Fonte:
il manifesto Autore:
Roberto Ciccarelli
Ci vivevano rifugiati e richiedenti asilo eritrei a poche centinaia di
metri dalla Stazione Termini. In quattro anni governo e comune non sono
riusciti a trovare una soluzione all’emergenza. E’ lo sgombero più
grande degli ultimi anni nella Capitale, il fronte interno della guerra
ai migranti e ai poveri registra una nuova offensiva, mentre continua la
strategia di respingimento nei centri di detenzione in Libia
Centinaia di agenti in tenuta antisommossa hanno sgomberato ieri
all’alba il palazzo dei rifugiati, un edificio di 32 mila metri quadri
tra via Goito, via Curtatone e piazza Indipendenza, a poche centinaia
dimetri dalla stazione Termini a Roma. Più di venti automezzi che hanno
isolato il quadrante tra la stazione Termini e la biblioteca nazionale
di viale Castro Pretorio a partire dalle prime luci del giorno. Un
minimo tentativo di resistenza è stato respinto, con la minaccia
dell’intervento dei camion idranti, in via Solferino. Palazzo Curtatone
era stato occupato nel 2013, dopo la strage del 3 ottobre a Lampedusa
dove persero la vita 368 persone. Circa 800 migranti, almeno 250
famiglie con decine di minori, per la maggior parte eritrei richiedenti
asilo e rifugiati, sono stati sostenuti dai movimenti per la casa
nell’ambito dello “Tsunami tour”, una clamorosa campagna di denuncia
sull’emergenza abitativa a Roma e per dare un’abitazione a migliaia di
italiani e immigrati.
Un’occupazione scomoda quella di palazzo
Curtatone, questo il nome comunemente attribuito all’immobile. Sul lato
opposto di piazza Indipendenza sorge la sede del Consiglio Superiore
della Magistratura, a trecento metri c’è il consolato tedesco, a pochi
passi la redazione romana del Sole 24 Ore e il Corriere dello Sport
. Finché ha resistito in questa zona centrale della città, il palazzo
dei rifugiati è stato la denuncia vivente del mancato rispetto della
Convenzione di Ginevra, del regolamento di Dublino e del
malfunzionamento del sistema dell’accoglienza. Gran parte degli
occupanti erano legalmente residenti in Italia, ma al riconoscimento del
loro status non è seguita l’accoglienza in strutture che
potevano garantire condizioni di vita dignitose. Mai, fino allo sgombero
di ieri, è stata offerta una soluzione alternativa realistica. “Erano
stati messi in mezzo alla strada, perché l’Italia non prevede per tutti
l’accompagnamento fino alla reale autonomia delle persone” ha detto a
maggio in una dichiarazione all’ Agi Padre Zerai
, il sacerdote eritreo presidente di Habeshia, l’agenzia che si occupa
di assistenza ai rifugiati africani. Ora ci sono tornati, in strada.
“Non ci hanno avvisato, non siamo riusciti e
prendere niente né a fare le valigie, dentro abbiamo ancora tutto, anche
i nostri documenti” ha raccontato una donna etiope cinquantenne che
lavora in un albergo vicino. “Hanno spaccato la porta, senza preavviso o
rispetto – ha raccontato un uomo eritreo di 37 anni – Sono qui dal
primo giorno, avevamo occupato solo per chiedere i nostri diritti di
rifugiati, ma non ci hanno detto nulla. Ora diventeremo ‘sporco per le
strade’?”. Ci sono almeno due donne incinte, di cui una in stato
avanzato: “Non ci hanno offerto niente” ha detto una di loro. Un uomo
sui 30 anni ha raccontato di essere arrivato a Lampedusa via Libia in
barcone nel 2012, e di aver ottenuto asilo politico: “Ora non so dove
andare” sostiene. A una cinquantina di persone sarebbe stato accordato
il permesso di passare la notte nel palazzo sgomberato. “Dove andremo
adesso? Non lo sappiamo. Dormiremo per terra” dicono alcuni. Altri
dormiranno da conoscenti o in altre occupazioni.
Oltre all’esercito di poliziotti, carabinieri e finanzieri
, ieri al primo piano dell’edificio costruito negli anni Cinquanta
dagli architetti Aldo Della Rocca, Ignazio Guidi, Enrico Lenti e Giulio
Sterbini è stato creato un “help-desk” della polizia, un servizio
sanitario per anziani e bambini. L’amministrazione comunale guidata
dalla pentastellata Virginia Raggi ha fatto sapere che sul luogo è
intervenuta la sala operativa sociale di Roma Capitale.
A piazza Indipendenza è arrivata anche l’Atac che
ha messo a disposizione alcuni autobus a supporto dei cinque mezzi
usati dalla polizia per trasportare i migranti al centro di
identificazione di Tor Cervara. “Non ci sono vetture per i passeggeri,
ma piena disponibilità per gli sgomberi” hanno polemizzato su twitter i
Blocchi precari metropolitani (Bpm). È stato questo il discutibile
contributo dell’azienda dei trasporti pubblici all’”operazione di
bonifica”. Questa dizione sconcertante è stata usata nei comunicati
ufficiali. La sintesi è inquietante: un’emergenza sociale e umanitaria,
creata dalla disapplicazione e dal malfunzionamento delle leggi, ridotta
a un episodio igienico-sanitario. Un uso burocratico del linguaggio che
richiama i peggiori incubi della storia del Novecento e fa parte del
bagaglio semantico dell’ideologia del decoro usata per giustificare
l’operazione.
Al destino incerto di centinaia di persone non
collaborerà IDeA Fimit, la società alla quale il fondo Omega di Intesa,
Enasarco e Inarcassa (la cassa degli ingegneri e degli architetti) ha
affidato l’immobile nel 2011 che sarà trasformato in un albergo, in un
centro commerciale e in una palestra. “Non esiste nessun impegno diretto
nel ricollocamento degli occupanti – ha precisato in una nota IDeA
Fimit – Non corrisponde al vero che alcuni gruppi di persone saranno
ospitati in strutture individuate dalla proprietà”. Lo sgombero,
richiesto già nel 2013 e ribadito più volte fino al febbraio 2016, era
stato previsto dal 12 aprile 2016 quando Francesco Tronca, ex
commissario straordinario della Capitale, lo ha inserito tra le priorità
. Lo aveva promesso anche l’ex ministro dell’Interno Angelino Alfano in
una risposta a un’interrogazione alla Camera. È avvenuto sotto il
governo del suo successore, Marco Minniti.
Il Comune, per bocca del vicesindaco Luca Bergamo ,
sostiene di avere concesso alcuni alloggi agli sgomberati.
“L’accettazione di questa offerta è volontaria” ha precisato Bergamo che
ha respinto la responsabilità sull’accaduto. Lo sgombero è stato deciso
da Prefettura e Questura di Roma: “Quando si tratta di sgomberi di
edifici privati il Comune viene coinvolto con un’informativa delle
autorità di pubblica sicurezza, normalmente molto a ridosso dell’evento”
ha precisato. Com’è ormai prassi nelle città italiane- l’ultimo episodio a Bologna con gli sgomberi di Làbas e Crash
– l’autorità politica non sa e non vede. Ad agire sono il Viminale, le
questure e i prefetti. È lo stato di emergenza: la politica è
commissariata. Anche i Cinque Stelle, come in precedenza il sindaco
Marino, subiscono questa supplenza. Ieri, mentre le destre attaccavano, e
le sinistre rispondevano, sono rimasti muti.
Luigi Manconi , presidente della Commissione
Diritti umani e senatore Pd, si è soffermato sul nodo politico: “Una
situazione ben conosciuta da anni, e nota a tutte le autorità e
all’amministrazione comunale, che si è deciso di affrontare e risolvere
proprio ieri – sostiene – persone e interi nuclei familiari,
regolarmente residenti nel nostro paese e per le quali, evidentemente,
una città come Roma, con tre milioni di abitanti, non è stata in grado
di trovare una più dignitosa collocazione”.Le immagini dei bambini
usciti dal palazzo con grossi trolley, borsoni, libri scolastici, tra
paraventi e quadri di soggetto cristiano, insieme a quella di una donna
incinta di otto mesi, costretta ad aspettare sotto il sole, seduta su
una sedia, per recuperare gli effetti personali, hanno scosso il vuoto
pneumatico del post-ferragosto romano. “Un altro sgombero senza una
proposta di soluzione alternativa. Dove andranno ora i rifugiati eritrei
che erano dentro?” ha chiesto il collettivo Baobab che ha accolto 35
mila migranti transitanti nella capitale e affronta quotidianamente
sgomberi a ripetizione.
La soluzione del problema resta in mano al Comune
che deve coordinarsi con la Prefettura: “È un’emergenza sociale –
sostiene Marco Miccoli, deputato romano del Pd – Spero che mettano
velocemente a disposizione soluzioni – Serve un piano di emergenza che
eviti una tendopoli o situazioni inaccettabili per la dignità delle
persone”. Un piano di cui tuttavia non sembra esserci traccia. Mentre la
destra ieri brindava al ritorno alla “legalità”, anche dal Pd si sono
levate voci consonanti. Per Stefano Pedica (Pd) bisogna andare avanti
con gli sgomberi, perché “siamo in piena emergenza terrorismo”. “Sono
parole inaccettabili, da caccia alle streghe – sostiene Paolo Cento
(Sinistra Italiana) – Il Pd cavalca la paura invece di fare fronte
comune contro l’intolleranza”.
Va ricordato un episodio che più di ogni altro
riassume lo spirito di un’occupazione attaccata ferocemente dalle destre
e dai razzisti di ogni specie nelle ultime settimane, considerata
sinonimo di “spaccio, degrado e prostituzione”, nozioni ribadite ieri
Giorgia Meloni di “Fratelli d’Italia”. Sul lato monumentale del palazzo,
quello che si affaccia su Piazza Indipendenza, per anni è rimasto
esposto lo striscione: “Siamo rifugiati, non siamo terroristi” era
scritto a caratteri cubitali.
Una precisazione preventiva contro l’equazione
“rifugiati=terroristi” che è tornata immancabilmente ieri a galla, con
l’uso disonesto e ingnobile dei gravi fatti accaduti a Barcellona.
Quello striscione non è servito. Dopo quattro anni di scaricabarile tra
governo e comune è arrivato solo lo sgombero, nonostante tutto. E tutti.
La povertà va messa sotto il tappeto sul fronte interno della guerra
contro migranti e poveri, mentre su quello esterno si rinchiudono i
migranti nei centri di detenzione in Libia.
Il ripristino della “legalità” rischia di acuire i
disagi di una città prostrata che non vede una soluzioni in
un’emergenza che aumenta, sgombero dopo sgombero. “Ma davvero sindaco,
prefetto, questore pensano che buttare le persone in mezzo ad una strada
risolva il problema? – domanda Adriano Labbucci (Sinistra Italiana) –
Lo si sposta e si rende ancora più precaria e insicura la città e la
vita delle persone”. “Sgomberare non è governare”, ha ragione Labbucci,
ma potrebbe anche essere un altro modo di governare: allontanare dalle
città le grandi concentrazioni, accrescere la pressione
poliziesca,bloccare ogni possibile iniziativa..
Nell’agosto romano più blindato , e desolato, degli ultimi anni, quello di ieri è stato lo sgombero più grande, il terzo dell’estate dopo Casetta
, il secondo nell’ultima settimana. Il 10 agosto in via Quintavalle a
Cinecittà sono state arrestate 11 persone e una sessantina di famiglie
sono state sgomberate da un edificio ex Inps, proprietà della società
immobiliare di una banca. Ora sono accampate nel portico della Basilica
dei Santi XII Apostoli, nella piazza di fronte alla Prefettura. Ieri
pomeriggio, a piazza Santi Apostoli, è stato organizzato un sit-in di
protesta dove ai bambini è stata data l’opportunità di giocare e fare il
bagno in piscine gonfiabili. I blocchi precari metropolitani hanno
denunciato l’arresto di due attivisti accusati di resistenza e lesioni a
pubblico ufficiale. Le forze dell’ordine avevano chiesto di rimuovere
le piscine. “Una rappresaglia contro l’esercizio della solidarietà e il
rifiuto di nascondere la povertà sotto il tappeto” denuncia il movimento
per la casa.
In questo clima di repressione e rappresaglie,
dove trionfa la città della rendita, a Roma è prevista una
manifestazione di protesta il prossimo 26 agosto. La questione degli
sgomberi e degli sfratti è sentita in tutto il paese, come dimostrano i dati del 2016 . Il 9 settembre è confermato il corteo nazionale a Bologna dopo gli sgomberi dei centri sociali Làbas e Crash.
FONTE: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO
Rete per l'Autorganizzazione Popolare - http://campagnano-rap.blogspot.it
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domenica 20 agosto 2017
Roma, sgombrato il palazzo dei rifugiati, mille persone buttate in strada
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