missione nella capitale egiziana di una delegazione della Commissione difesa del Senato, la posizione del governo sul mancato ritorno dell'ambasciatore abbia subito mutazioni. Nella sua lettera al primo ministro, il presidente di Amnesty International Italia Antonio Marchesi faceva riferimento a quanto riportato dall'autorevole portale indipendente egiziano Mada Masr circa il possibile ritorno dell'ambasciatore italiano al Cairo nel mese di settembre, che sarebbe stato annunciato dalla stessa delegazione parlamentare italiana. Marchesi aveva ribadito che qualunque forma di rafforzamento delle relazioni fra i due Paesi non può prescindere dagli sviluppi nella ricerca della verità per Giulio Regeni.
La scelta di revocare l'unica misura adottata in un anno e mezzo fra le diverse possibili, rischia di compromettere definitivamente il raggiungimento di quel risultato. Una preoccupazione che investe l'atteggiamento dell'Europa che, dopo aver "sdoganato" Erdogan, vede in al-Sisi un altro Gendarme del Mediterraneo. "C'è il concreto pericolo che le violazioni dei diritti umani in Egitto vengano messe sotto il tappeto e che l'Unione europea dia priorità alla sicurezza, all'immigrazione e ai rapporti commerciali a spese dei diritti umani", avverte David Nichols, responsabile di Amnesty International per la politica estera dell'Unione europea. Dopo il massacro di Rabaa dell'agosto 2013, quando al Cairo le forze di sicurezza uccisero almeno 900 persone in un solo giorno, gli Stati membri dell'Unione europea avevano deciso di sospendere le licenze all'esportazione di ogni tipo di armi che avrebbero potuto essere usate a scopo di repressione interna. Il rapporto dell'Unione europea sull'Egitto, pubblicato in vista del Consiglio di associazione, svoltosi il 25 luglio, neanche menziona Rabaa e il fatto che, da allora, nessuno è mai stato chiamato a rispondere né tanto meno è stato indagato per quel massacro. Il rapporto tace anche sul ricorso alle esecuzioni extragiudiziali, sugli sgomberi forzati di migliaia di famiglie nel Sinai e sull'assenza di procedimenti giudiziari per i responsabili degli attacchi settari contro i cristiani copti. Non basta. La piaga della tortura viene derubricata come "denunce di presunte torture in carcere, di morti a causa della tortura o di negligenza medica". L'ultimo caso risale a neanche un mese fa.
Dell'altra piaga delle sparizioni forzate, secondo Amnesty International tre o quattro al giorno, ci si limita a segnalare che la Commissione nazionale sui diritti umani ha prodotto un rapporto. Non si parla delle detenzioni arbitrarie, seppure si accenni ai processi di imputati civili in corte marziale e a sentenze di massa al termine di processi irregolari. Le forze di sicurezza egiziane beneficiano della completa impunità per le violazioni dei diritti umani, come le sparizioni forzate, la tortura, le morti in custodia e le esecuzioni extragiudiziali. Nonostante tutto ciò, quasi la metà degli Stati membri dell'Unione europea - Italia inclusa - ha proseguito, in violazione degli obblighi di diritto internazionale, a inviare armi all'Egitto. "In Egitto è in corso un'ondata senza precedenti di violazioni dei diritti umani. Nell'ultimo anno e mezzo decine di difensori dei diritti umani si sono visti congelare i beni patrimoniali, hanno subito divieto di viaggi o sono stati interrogati per accuse ridicole che potrebbero comportare l'ergastolo e la fine delle attività delle organizzazioni indipendenti", ha sottolineato Nichols. "Mentre la società civile subisce una crescente repressione, le forze di sicurezza egiziane hanno mano libera per compiere massicce violazioni come le detenzioni arbitrarie, la tortura e le uccisioni illegali. L'Unione europea deve usare la sua autorevolezza e dire chiaramente, anche durante il vertice del 25 luglio, che non resterà in silenzio di fronte al fosco quadro delle violazioni dei diritti umani in Egitto". Violazioni che reiterano tragedie di sequestri e di morte.
Recentemente, l'ennesimo giovane egiziano è stato ritrovato morto, con segni di percosse e bruciature sul corpo. Tharwat Sameh aveva 19 anni. Secondo quanto riferito dai familiari al sito web informativo "Veto Gate", il ragazzo sarebbe scomparso venerdì 21 luglio dopo essere uscito di casa, senza telefono cellulare, per comprare da mangiare: una versione diversa da quella secondo cui il 19enne sarebbe stato prelevato dalle forze di sicurezza il 22 luglio direttamente nella sua abitazione in un sobborgo del Cairo. Inoltre il 19enne, secondo "Veto Gate", non svolgeva alcuna attività politica. Domenica 23 luglio, prosegue il sito web egiziano, la famiglia ha ricevuto una telefonata anonima che avvertiva che il ragazzo era stato investito da un'auto a Fayoum, 130 km a sud ed era stato ricoverato in ospedale. Il corpo è stato poi ritrovato abbandonato poco dopo seminudo con segni di percosse e bruciature da scarica elettrica. Il caso ha alcuni agghiaccianti particolari in comune con l'omicidio irrisolto di Regeni. Le bruciature sul corpo, i segni di tortura, il cadavere ritrovato sul ciglio della strada. E, soprattutto, il fatto che il direttore della sicurezza di Fayoum è oggi Khaled Shalaby, lo stesso poliziotto che 18 mesi fa era l'investigatore capo nel governatorato di Giza, dove fu trovato il corpo di Regeni. Shalaby, già condannato nel 2003 per tortura (ma la sentenza era stata sospesa), dichiarò che la morte di Regeni sembrava frutto di un incidente stradale, ma fu subito smentito dall'autopsia. Ora le autorità affermano che "tre ignoti" avrebbero picchiato a morte. D'altro canto, il rapporto dell'Unione europea non fa menzione neanche del terribile omicidio di Giulio Regeni e della detenzione, arrivata al quarto anno, del cittadino irlandese e prigioniero di coscienza Ibrahim Halawa.
Amnesty International chiede all'Unione europea di sostenere la richiesta di un'indagine efficace, indipendente e imparziale sulla sparizione e l'uccisione del ricercatore italiano e l'immediato e incondizionato rilascio di Ibrahim Halawa. "Ho sollevato il caso di Giulio come facciamo spesso perché per tutta l'Ue, non solo per l'Italia, è una questione prioritaria e l'Ue è accanto al governo italiano nel fare tutto il possibile per trovare la verità". Ad affermarlo era stata (25 luglio) l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, Federica Mogherini, interpellata riguardo il caso Regeni durante una conferenza stampa con il ministro degli Esteri egiziano Sameh Hassan Shoukry. "Consideriamo importante trovare una soluzione al caso - ha sottolineato quest'ultimo - ed è stato intrapreso ogni sforzo per risolverlo". Chiacchiere. Perché questi "sforzi", in 19 mesi, si sono rivelati una sequenza ininterrotta di depistaggi, di collaborazioni millantate ma senza costrutto. I depistaggi come i silenzi che hanno accompagnato queste sollecitazioni, non inducono all'ottimismo. In compenso, per il periodo che dal gennaio 2015 al maggio 2017, complessivamente la somma dell'assistenza finanziaria dell'Unione europea, dei suoi Stati membri e delle istituzioni finanziarie europee ha superato gli 11 miliardi di euro.
Dopo Erdogan, anche al-Sisi diviene per l'Europa il "male minore". Con cui trattare. Da riempire di miliardi, con cui fare affari e un patto per la stabilizzazione della Libia. Verità e giustizia (per Giulio Regeni e per gli egiziani massacrati nelle prigioni del regime o fatti trovare cadavere sui bordi delle strade) possono attendere. All'infinito. "Sono stati quattordici mesi surreali. Noi siamo una famiglia normale catapultata in questa situazione. Non possiamo abbassare mai la guardia perché abbiamo scelto di essere dentro le cose. Per avere verità per Giulio dobbiamo agire, non basta proclamare 'verità per Giulio' e poi la bolla si sgonfia", così Paola, la madre del ricercatore in conferenza stampa, il 3 aprile scorso al Senato.
Il padre del giovane dottorando ha chiesto che "non venga rinviato l'ambasciatore e questo esempio sia seguito anche da altri paesi europei. Abbiamo avuto rassicurazioni dal premier Gentiloni. Continuiamo a confidare nelle nostre istituzioni". Claudio Regeni ricorda come con l'Egitto "gli scambi commerciali vadano a gonfie vele". "Abbiamo diritto alla verità per la nostra dignità ma anche per guardare negli occhi a testa alta i tanti giovani che stanno seguendo questa vicenda e ci stanno scrivendo – affermava Paola Regeni -. Pochi giorni fa si è celebrato l'anniversario dei Trattati di Roma – aggiungeva – ma se non cerchiamo la verità cosa insegneremo a questi ragazzi, che sono già della generazione post Erasmus, dei valori dell'Europa?". Non sono solo le parole di una madre e di un padre straziati dal dolore. Sono questo, certamente, ma anche altro: le considerazioni di due cittadini che chiedono, con coraggio e dignità, al proprio Paese di mantenere la schiena diritta e di ricordare ad una Europa smemorata, che Giulio Regeni era un cittadino europeo, non solo sul passaporto ma per le sue esperienze di studio, per i valori che hanno permeato la sua attività di ricercatore. Quattro mesi dopo quell'incontro con la stampa, non è accaduto niente di così significativo da giustificare una normalizzazione dei rapporti tra l'Italia e l'Egitto. "Giulio – ha ricordato in più occasioni la madre Paola - poteva aiutare l'Egitto, il Medio Oriente, studiava il sindacato, l'emarginazione. Un italiano che poteva fare tanto e non avremo più. E io continuerò a dire: verità per Giulio". Una verità che le alte sfere del Cairo non vogliono svelare.
La famiglia Regeni ha definito la decisione preferragostana presa dal Governo come una "resa incondizionata" dell'Italia. Più che una resa è un "baratto". La mancata verità per sancire un patto con Haftar favorito da al-Sisi. Più che una resa, è la vergogna della "realpolitik".

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