Genet solleva un lembo della maglietta, si allarga in vita i
pantaloni e mi invita a toccare. Sono bagnati, l'acqua è arrivata dagli
idranti della polizia all'alba, ci spiega, puntando il dito verso Piazza
Indipendenza. Lei stava dormendo lì, dopo essere stata sgomberata dal
palazzo che aveva occupato a via Curtatone. È lei la donna che
piange mentre un poliziotto le fa una carezza,
nella foto da molti considerata il simbolo di questa giornata,
l'ennesimo sgombero consumato a Roma negli ultimi mesi. Ma Genet non ci
sta.
È arrabbiata per il modo in cui lei e gli altri, in gran parte
rifugiati, che vivevano nel palazzo di via Curtatone sono stati cacciati
via.
Eritrea, dice di avere 40 anni e per meglio rendere in italiano lo
stato d'animo in cui si trova si rivolge a Tareke Brhane, mediatore
culturale eritreo, in Italia da anni, accorso a Roma per supportare i
rifugiati "in questo momento così drammatico per loro", spiega.
Genet guarda la foto sua col poliziotto e strabuzza gli occhi. "La
usano per mostrare la faccia bella di questa storia, ma la verità è che
la polizia ci ha spruzzato l'acqua addosso. Siamo stati buttati via come
una scarpa vecchia", sibila.
La voce della donna si fa più alta, Genet quasi grida: "Per
cinquantacinque anni gli italiani sono stati in Eritrea, ma non gli
abbiamo fatto quello che ci state facendo voi italiani. Non abbiamo
neanche lo spazio per seppellirci". È sola, qui in Italia. "Ma ho una
figlia che ho lasciato in Sudan, a metà strada", dice in un soffio.
Proviamo a chiedere cosa le è stato detto, quale alternativa le è
stata prospettata dopo lo sgombero. Genet guarda Tareke, aspettando la
traduzione. Poi risponde agitando le mani e alzando gli occhi al cielo.
"Avevano detto che ci sono delle strutture, ma i posti sono
insufficienti, non sono soluzioni. La trattativa, ieri sera - spiega il
mediatore - si era interrotta con la promessa che sarebbe ripresa
stamane. Abbiamo visto stamattina com'è ripresa, a colpi di idrante".
"Tocca, senti vestiti ancora bagnati?", insiste la donna. Non sa dove
finirà ora. "Non lo so, come faccio a saperlo - mi ride in faccia Genet
- So solo che mi sento come una cosa buttata via".
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