La mafia foggiana è mafia. Punto. Almeno a questo sarà servita la morte di due innocenti. Niente più giri di parole.
Giuliano Volpe
Archeologo, presidente del Consiglio Superiore Beni culturali e paesaggistici del MiBACT
La
mafia foggiana è mafia. Punto. Almeno a questo sarà servita la morte di
due innocenti. Niente più giri di parole. Da anni c'è chi ne parlava e
veniva accusato di infangare la Capitanata (come se non fosse la mafia a
spargere fango e qualcosa di molto più puzzolente e putrido nel
contesto sociale, economico e politico locale).
Basta
con tentativi di edulcorare e sottovalutare. Basta con forme, anche
involontarie (ma a volte purtroppo volontarie), di vicinanza, di
accondiscendenza, da parte della politica (i voti della mafia fanno
comodo!) e dell'economia (meglio pagare il pizzo che avere fastidi!).
Serve innanzitutto un'azione di polizia più efficace, soprattutto dal
punto di vista investigativo, oltre che repressivo. Ma serve un'azione
più sotterranea, più lenta, più lunga, sistematica di costruzione dal
basso di una coscienza civile, di legalità diffusa (a tutti i livelli,
anche quelli apparentemente 'insignificanti', come la cura del decoro di
una città). Un'azione che coinvolga tutti, nessuno escluso, e che deve
vedere in prima linea il mondo della scuola, dell'università, della
cultura.
Serve
la costruzione di una classe politica più colta e con una visione
progettuale (ovviamente onesta, ma l'onestà da sola non basta; è solo un
requisito prepolitico, ma insufficiente, checché ne dicano alcuni che
la sbandierano come la soluzione di tutti i mali; un medico onesto ma
incompetente potremmo sceglierlo come amico ma certo non lo sceglieremmo
per farci curare). Servono rimedi radicali con un forte impatto, ma
anche pillole quotidiane di cultura, di civismo, di cura degli spazi
comuni per guarire una malattia cosi profonda.
Alcuni
questo lo fanno da anni, a volte isolatamente e in silenzio. Chi
organizza iniziative di cultura, di sport, di socializzazione, per
tutti. Chi insegna nelle scuole e nell'università tra mille difficoltà.
Chi si impegna per gli ultimi. Chi ha deciso di restare e di lottare.
Chi recupera un edificio abbandonato nel centro storico o un pezzo di
parco cittadino strappandolo al degrado, allo spaccio, alla
microillegalità e lo restituisce a nuova vita e ai cittadini, purtroppo
spesso nel disinteresse delle istituzioni. Chi costruisce occasioni di
lavoro e di economia sana, pulita, valorizzando il patrimonio locale e
non consumandolo e distruggendolo. E tanti tanti altri. Ecco, servirebbe
un maggior sostegno a queste iniziative, a queste associazioni, a
queste organizzazioni, a queste persone. E come scriveva Calvino nelle
Città invisibili, bisogna riconoscere "chi e cosa, in mezzo all'inferno,
non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio".
E forse, in questi giorni, qui a Foggia, in Capitanata, le parole di Calvino sono quelle che rendono meglio cosa serva: "L'inferno
dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già
qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti:
accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui:
cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è
inferno, e farlo durare, e dargli spazio."
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