Stando ai dati ufficiali dell’Ufficio nazionale di statistica, messe insieme le due regioni contano per quasi la metà delle piantagioni di canapa destinate legalmente ad uso commerciale a livello mondiale. L’estensione esatta delle coltivazioni – così come la produzione annua (lecita e illecita) – rientra tuttavia tra gli irrivelabili “segreti di stato”. Nota nell’ex Celeste Impero fin dalla dinastia Shang (1600-c. 1046 a.C.) per il suo utilizzo nella fabbricazione di un prototipo della carta, la cannabis continua a sedurre Pechino con la sua versatilità: laddove i gambi delle piante trovano una loro funzionalità nell’industria tessile, le foglie finiscono nel settore farmaceutico mentre i semi vengono acquistati dalle aziende alimentari per la produzione di snack, olio da cucina e bevande. Per il governo centrale, mantenere vivo il lucroso business è una questione di stabilità interna e prestigio internazionale.
La preziosa pianta è, infatti, una fonte di facile guadagno per le comunità rurali: la canapa rende più di 10mila yuan (1.500 dollari) per ettaro – rispetto alle poche migliaia generate da colture più comuni come il mais – ed essendo quasi immune all’attacco di parassiti non richiede l’utilizzo di costosi pesticidi. Tanto che, stando alla Yunnan Academy of Agricultural Science, fiutando l’affare, negli ultimi anni buona parte della popolazione locale coinvolta nella produzione del lino si è convertita alla cannabis. Le possibili ripercussioni sociali di un inasprimento del quadro normativo in materia lasciano le autorità con le mani legate, nonostante la consapevolezza dell’esistenza – soprattutto nel Jilin e nella Mongolia Interna – di piantagioni irregolari di canapa e marijuana, entrambe derivati della cannabis sativa ma differenti per quantità del componente psicoattivo THC (tetraidrocannabinolo) – secondo gli standard internazionali valori superiori allo 0,3% vengono considerati “pericolosi” per la salute.
Secondo la World Intellectual Property Organisation, ormai sono oltre 600 i brevetti “made in China” sulla cannabis, molti dei quali pensati per il mercato internazionale, dove le compagnie occidentali stanno muovendo i primi passi. Un esempio: un farmaco per curare i disturbi post-traumatici da stress su cui stanno lavorando in tandem il pechinese Hemp Investment Group e l’Esercito popolare di liberazione. Con succursali negli Stati Uniti, la società cinese punta a mettere radici in Israele, Canada, Giappone ed Europa fino a inglobare tutti gli oltre sessanta paesi membri del progetto “Nuova Via della Seta”, una cintura economica attraverso l’Eurasia con la Cina a fare da traino. Altri tempi quelli in cui “Silk Road” era soprattutto il nome di un vecchio sito per la vendita online di stupefacenti.
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