martedì 29 agosto 2017

Qualcosa a sinistra. Perché si può ridurre l'orario di lavoro, senza tagliare il salario.


"Bisogna aumentare l'età pensionabile!", è il ritornello della politica italiana nelle calure agostane.

La ragione è sempre la stessa: i bilanci, i conti. Un po' le stesse ragioni che spingono i grandi centri commerciali a restare aperti a ferragosto, a Natale, a Pasqua e durante tutte le festività, costringendo i lavoratori a lavorare, mentre dovrebbero avere il diritto di condividere con le famiglie e con chi gli pare, un tempo di libertà sacrosanto.

(ndr) Grande idea "lavorare meno lavorare tutti". Qualcuno a sinistra ne ha gia sentito parlare?
Ma c'è una volta in cui la politica si preoccupi del bilancio della vita delle persone? Quanto meno, una volta in cui ci si ponga una domanda rispetto all'andamento della vita delle persone che lavorano in questo paese e delle persone che lavorano in maniera saltuaria o non lavorano proprio?
Temo di no. Perché come sempre, la risposta che il sistema offre ai problemi complessi della modernità è un arretramento, sul piano dei diritti, sul piano delle condizioni di vita e di lavoro, sul piano dei salari e della previdenza. "Lavora di più", continuano a dire.
E poco importa se i lavoratori italiani sono di già quelli che lavorano più di tutti in Europa, nel corso di un anno. Sono anche un po' stanco di continuare a ripeterlo, ma lavoriamo quasi 1.800 ore all'anno, rispetto a francesi e tedeschi (già, proprio loro) che ne lavorano in media circa 400 in meno. Uno schiaffo in faccia alla disoccupazione, considerando i numeri dei disoccupati: oltre l'11% complessivi, e quasi il 40% fra i giovani.
Senza tenere conto, poi, un altro aspetto, ovvero dove finisca tutta la ricchezza prodotta, visti i bassi livelli delle retribuzioni italiane, con le disuguaglianze in netto aumento. I poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. In quali tasche si accumula la ricchezza prodotta dalle 1.800 ore lavorate l'anno per ogni lavoratore?

Per chi e per cosa lavoriamo così tanto, in sostanza? Per quale ragione ci ammazziamo letteralmente la vita, lavorando ore e ore al giorno?
Credo sia giunto il momento di porre con forza e decisione nella politica italiana il tema della riduzione del tempo di lavoro, senza rinunce e senza arretramento di retribuzioni, sia chiaro, che come detto, sono già fra le più basse in Europa.
Alla base c'è certamente un obiettivo che potremmo considerare strutturale: ovvero la necessità di redistribuire le quote di lavoro presenti. A maggior ragione se il progresso scientifico, l'aumento dell'automazione nei processi produttivi, provocherà nei prossimi anni una riduzione di posti di lavoro di circa 5 milioni di unità in tutta Europa.
La scienza e gli analisti ci avvisano da anni e già buona parte del tempo a disposizione della politica, per compiere delle scelte è andato perduto, visto che si tratta di un processo iniziato con maggiore vigore alla fine degli anni '80.
Dobbiamo continuare a vivere i processi di automazione come una minaccia sul futuro di milioni di persone, o vogliamo invece incrociare le possibilità che il progresso scientifico offre e puntare sull'automazione per migliorare la qualità della vita delle persone?
Le macchine che lavorano al posto dell'uomo non possono continuare ad essere elementi a esclusivo vantaggio dell'industria, delle multinazionali e dei datori di lavoro, che con costi di produzione nettamente più bassi e tempi di produzione molto più avanzati rispetto a quelli che potrebbe reggere un corpo umano, riescono a estrarre molta più ricchezza e molto più plus valore dal singolo prodotto. Anche questa è una ricchezza che va redistribuita, offrendo ai lavoratori i vantaggi che una maggiore automazione può offrire.
I temi della qualità della vita, della qualità del tempo libero a disposizione, della necessità di liberarsi dal lavoro, inoltre, sono ormai anche questi centrali. In una società a capitalismo avanzato, l'impianto della vita delle persone è centrato fondamentalmente sulla produzione e sulla produttività, con una scarsa considerazione, invece, per tutto ciò che ha a che fare con la qualità, con il tempo a disposizione della persona. Per la verità, anche il tempo libero è entrato con forza nella dimensione della produzione e del consumo, in particolare negli ultimi 20 anni.
Ed è questo aspetto della vita che va liberato, va rimesso nelle mani e nelle scelte delle persone, che sempre più spesso rinunciano alla propria dimensione affettiva, sacrificano la famiglia, le amicizie o anche le proprie passioni, per rispondere al ricatto produttivo/occupazionale.
Le donne più degli uomini sono costrette a tempi irragionevoli, talvolta disumani, per continuare a poter avere una occupazione dignitosa e conciliare con questa i tempi del lavoro di cura.
Credo che la sinistra, quindi, in Italia debba avere questo compito storico, una sorta di missione: porre al centro del dibattito il tema della redistribuzione del lavoro, della riduzione del tempo dedicato al lavoro e del miglioramento della qualità della vita e del mondo in cui viviamo.
Anche perché, come spesso accade nelle dinamiche sociali, in cui i rapporti di forza vengono determinati dalla capacità di intraprendere e organizzare il conflitto, il tema della riduzione dell'orario di lavoro sta diventando sempre più uno strumento di ricatto nelle mani dei grandi gruppi industriali, durante i momenti di crisi. La dirigenza della Bosch a Bari, ad esempio, propone la riduzione d'orario come misura strutturale nel proprio piano industriale, per rispondere alla crisi del diesel, che le stesse multinazionali dell'auto hanno contribuito a creare. Il grande inganno è che la riduzione dell'orario di lavoro è accompagnata da una contestuale riduzione dei salari dei lavoratori fino a un 30% di quanto percepito oggi.
Come dire che per gli errori della dirigenza continuano a pagare sempre e solo i lavoratori, che di improvviso potrebbero ritrovarsi con più tempo libero, certo, ma con stipendi da 700 o 800 euro.
Un inganno inaccettabile. Il momento per prendere in mano un tema così fondamentale per il futuro di milioni di persone, è ora.

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