Le conclusioni, anticipate in questo articolo,
servono a ribadire l'unico teorema sul quale i governi dei principali
paesi della Ue sono in grado di mettersi d'accordo: per aiutarli (si
dice "aiutiamoli", ma si legge "fermiamoli!") fermiamoli a casa loro o a
casa degli altri. L'obiettivo resta esternalizzare i controlli e le
frontiere, respingere, bloccare. In nome di quest'obiettivo si
sacrificano vite umane e principi democratici.
E
allora, se l'esperienza turca, di cui si vantano la Merkel e gli altri
leader europei, insegna che sono i soldi a consentire il raggiungimento
dell'obiettivo, la soluzione sembra essere, semplicemente, mettere in
campo più soldi.
Abbiamo dato 6 miliardi a Erdogan,
che tanto si sta battendo per le democrazie europee (certo cancellando i
diritti in Turchia e sterminando i curdi, ma questi sono effetti
collaterali) e adesso facciamo lo stesso con Al Sarraj,
nell'inferno libico. Il risultato è quello di bloccarli, ovviamente per
il loro bene. Le donne continueranno ad essere stuprate, migliaia di
persone continueranno ad essere torturate e ricattate. Anche questi,
effetti collaterali accettabili.
Ci
rassicura però che i diritti umani in Libia siano l'assillo del
ministro Minniti. Nel frattempo, però, le persone sono saldamente nelle
mani delle bande che controllano il territorio libico e i tanti centri
di detenzione e tortura. Infatti, oltre ad invitare Al Sarraj ai tavoli
con i paesi europei, diamo un riconoscimento internazionale anche alle
milizie libiche, a partire da quelle che controllano la costa
all'altezza di Al Zawiya, che beneficiano sicuramente di soldi europei,
largamente elargiti per compensare le perdite del business delle
partenze.
Abbiamo
fermato i siriani, gli iracheni e gli afgani prima che potessero
arrivare in Europa e chiuso la rotta balcanica. Così i profughi di quei
paesi non vengono più a disturbare le nostre campagne elettorali.
Abbiamo
bloccato, con un accordo con un altro regime democratico al quale
forniamo strumenti, formazione e assistenza tecnica, quello di Omar Al Bashir,
pluriricercato per crimini contro l'umanità per le stragi in Darfur,
gli eritrei in fuga da un presidente noto per essere da più di venti
anni un "difensore" dei diritti umani, Isaias Afewerki.
In
compenso però chiediamo a Unhcr e Oim di aprire campi per profughi in
Libia, da dove far arrivare i "veri" rifugiati, quelli già selezionati e
riconosciuti.
Peccato
che questa operazione, cioè ridistribuire rifugiati già riconosciuti da
Unhcr, trasferendoli in Ue con il reinsediamento (lo stesso possiamo
dire del ricollocamento da Italia, Grecia, Ungheria), a oggi coinvolga
appena poche migliaia di persone. Cifre ridicole se paragonate alla
tragedia della guerra, della persecuzione e dei disastri ambientali che
riguardano tante popolazioni del mondo in questo momento, decine di
milioni di persone (più di 65 milioni nel 2016).
In
attesa che l'Ue e i suoi governi (compreso quello italiano che ha
accolto poche centinaia di persone) decidano di modificare il loro
comportamento in materia di reinsediamento e ricollocamento, chiudiamo
ogni canale d'accesso, anche quello ad alto rischio del Mediterraneo
centrale, in modo da ridurre a zero i flussi (aumentando i morti) e
quindi scaricare sui paesi poveri e governati da dittatori più o meno
conosciuti l'onere dell'accoglienza e del respingimento per conto
nostro.
Una
strategia rispetto alla quale Gentiloni e Minniti, con Macron, Merkel e
Rajoy, in accordo con Federica Mogherini, ricercano un accordo per
poter poi chiedere l'assenso degli altri leader europei.
Così
come si raggiungerà un accordo nel respingere ogni tentativo di
ripartizione equo – così i capi di governo "democratici" potranno dire
che la colpa è degli altri - e nel criminalizzare le Ong, un altro dei punti forti di questo summit.
Insomma,
il solito capolavoro dei leader europei che guardano alle prossime
elezioni e al consenso interno, più che a risolvere problemi e a
tutelare i diritti umani, sacrificabili anche se sempre citati nei
documenti come imprescindibili.
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