Furgone,
Tir o auto lanciati a falciare l’infedele occidentale, turista o
residente che sia, ripete il copione già drammaticamente visto a Nizza,
Berlino, Stoccolma, Londra. Colpisce a Barcellona e avrebbe potuto farlo
ovunque, perché questa è la codificazione più semplice offerta al
jihadismo ‘fai da te’ per seminare sangue e panico alla stregua dei
miliziani addestrati che sanno usare tritolo e kalashnikov.
Lo
si afferma da mesi: le sconfitte sul campo e gli spazi ristretti del
Daesh mediorientale, restituiscono all’Europa un buon numero di foreign fighters, le Intelligence
ne contano oltre tremila (un migliaio di Francia, settecento belgi e
via andare anche per i duecento italiani e altrettanti spagnoli) che
potrebbero tornare, o già sono rientrati, nelle città comunitarie.
Costoro potranno proseguire la militanza jihadista colpendo il cuore
dell’Europa, sebbene parecchi siano conosciuti, schedati, magari già
osservati e intercettati. Ma per il genere d’attentato, simile a questo
catalano (13 vittime che potrebbero aumentare per le condizioni
disperate di alcuni degli 80 feriti) servono identificazione a una causa
e sangue freddo, non necessariamente l’esperienza militare sui campi di
battaglia siriano o afghano.
Fra
l’altro, il reclutamento per azioni che diventano sanguinose come
queste delle vetture lanciate sulla folla, non avviene in particolari
luoghi d’incontro, né tantomeno in quelle moschee ostaggio di
predicatori radicali. Abbiamo visto come sia la grande rete virtuale a
dare corpo e vigore alle nuove leve jihadiste, in genere giovani, senza
un passato né politico né di radicalismo religioso. Tutto è molto
rapido, libero, diremmo facile, se non si trattasse di scegliere la via
che semina morte nelle strade; seppure nella mente dei nuovi combattenti
si tratta d’una scelta che vuol restituire, colpo su colpo, quella
destabilizzazione che gli eserciti “infedeli” conducono altrove.
Eppure
la casualità dell’obiettivo spagnolo è meno casuale di quel che
sembrerebbe. E se Qaeda nel marzo 2004 colpiva la stazione madrilena di
Atocha, causando 192 vittime, per punire l’impegno iberico nelle
missioni Nato mediorientali a cominciare dall’Iraq, oggi il pensiero
degli analisti corre al Sahel, alle sue contraddizioni, agli interessi
europei in quelle aree, che sono francesi più che spagnoli e coinvolgono
Paesi come le ex colonie di Mali e Mauritania.
Ma
la Spagna, che pure addestra i peshmerga nemici dell’Isis, conta un
numero non esiguo di immigrati marocchini, che assieme ai tunisini hanno
in questi anni ingrossato le file jihadiste. Dati ufficiali raccontano
di circa duecento sospettati fondamentalisti fermati dall’Intelligence
di Madrid negli ultimi due anni, molti di loro erano appunto maghrebini,
com’è marocchino uno degli attentatori di cui è stata diffusa
l’identità. Giallo nel giallo, lui non sarebbe il vero Driss Oukabir, di
cui sono stati ritrovati i documenti serviti per il noleggio del van
stragista, bensì il fratello diciottenne Moussa. L’ha rivelato alla
polizia il vero Driss, presentandosi in un commissariato dopo aver
appreso la notizia della mattanza. I suoi documenti sarebbero stati
sottratti e usati dal più giovane, che, però, avendo complici non
sembrerebbe proprio un attentatore solitario.
Cosicché
la filiera della vicenda è ancora al vaglio d’investigatori e
osservatori geopolitici. Lo è anche la rivendicazione dell’Isis, giunta
in serata. Vera? Falsa? Bisognerà studiarlo. Come sempre non manca di
retorica e di finalità propagandistica quando, in riferimento al luogo
dell’agguato, rievoca i fasti islamici dell’Andalusia. Se l’Isis, pur in
crisi, sta cercando macabri rilanci in terra europea sembra non
tralasciare mito ed enfasi che distolgono i seguaci dall’inevitabile
nuova scia di sangue. Oppure li inebriano.
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it
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