La ministra Fedeli col suo estemporaneo annuncio al meeting di CL ha certamente gettato un sasso nello stagno. “L’obbligo scolastico elevato a 18 anni,” -ha detto- è una mia idea”.
micromega a.sani
Le ragioni attribuite al suo gesto sono di varia natura. Chi le ritiene una sorta di compensazione per aver proposto nelle scorse settimane l’accorciamento di un anno del percorso scolastico, chi ritiene che un annuncio di tale dimensione non avrebbe dovuto essere lanciato a titolo personale nel bel mezzo del meeting di CL. Altri e altre si sono affrettati/e a considerare che non è questa una priorità nella situazione in cui versa la scuola italiana.
Non saprei dire se la ministra nel momento in cui ha lanciato questo suo pronunciamento avesse chiara tutta la vicenda pregressa dell’”obbligo scolastico” nel volgere di questi ultimi anni.
Si può parlare così semplicemente di elevare l’obbligo scolastico a 18 anni quando c’è stato tutto un percorso dal 1999 ( Legge 9) - ministro P.I. on. Luigi Berlinguer- alla successiva legge Moratti (Legge 53/2003),alla Legge Finanziaria 296/2006, comma 624?
La legge Berlinguer elevava l’obbligo d’istruzione da otto a dieci anni (poi ridimensionato a 9). Non si parla in quella legge di “obbligo scolastico”, bensì di “obbligo di istruzione” e si prospettano percorsi alternativi a coloro che abbiano adempiuto all’”obbligo di istruzione” (elevato a 16, poi ridimensionato- per evidenti motivi legati all’apprendistato- a 15 anni).
La ministra Moratti abrogò quella legge, sostituendo al termine “obbligo” il concetto di “diritto-dovere”come più rispondente alle esigenze delle moderne società.
Ci troviamo dunque di fronte a una discontinuità nel percorso dei cicli scolastici.
La scuola Primaria, e la Secondaria di primo grado ,in attuazione dell’Art.34/Cost si configurano come obbligatorie e gratuite .
L’intero ciclo vede coincidente”l’obbligo di istruzione” con “l’obbligo scolastico”, in quanto il conseguimento dell’istruzione inferiore ha luogo esclusivamente nelle strutture scolastiche ; non così il ciclo successivo che rispondendo al “diritto-dovere all’istruzione e formazione”presenta diversi percorsi. Un esempio è rappresentato dal biennio della Secondaria superiore successivo all’esame di Stato conclusivo del primo ciclo, che può essere espletato in forme non codificate ma atte a garantire l’espletamento dell’elevazione dell’obbligo d’istruzione a 16 anni, e a stimolare la prosecuzione fino ai 18 anni nel sistema di istruzione.
In verità, una grande confusione che l’obbligo scolastico a 18 anni potrebbe sanare. Ma resta il grave dilemma dell’Apprendistato, oggi parte dell’Obbligo Formativo, già fuori dell’Obbligo Scolastico.
Come può la ministra parlare tout-court di “obbligo scolastico elevato a 18 anni” oltre gli almeno otto anni previsti in Costituzione senza rendersi conto che quell’obbligo riguarderebbe tutti e tutte, e non soltanto il diritto dei capaci e meritevoli anche se privi di mezzi di raggiungere i gradi più alti degli studi, ma anche coloro che oggi si riversano nell’Apprendistato e in altri percorsi previsti dall’Obbligo Formativo?
Se di “obbligo scolastico” si parla,l’adempimento riguarda tutti e tutte. Sanzioni per chi non adempie, sostegni a tutte le famiglie impossibilitate di mantenere figli e figlie nella scuola senza le entrate di qualche lavoretto da loro svolto anche abusivamente, lotta effettiva alla dispersione scolastica dovuta all’abbandono di percorsi, oggi non più obbligatori ma semplicemente legati al tenue filo del diritto/dovere.
Le spiegazioni per ora fornite dalla ministra Fedeli sono assai vaghe: mirare a un livello alto e diffuso dell’acquisizione delle conoscenze per una società sempre più rivolta al conseguimento di innovazioni competitive. Alle obiezioni mosse riguardo l’enorme aumento di spesa che l’operazione comporterebbe, la ministra ha risposto che si tratterebbe della “rimodulazione dell’iter scolastico dei ragazzi”, il che potrebbe comportare addirittura delle entrate. In che senso?
Estendendo obbligatoriamente a tutti e a tutte fino al 18.mo anno i percorsi che già oggi fanno parte delle alternative nell’ambito del diritto/dovere non vorremmo che l’asso nella manica fosse la soluzione scuola-lavoro, invocando esempi europei, in particolare la Germania.
Se “scuola” deve essere, “scuola” sia. Scuola sui banchi, con docenti nel numero adeguato alle nuove esigenze, mediatori linguistici, laboratori, introduzione di nuove tecnologie al servizio dei saperi, modalità e programmi elaborati dal CNPI (benché oggi nella nuova veste il CSPI non sia da molti di noi condivisibile e si miri da parte di un coordinamento di associazioni a una sua riforma).
L’obiettivo deve essere la formazione di una coscienza critica sulla base della conoscenza dei fatti storici che faccia dei giovani di oggi cittadini in grado di discernere tra democrazia e suo affossamento, tra paternalismo e solidarietà, tra dignità nelle forme di lavoro e accettazione di qualsiasi proposta indipendentemente dalla sua provenienza, cittadini e cittadine in grado di lottare contro le disuguaglianze sociali ed economiche.
Non è certo il lavoro, spesso sfruttamento degradante sotto il nome di “scuola-lavoro”, che può aprire agli studenti prospettive per un futuro che deve significare al di là dello spirito provvisorio di adattamento capacità di immaginare e saper lottare per un mondo diverso contro l’ingiustizia globale.
A questo, e solo a questo, deve tendere la formazione obbligatoria nella scuola fino a 18 anni.
Antonia Sani
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