Marina Boscaino Insegnante
In un’estate di annunci (rimasti tali) – in primis un impegno sull’inadeguatezza dei salari – e di (brutte) sorprese (ovviamente in via di realizzazione) – l’allargamento della sperimentazione del percorso secondario di II grado in quattro anni – Fedeli ha esternato anche al Meeting di Comunione e Liberazione: irrinunciabile passerella per le anticipazioni. Non posso non convergere su una dichiarazione: “Io sarei per portare l’obbligo scolastico a 18 anni perché un’economia come la nostra, che vuole davvero puntare su crescita e benessere, deve puntare sull’economia e sulla società della conoscenza, così come peraltro ci viene dall’ultima Agenda Onu 2030 sottoscritta anche dall’Italia”. Tra “io sarei” e impegno concreto passano fiumi di demagogia e di parole totem, a uso e consumo di media e ingenui. Dare un’occhiata al testo, redatto in modo aperto da chiunque – docenti, studenti, genitori – abbia voluto partecipare, sarebbe però utile a chi ha spesso mostrato di sapere poco di storia della scuola e politiche di istruzione.
Prima di tutto, però, Fedeli deve ricordare alcune cose. L’obbligo scolastico, previsto nell’art. 34 della Carta, fu una straordinaria rivoluzione culturale, politica e sociale. Affidò alla scuola della Repubblica l’emancipazione anche di coloro che, provenendo da condizioni svantaggiate, potevano avere la possibilità di migliorare la propria cultura e, dunque, la propria condizione di cittadino e di lavoratore, capace di scelte consapevoli. Con quel provvedimento, cioè, la scuola diventò lo strumento con cui abbattere e differenze e ostacoli che impedissero il pieno sviluppo della persona umana. La scuola, appunto: cultura, conoscenza, pensiero critico. Istituzione repubblicana che oggi, a colpi di (contro)riforme, si vuole ridurre a infarinatura di conoscenze blande e volatili, prevaricate da una visione aziendale di competenze illusoriamente spendibili sul mercato del lavoro. Come se il lavoro si esaurisse in un saper fare sbrigativo e superficiale e non fosse nobilitato da cultura e conoscenza, riflessione e ricerca. Come polli in batteria gli studenti vengono forniti di nozioni smart, non comprendendo che tale processo impoverirà la società tutta. E, soprattutto, che esso condannerà gli ultimi – gli svantaggiati – a una cittadinanza azzoppata.
Il progetto di società neoliberista blinda le condizioni individuali su
base socioeconomica: emergono e saranno destinati ad emergere solo i privilegiati dalla nascita in famiglie e contesti favorevoli.
Obbligo scolastico, poi, significa dentro la scuola e un impegno della Repubblica ad opporsi con tutte le forze alla dispersione scolastica. Oggi andare a scuola è una – non la principale – delle possibilità di istruzione, tante sono le attività altre affastellate nell’anno; e la diminuzione di un anno di percorso va proprio in questo senso. Ritardo e dispersione e demagogica evocazione di competenze per il lavoro con uno dei provvedimenti più disastrosi della legge 107/15 – alternanza scuola-lavoro – hanno minato la scuola italiana, facendo seriamente dubitare che in questa scuola, ossequiosa ai diktat neoliberisti, dirigista, valutativa e competitiva, sia ancora praticabile l’ambiziosa scommessa di consegnare a tutti il diritto-dovere ad apprendimento e emancipazione: saperi, studio e relazione educativa sono infatti subordinate alle esigenze mercantili, per cui approfondimento, analiticità e pensiero critico paiono essere orpelli inutili se non ostacoli da eliminare. Nessuno considera che, oltre a un bacino di potenziale sfruttamento, per lo più di studenti minorenni (terzo e quarto anno), e allo svuotamento del concetto di cultura emancipante, l’alternanza scuola-lavoro, coerente con Job’s Act, costruisce volutamente lavoratori acritici,
inconsapevoli dei propri diritti e doveri: contrattazione collettiva e
lotte per la dignità del lavoro non sono assolutamente un riferimento,
né un vincolo imprescindibile per la cultura di impresa: si mira a manodopera “flessibile”, cioè incapace di comprendere e difendere il senso profondo del lavoro e dell’essere lavoratori.
A realizzare un obbligo
scolastico costituzionalmente efficace non sarà un riordino dei cicli
che abbatta tempi (e diritti a apprendimento e lavoro) e moltiplichi opportunità apparenti (progetti, stage,
tecnologie sempre nuove, in realtà prove tecniche di allontanamento
definitivo da rigore, riflessione e dimensione davvero pedagogica). Ma una vera riforma della scuola, la restituzione del compito politico-istituzionale frantumato da anni di scelte scellerate e tardive rincorse a modelli neoliberisti da altri già dismessi, propagandati come “nuovo che avanza”; in realtà, una scuola desueta e classista, voluta da esecutori acritici del primato dell’economia su esistenze individuali e interesse generale.
Infine, un altro testo che consiglio vivamente al ministro di leggere. Si tratta della Costituzione Italiana, quella che dice di voler consegnare a ogni studente, dimentica forse che già ne esiste il relativo insegnamento e che la classe politica di cui fa parte ne ha tentato varie volte la manomissione. Vada agli artt. 33 e 34:
disegnano molto nettamente un progetto di scuola. Quella che anche lei,
con le sue chiacchiere da bar e i suoi decreti a sorpresa, sta tentando
di distruggere.
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