I parlamentari avanzano
migliaia di interpellanze al presidente del consiglio, ai ministri e ai
sottosegretari. Che, però, le ignorano quasi in blocco: negli ultimi 10
anni il 76% di istanze presentate dai senatori non ha avuto alcun
seguito. Leggermente migliore la situazione alla Camera dove dal 2013
"solo" il 60% di documenti è stato ignorato. E accade anche che a
rispondere sia un esecutivo diverso da quello al quale era stato posto
il quesito.
F.Q. Giuseppe Pipitone
Il governo muto 3 volte su 4 – Solo al Senato l’esecutivo non risponde sistematicamente a tre interrogazioni su quattro. Il bello è che non si tratta di una situazione d’emergenza: la storia va avanti da (almeno) tre legislature, dieci anni durante i quali si sono alternati sei diversi governi, di centrodestra, di centrosinistra, tecnici e persino a larghe intese. Con il risultato che a volte a rispondere a un’interrogazione presentata a un determinato esecutivo è un ministro di un governo diverso. E la risposta può arrivare anche quattro anni dopo: a cosa si risponda dopo tutto questo tempo è un mistero. Vanno leggermente meglio le cose a Montecitorio dove non vengono considerati “solo” sei atti parlamentari su dieci: questi, però, sono numeri relativi solamente alla legislatura in corso.
Ignorato il 76% delle interrogazioni – Abbraccia invece gli ultimi tre mandati lo studio pubblicato dall’ufficio valutazione e impatto di Palazzo Madama, che ha condotto la prima analisi statistica su dieci anni di interrogazioni e interpellanze dei senatori. Un’indagine dal quale emergono dati impetuosi: dal 2006 al 31 dicembre del 2016 sono 28.360 gli atti parlamentari (cioè sia interpellanze che interrogazioni a risposta scritta e orale) presentati dai senatori. Di questi più di ventimila (precisamente 20.079) attendono ancora una risposta. Al netto degli atti ritirati, decaduti o trasformati, quindi, il 76% dei documenti parlamentari depositati nelle ultime tre legislature sono stati completamente ignorati dai vari governi che si sono succeduti a Palazzo Chigi: un’enormità. Una percentuale leggermente inferiore si registra alla Camera, dove però non esiste una statistica che vada oltre la legislatura in corso. Il ministero per i Rapporti con il Parlamento comunica che dal marzo del 2013 all’8 agosto 2017 su 34.791 atti presentati a Montecitorio, i governi di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni hanno risposto 14.135 volte: in pratica il 40% dei casi. Numeri che sommati a quelli del Senato (dove si sfiora il 75% di interrogazioni in attesa di riscontro anche solo nella legislatura in corso) raccontano come negli ultimi cinque anni i governi guidati dal Pd non abbiano replicato al 64% di domande dei parlamentari: in pratica più di sei volte su dieci.
Ignorate interrogazioni bipartisan – “Continuando a non rispondere alle interrogazioni si rischia di incrinare l’efficacia degli istituti giuridici espressivi della potestà conoscitiva del Parlamento”, scrivono gli analisti del Senato. Che sottolineano come l’altro numero di atti non svolti o rimasti senza risposta accomuni tutte le tre legislature monitorate: da Romano Prodi a Silvio Berlusconi, passando per Monti e Renzi. Sono cambiati i governi ma non è cambiata il mutismo sulle interrogazioni. Tutte ignorate a prescindere dalla provenienza. “L’alto numero di atti non svolti o rimasti senza risposta prescinde dall’appartenenza dei presentatori a gruppi di maggioranza o di opposizione“, spiega il report dell’ufficio valutazione e impatto del Senato. Dagli esponenti del Movimento 5 Stelle (che attendono ancora risposta al 90% delle interpellanze presentate) a quelli del Pd (83% di interpellanze sospese) fino a Forza Italia (77%): l’ignavia dei governi confina nel medesimo limbo tutti gli atti parlamenti ai quali non riesce (o vuole) dare corso.
A domanda risponde. Un altro – Ovviamente bisogna fare una distinzione tra i vari casi. Durante la XV legislatura, per esempio, il secondo governo Prodi ha ricevuto 4.995 atti parlamentari, è riuscito a rispondere soltanto a 1.389 prima di cadere e lasciare obtorto collo 3.398 quesiti insoluti: atti che sono considerati ancora “in corso“. Stessa situazione per le 9.012 interrogazioni rimaste senza risposta delle 12.785 prodotte durante la XVI legislatura, quando a Palazzo Chigi sedevano prima Berlusconi e poi il tecnico Monti. I cambi di governo e i carichi di documenti senza risposta hanno poi prodotto negli anni una situazione quasi paradossale: le risposte a domande rivolte a ministri precedenti, magari poste da parlamentari non più rieletti. È il caso delle 721 interrogazioni e interpellanze alle quali il governo Monti ha dato risposta. Di queste solo 673 provenivano da un esponente dell’esecutivo tecnico: in 42 casi a rispondere erano ministri del governo Letta e in 6 casi addirittura di quello Renzi, diventato premier un anno e due mesi dopo le dimissioni dell’ex leader di Scelta Civica.
Non ce lo chiede l’Europa –Tutti dati che fissano in 168 giorni la media di risposta alle interrogazioni. Come dire: il governo non risponde quasi mai, ma se decide di farlo lo fa con più di cinque mesi di ritardo. Ma quello delle interrogazioni senza risposta è un vizio solo italiano? Tanto per cambiare, sembrerebbe di sì. Basta dare uno sguardo ai dati di Bruxelles per capire che rispondere a tutte le interrogazioni è possibile. Nonostante la differenza di lingue e l’enormità degli settori, infatti al Parlamento europeo su 58.840 interrogazioni depositate nella legislatura 2009-2014 il tasso di risposta è vicino al 100%. Stessa situazione per le 31.619 presentate durante la legislatura in corso.
Sono interrogazioni o comunicati stampa? – Come si risolve una situazione del genere, peraltro destinata ad aggravarsi ad ogni cambio di governo e a ogni legislatura? Come si trova una soluzione a un problema decennale mentre i deputati continuano a chiedere e i governi a non rispondere? I tecnici del Senato non hanno dubbi: bisogna cambiare le regole in modo da obbligare i ministri a considerare gli atti parlamentari. “I tempi di svolgimento – scrivono – non sono quasi mai rispettosi dei termini sia pure ordinatori previsti dal Regolamento, il che implica sia la necessità di individuare strumenti che vincolino il Governo ad un più puntuale rispetto degli obblighi di risposta sia un’articolazione dei lavori parlamentari più attenta alle esigenze di svolgimento degli atti ispettivi”. Ma non solo. Perché agli statistici di Palazzo Madama non sfugge un passaggio fondamentale: i parlamentari producono troppe interrogazioni. Al Senato negli ultimi due lustri si è andato al ritmo di 2.800 atti parlamentari all’anno: cioè più di 7 al giorno, tutti i giorni, compresi Natale, Pasqua e Ferragosto. La Camera riesce a fare addirittura peggio: negli ultimi 5 anni ha prodotto 7 mila interrogazioni e interpellanze ogni dodici mesi, cioè 19 al giorno. Non sarà per caso che qualcuno di questi documenti non sia poi così fondamentale? E che l’unico effetto prodotto da alcune interrogazioni sia solo uno spreco di carta, tempo e denaro? I tecnici del Senato concordano. “Non può eludersi il problema di una maggiore sensibilizzazione dei parlamentari, che devono essere dissuasi da utilizzi impropri degli atti ispettivi, quasi come surrogato di comunicati stampa“. Come dire: molte interrogazioni servono solo per dire di averle presentate, alla risposta non sono interessati neanche gli stessi parlamentari. Insomma il governo non risponde, ma alcune domande sono inutili.
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