La diocesi del Papa è pronta ad accogliere i rifugiati sgomberati oggi nella Capitale. La conferma a IlFattoQuotidiano.it è arrivata al termine di una giornata che ha visto violenti scontri dei migranti con le forze dell’ordine. A pochi giorni dal messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che sarà celebrata nel 2018, arriva un impegno concreto da parte delle istituzioni ecclesiali.
Per monsignor Paolo Lojudice, vescovo ausiliare di Roma e delegato Migrantes della Conferenza Episcopale del Lazio, “è arrivato il momento di stabilire politiche di convivenza pacifiche per una integrazione reale. Gli sgomberi, come quello di oggi, non sono certamente una risposta adeguata”. Il presule, da sempre vicino ai migranti e ai rom, è stato presente allo sgombero di rifugiati eritrei ed etiopici in piazza Indipendenza a Roma.
“Sono seriamente preoccupato – prosegue Lojudice – per quanto avvenuto che non porta però a nulla senza risposte concrete e capillari in tutta la città. Da qui, come detto anche da altri esponenti del mondo cattolico, c’è bisogno di una risposta progettuale e strutturale. Per questo siamo disponibili a partecipare a incontri di programmazione con le istituzioni competenti e con chi ha veramente a cuore questi problemi per trovare vere e proprie soluzioni per garantire un futuro diverso a questi uomini, donne e bambini che hanno solo la colpa di essere fuggiti da realtà di guerra e povertà nella speranza un futuro diverso”.

Lojudice non fa sconti a nessuno: “Possiamo chiamarla la ‘città degli sgomberi’: sì, la città ‘eterna’, la ‘Roma Capitale’ si è trasformata in una città che fa ‘piazza pulita’, dove, nel cuore dell’estate, con i terremoti che incombono e con gli attentati che ci fanno aver paura, devono emergere il diritto e la giustizia a scapito di altro. Magari l’immondizia, quella vera, resta per le strade, ma le persone, famiglie intere con donne e bambini vanno rimosse. Due sgomberi in pochi giorni, – sottolinea ancora il presule – in due punti della nostra città, uno a via Quintavalle a Cinecittà, e uno a via Curtatone, a due passi dalla Stazione Termini: due sgomberi che hanno provocato degli accampamenti: uno, direi molto originale, nel portico della basilica dei Santi Apostoli e uno nei giardini di piazza dell’Indipendenza”.
Il vescovo ausiliare di Roma tiene a precisare anche “l’inadeguatezza del termine ‘sgombero’, usato per macerie e rifiuti e non adatto alle persone. Stiamo rivelando il vero volto delle nostre intenzioni: liberarci di qualcosa, o forse di qualcuno. Ma è pura illusione: quelle persone esistono, sono vive, in carne e ossa, respirano, mangiano: sono come noi, come me come tutti. L’unica differenza è che sono nate nel posto sbagliato, sono cresciute nel posto sbagliato e, purtroppo, non vorrei dirlo, sono ‘arrivate’ nel posto sbagliato. Mi piacerebbe pensare che sono arrivate nel posto giusto”.
Da queste considerazioni nasce la domanda di Lojudice: “Perché non immaginare di accogliere, proteggere, promuovere, integrare, come ha recentemente proposto Papa Francesco, migranti, rifugiati e chiunque si trova in una situazione di marginalità, italiani compresi? ‘Abbiamo già tanti problemi noi italiani! Non riusciamo a trovare lavoro e occupazioni decenti noi…’.  Questi sono i discorsi che si propongono, dietro i quali ci mascheriamo.  Se è vero che oggi la guerra è globale, perché non pensare di rendere globale anche la solidarietà?”.
Per il presule “non si tratta di favorire alcuni a scapito di altri ma di combattere insieme, uniti dal comune ideale di costruire realmente e concretamente un mondo migliore, quello che nel linguaggio della fede chiamiamo il ‘Regno di Dio’, che è ‘già’ ma ‘non ancora’. Si sente dire che in mezzo a queste persone ce ne sono alcune che strumentalizzano, che approfittano di situazioni per propri interessi, i ‘professionisti dell’occupazione’, come vengono chiamati e viene rimproverato a noi uomini di Chiesa di difendere persone che non hanno nessun diritto e nessun bisogno, a volte veri e propri delinquenti. Ma in mezzo ci sono anche anziani, bambini, donne la cui unica professione è quella di essere mamme. Ecco perché non possiamo non stare dalla parte dei più piccoli, dei più deboli: perché ce ne sono, e sono anche tanti. E noi non possiamo non stare dalla loro parte”.
Lojudice sottolinea, inoltre, che “il Comune solitamente propone accoglienze per mamme e bambini: perché non cominciare a pensare a delle accoglienze vere per tutta la famiglia? Ci sono delle esperienze in atto: basta riproporle. E non si dica che è un problema di costi: purtroppo costano molto di più le case famiglia, in alcuni casi indispensabili, che non altri luoghi di accoglienza più autonoma per l’intero nucleo. Non servono guerre, né polemiche con le Amministrazioni pubbliche, né tantomeno con le forze dell’ordine, che fanno solo il loro dovere di obbedire a dei comandi. Né guerre né polemiche risolvono problemi: serve un dialogo serio e serrato da parte di tutte le forze in campo, istituzionali e non, volontariato e terzo settore”.
L’appello del presule è chiaro: “Ognuno faccia la sua parte e chi non vuole dialogare si ritiri in disparte. Troppa sofferenza è già stata vissuta da chi non ne aveva e non ne ha nessuna colpa. Non ci può essere un dominatore e un dominato, chi comanda e chi è costretto a subire: le conquiste di civiltà del nostro tempo, anche se subiscono attacchi continui, non possono essere messe in discussione da nessuno. Stabiliamo una convivenza più pacifica, una integrazione più reale, una collaborazione in cui ognuno possa dare il meglio di sé e saremo più sicuri anche dalle violenze e dagli attentati”.
“L’Italia – conclude Lojudice – ancora è stata risparmiata e tutti ci chiediamo il perché: ci auguriamo che lo sia ancora, che non accada anche a noi di dover piangere qualche persona cara. Ma non possiamo affidarci al fatalismo o alla casualità: dobbiamo con responsabilità costruire una fraternità vera che magari metterà in discussione qualche nostro ‘diritto acquisito’, ma ci permetterà di garantire un futuro diverso, migliore ai nostri figli e forse anche ai nostri nipoti”.
Sulla stessa linea la Caritas di Roma, presente allo sgombero avvenuto in piazza Indipendenza con un equipe di operatori, che si è subito attivata concretamente a sostegno dei nuclei più fragili. “Un intervento di questo tipo – sottolineano i vertici della Caritas della Capitale – per l’alto numero delle persone interessate, per la presenza di bambini e nuclei familiari e per la storia di sofferenze e violenze che queste persone hanno subito, richiedeva da tempo interventi sociali mirati e programmati, inseriti in un più vasto programma di iniziative che riguardano gli alloggi popolari e le strutture di accoglienza di emergenza. Purtroppo queste politiche, come hanno dimostrato i fatti di ‘Mafia Capitale’, sono assenti da anni nella nostra città e di questo ne approfittano gruppi e organizzazioni che vivono sulle spalle dei poveri anche nei fenomeni delle occupazioni”.
La Caritas di Roma “chiede l’istituzione di un tavolo permanente presso la Prefettura, con Comune e Regione, per il monitoraggio e la gestione delle occupazioni. Fenomeni così complessi non possono infatti essere lasciati gestire alla magistratura e alle forze dell’ordine. Occorre prevedere percorsi di integrazione mirati che tengano conto dei nuclei familiari, del livello di istruzione e del percorso migratorio dei singoli. Non bastano pochi mesi nelle strutture di accoglienza perché si possa parlare di accoglienza. Occorre prendere coscienza che il riconoscimento della protezione internazionale a un cittadino straniero non è solo un atto amministrativo, ma un impegno per il nostro Paese ben delineato da Papa Francesco”.
Twitter: @FrancescoGrana