Come cittadino italiano e romano non pago le
tasse da una vita perché la polizia possa sgomberare a colpi d'idranti
nel cuore della capitale un gruppo di rifugiati etiopi ed eritrei con
regolare permesso, scampati a guerre e persecuzioni, picchiando madri
davanti agli occhi dei figli.
Ho pagato le tasse e tante, poiché ho
sempre guadagnato, perché lo Stato non affronti il problema della
povertà con i manganelli e la polizia sgomberi le strade dai criminali.
Le pago perché la giunta Raggi faccia pulizia sì, ma non di povera
gente, piuttosto delle montagne d'immondizia che crescono perfino più
del numero di assessori 5 Stelle e stanno trasformando la città più
bella del mondo in una discarica a cielo aperto. Pago le tasse perché il
ministro Minniti nei fatti e non a parole combatta 'ndrangheta, mafia e
camorra, che non sono mai state tanto potenti, invece di fare la guerra
alla Caritas e a Medici Senza Frontiere, organizzazioni dalle quali
onestamente non mi sento minacciato. Anche se capisco che sia meno
pericoloso e più redditizio in termini di voti.
La
caccia al migrante sta diventando il tema dominante e condiviso di tre
aree politiche, centrodestra, Pd e Cinque Stelle, che sono già in
campagna elettorale, ma non hanno uno straccio d'idea, neppure vaga, sul
come affrontare i seri problemi del Paese. Certo non
"l'invasione" di
150 mila rifugiati su una popolazione di 60 milioni di abitanti, ma
vogliamo far ridere? Piuttosto il livello record di giovani che non
lavorano e non studiano, il progressivo declino industriale,
l'esponenziale crescita delle mafie, il dissesto idrogeologico, il più
alto consumo di territorio del continente, la catastrofe di una scuola
tenuta in vita soltanto dal sacrificio degli insegnanti peggio pagati
d'Europa, un ruolo sempre più marginale nell'Unione.
Su
questi temi la politica nazionale non ha nulla da dire o da proporre.
Encefalogramma piatto. Il leader reale del centrodestra, Matteo Salvini,
non ha mai lavorato un giorno nella vita e quindi non s'interessa del
settore. Il Pd è ridotto a una protesi dell'ego arroventato del suo
leader, che ha dimostrato ad abundantiam nel libro appena pubblicato di
non avere alcuna proposta seria da offrire agli elettori, ma soltanto
vendette da consumare nel caso remoto che gli italiani lo rimandino a
Palazzo Chigi. I nuovi dei 5 Stelle non sono in grado di amministrare
Comuni e quindi figurarsi la Nazione, per giunta hanno assunto in fretta
il costume trasformistico dei vecchi. Così il premier in pectore Di
Maio, noto più che altro per l'uso avventuroso della lingua madre, si
scaglia contro i governi condonisti responsabili della tragedia di
Ischia, mentre i Comuni 5 Stelle cementificano ovunque, da Bagheria a
Roma a Torino, autorizzando colate di centri commerciali e abusi
edilizi, con la scusa dello stadio o dell'eredità del passato o degli
abusi di necessità (fenomeno estinto in Italia da vent'anni) e magari
domani di una infanzia difficile.
In
assenza totale di programmi, piani industriali, semplici visioni del
futuro del Paese, i tre schieramenti si fanno concorrenza nella caccia
al capro espiatorio.
E' davvero difficile spiegare oltre la cortina di
Chiasso che in un paese dove le mafie vantano un giro di affari di 150
miliardi l'anno, tre volte il valore della Borsa di Milano, il ministro
dell'Interno è impegnato in una polemica quotidiana, ormai da mesi, con
Medici Senza Frontiere, Emergency, la Caritas e ora anche l'Unicef e
papa Francesco. Il Grillo di un tempo avrebbe risposto a tutto questo
con una sola parola. Ma anche lui adesso opera dei distinguo.
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