Capita di restare sorpresi, non tanto e non solo politicamente ma
anche umanamente da come si sia capaci sotto governi come l’attuale di
travisare la realtà.
rifondazione.it Stefano Galieni*
Avviene in molti settori, ascoltare ministri e
portavoce nei talk show descrivere un paese sorridente e giulivo, ormai
uscito dalla crisi, in cui le riforme fatte (?) stanno già migliorando
la vita degli italiani, cozza e stride con la quotidianità di un paese
impoverito e spesso imbarbarito. Facile dire che i volti patinati,
giovanili e perennemente sorridenti poco vedono di quanto non rientri
nel proprio piccolo orizzonte, di mondi chiusi e ovattati, dove il
dolore non arriva. Sì utilizziamo una categoria prepolitica forse, come
il dolore dopo aver passato una mattinata nella sala Cerimoniale del
Ministero dell’Interno e aver assistito alla presentazione del Rapporto
sull’accoglienza di migranti e rifugiati in Italia, realizzato in
pochissimi giorni grazie ad un “team efficiente”. Ma è un rapporto opaco
quello che ci è stato consegnato, in cui le sfavillanti luci appaiono
finte mentre le ombre vengono tenute, in alcuni casi in maniera
dichiaratamente voluta, in secondo piano. Nelle oltre 100 pagine del
testo, solo poche righe nell’introduzione, (due per l’esattezza) vengono
dedicate ai fenomeni di corruzione che hanno accompagnato e quasi
certamente ancora accompagnano la gestione delle risorse che andrebbe
utilizzata per provvedere a chi trova scampo in Italia. Una omissione
voluta perché “il mondo dell’accoglienza è quasi totalmente sano” hanno
ripetuto gli attori istituzionali. Peccato che, al di là di una
quisquilia (direbbe Totò) come Mafia Capitale, ci siano ad oggi circa 14
Procure che stanno conducendo indagini in materia.
Numerosi imputati
stanno già collaborando e probabilmente con l’apertura del processo
romano si cominceranno ad udire i primi boati. «Tante realtà sociali
sono impegnate ma è preoccupante il silenzio sugli affari che si
nascondono dietro i migranti – recita una nota presentata dalla Campagna
LasciateCIEntrare, Libera e Cittadinanza Attiva – Chiediamo trasparenza
sulla gestione del sistema di accoglienza per i richiedenti asilo». Il
comunicato prosegue affermando che: «Se da un lato viene giustamente
messo in risalto il riconoscimento ai tanti comuni, operatori, realtà
sociali che si sono messi in gioco e operano e aiutano nella trasparenza
i migranti dall’altro evidenziamo il mancato e totale riferimento alle
illegalità, alle opacità, ai grandi affari che mafie e corruzioni, come
dimostrano le recenti inchieste, hanno operato sulla pelle dei migranti.
Alla politica, alle Istituzioni chiediamo trasparenza sulla gestione
del sistema di accoglienza per richiedenti asilo. Infatti, nonostante
siano oltre 40.000 le persone ospitate, non c’è una mappa pubblica dei
cosiddetti CAS, (Centri di Accoglienza Straordinaria ndr) mancano
informazioni chiare ed accessibili sui soggetti gestori, convenzioni,
gestione economica e, soprattutto, rispetto degli standard di erogazione
dei servizi previsti da convenzioni e capitolati d’appalto». A tal
proposito i tre soggetti sopracitati, attraverso la campagna
“InCAStrati”, sin dal mese di giugno hanno rivolto al Ministero
dell’interno ed alle 105 Prefetture italiane un’istanza di accesso
civico ai sensi della legge sulla trasparenza (D. Lgs 33/2013),
chiedendo la pubblicazione dell’elenco dei CAS presenti sul territorio
nazionale, degli enti gestori, di informazioni inerenti gare,
convenzioni, rendicontazioni, esiti delle attività di monitoraggio sui
servizi erogati. «Il Ministero e gran parte delle Prefetture
interpellate- denunciano le tre associazioni- salvo alcune eccezioni,
hanno rigettato in buona sostanza le istanze, limitandosi a fornire
alcuni dati generici sul numero complessivo degli ospiti delle strutture
e sui bandi di gara relativi agli affidamenti, affermando laconicamente
che le informazioni richieste non fossero soggette ad obbligo di
pubblicazione. E per queste ragioni è stato depositato un riscorso al
TAR del Lazio, predisposto dall’avvocato Maria Cento di “Cittadinanza
Attiva -Giustizia per i diritti”.
Ma non sono state solo queste omissioni a preoccupare la platea di
esperti che attendeva qualche elemento di novità dal rapporto.
L’entusiasmo dei presentatori, dal Prefetto Rosa Scotto Lavina, al Prof.
Antonio Golini, coordinatore del team che ha curato la redazione, al
Responsabile del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione, Mario
Morcone, al Sottosegretario Domenico Manzione, poco si sposano con la
stessa realtà che veniva raccontata. Dei 136.432 profughi censiti al 10
ottobre scorso, il 72% 70.918 sono ospitati nei 3090 CAS, strutture
temporanee da cui non nasce di fatto alcun percorso di autonomia. Eppure
si dice che la fase emergenziale appartiene al passato e ora
faticosamente e con molti problemi si sta realizzando un vero sistema di
accoglienza. Ma sono i dati stessi prodotti nel rapporto che
smentiscono tale idilliaca situazione. Quello che si sta tentando di
realizzare è si un sistema ma non di accoglienza quanto di espulsione.
Si considera significativo il fatto che sia aumentato il numero dei
dinieghi alle richieste di protezione, si rinforza la dose dicendo che
per chi arriva da alcuni paesi le domande vengono respinte nella
totalità dei casi malgrado l’esame debba vertere sulla situazione
individuale di chi fugge. Le rotte migratorie sono cambiate e molti dei
nuclei familiari siriani, che ottengono automaticamente la protezione
(umanitaria o sussidiaria) passano ormai attraverso la “Balkan Route”
evitando accuratamente Italia e Grecia. Quindi chi giunge da paesi con
conflitti a “bassa intensità” è considerato “migrante economico” ed in
quanto tale, se non ha i requisiti, da rimandare a casa. C’è stato si un
intervento “umanitario” del Prefetto Morcone, secondo cui va rispettato
l’Art 10 della Costituzione (se lo si facesse integralmente nessuno
potrebbe più essere espulso) e secondo cui vanno ripristinati (bontà
sua) canali d’ingresso legali per lavoro in Europa. Ma nei fatti ormai,
la Sicilia soprattutto, ma gran parte dell’Italia si ritrova a dover
fare i conti con uomini e donne a cui è stato direttamente consegnato un
decreto di respingimento, con l’obbligo di allontanarsi entro 7 giorni
dal territorio nazionale. Impossibile farlo a spese proprie, interverrà
l’Unione Europea per fornire risorse perché il lavoro che dovranno fare
governi come quello italiano sarà quello sporco, quello dei rimpatri
forzati. Nei prossimi 11 e 12 novembre, a La Valletta (Malta) ci sarà un
incontro fra governanti europei e dei “paesi terzi” (Unione Africana in
primis). Scopo dell’incontro quello del definire una lista più ampia di
“paesi sicuri” in cui poter trattenere i profughi, esaminare in loco le
richieste d’asilo senza farli giungere in Europa, rispedire a casa gli
altri. E in questa lista finiranno quasi certamente paesi come la
Turchia, il Gambia, la Nigeria, ovvero i paesi da cui si fugge.
Obbiettivo dichiarato è quello di confinare i profughi nei paesi
africani, indipendentemente dal fatto che i diritti di chi fugge vengano
realmente rispettati. Un piano molto probabilmente destinato al
fallimento, come ogni politica proibizionista, che arricchirà ancora di
più i trafficanti di esseri umani ma che non tratterrà chi non ha più
nulla da perdere a casa propria. E per chi riuscirà ad arrivare in
Italia e negli altri paesi, dovrebbe, secondo il Viminale, funzionare il
meccanismo degli Hotspot. In teoria, nei luoghi di sbarco dovrebbero
funzionare come centri di snodo per separare i “legittimi richiedenti
asilo” dagli indesiderabili da espellere. La loro natura giuridica resta
ancora nebulosa e preoccupante ma di fatto determina che si creino 2500
posti, quasi tutti in Sicilia, per persone che in parte minima saranno
(secondo i promotori in tempi brevi) occupati da persone riconosciute
degne di protezione e da trasferire verso percorsi diversi, in gran
parte sarà rinchiusa in attesa di rimpatrio, esito di un ricorso al
diniego o perché considerato a rischio fuga, anche per un anno se
occorre. Nuovi CIE per richiedenti asilo di fatto. Funzioneranno? Per
ora gli arrivi continuano ad essere consistenti e nonostante esistano
già le strutture per “ospitare” 1500 persone, uomini e donne vengono
identificati, foto segnalati e lasciati fuori con un invito a lasciare
il territorio nazionale di cui spesso ignorano anche il senso. Insomma
trattenimenti inutili che producono condizioni di irregolarità
amministrativa e condannano all’espulsione e all’emarginazione. Altro
che emergenza controllata. Ma teniamoci al rapporto. Le persone ritenute
degne di protezione e quelli considerati vulnerabili (minori e a volte
donne) dovrebbero finire negli hub regionali (l’inglese impazza) centri
di smistamento in cui permanere da 7 a 30 giorni, soprattutto caserme,
per poi essere spostati negli Sprar (centri dei Comuni del Sistema
Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) o venire rilocati nei paesi
europei che dovrebbero prenderli in carico. Parliamo di persone o di
pacchi? Difficile capirlo. Ma a nessuno viene il dubbio che sia anche
questa la ragione per cui in tanti evitano come la peste il tentativo di
imporre l’identificazione? Il dubbio che sia questa una delle cause per
cui i minori non accompagnati spariscano così facilmente nel nulla? Si
considera strano che solo il 7% dei profughi siano donne? Dipende forse
dal fatto che molte sono già state vendute nei mercati dello
sfruttamento sessuale e attraversino questi meccanismi come fantasmi per
finire nelle strade delle nostre periferie? Quando poi se ne trovano
gruppi allora la soluzione migliore è quella di rimpatriarle e
rimetterle in mano ai loro sfruttatori, nonostante (è capitato a Roma
recentemente) avessero già pronto il decreto che ne sospendeva
l’espulsione. Ma si vuole scendere più in basso? E sia! In aumento
costante l’arrivo di minori non accompagnati, nel 2014 su 14.243, di
questi 3.707 si sono resi irreperibili, quasi uno su quattro. Quest’anno
andrà probabilmente peggio; al 31 agosto erano segnalati 14.378, di cui
5.434 spariti nel nulla. Di quelli rimasti il 95% sono uomini. Eppure
non serve essere al Viminale, basta passare, possibilmente la notte, nei
punti di sosta della incompiuta Reggio Calabria – Salerno per trovare
pullman che caricano ragazzine e ragazzi, difficile conoscerne l’età, da
un furgone all’altro, per destinazione ignota. Il governo punta sulle
best pratics (altro bisogno di inglesismi inutili) citando esperienze
che sono però piccole luci, anche intermittenti, in un panorama
sconfortante.
Tre elementi per concludere 1) Nella nuova ripartizione di profughi
prevalgono Regioni ricche come Lombardia (18%), Toscana (13%), Emilia
Romagna (12%). Si leghisti e centro sinistra uniti nel gestire i CAS e i
soldi che ne derivano. Con soddisfazione i relatori hanno dichiarato
nel rapporto che, rispetto al 2011 oggi un profugo adulto non costa più
di 30-35 euro al giorno, (4 anni fa ne costava 45) e un minore non più
di 45 (quattro anni fa 75 euro). Taglio dei costi, ovvero dei servizi
offerti e contemporaneamente regioni prima refrattarie che si rendono
disponibili ai CAS? La torta, rivedibile al rialzo, di spese per l’anno
corrente è di 1 miliardo e 162 milioni, niente male per chi vuol
continuare a fare affari con i migranti. Al ministero hanno detto che
non accetteranno più le offerte che arrivano dagli albergatori
intenzionati ad avere la struttura piena in bassa stagione. Ci possiamo
credere, caserme e luoghi di pubblica proprietà, costano meno e rendono
di più soprattutto se affidati sempre alle stesse vecchie cooperative
bianche o similrosse. E sono strutture che fanno girare l’economia, che
creano occupazione anche se saltuaria. Questo sarà il sistema? Vedremo
se a pensar male si fa peccato ma ci si prende. 2) Non più grossi centri
come Mineo (Ct) ma cosa saranno allora gli Hotspot? Spariranno i CARA
(Centri Accoglienza Richiedenti Asilo e Rifugiati) ma aumenteranno gli
Hub, parcheggi di dimensioni forse minori ma sempre ghetti per pacchi da
spedire verso destinazione ignota, gli Sprar che funzionano (non molti)
o quelli in cui si è dimenticati. Diciamo questo da Roma dove oggi
vivono migliaia di persone in occupazioni informali, senza futuro, con
il solo desiderio di scappare dall’Italia e di trovare i mezzi,
qualsiasi mezzo, per faro. Persone che in base alle leggi vigenti spesso
non riescono neanche a vedersi rinnovato il permesso di protezione
umanitaria perché viene chiesto loro un contratto d’affitto che, non
lavorando, non potranno mai avere. Impossibile – per ora – cacciarli –
impossibile garantire un futuro dignitoso, facile invece continuare a
sfruttarli in ogni nicchia economica, legale o illegale che sia. Di
percorsi di autonomizzazione non c’è neanche l’ombra, a parte piccole e
preziose esperienze, il panorama è desolante ma di questo al Viminale
non si parla. 3) “I vantaggi dell’accoglienza”. Ci è voluto poco per i
funzionari del Viminale a spiegare che accogliere conviene, che il
rapporto costi benefici rispetto all’immigrazione regolare ha fatto
segnare per il 2012 un saldo positivo di 3,9 miliardi. Allora perché non
regolarizzare anche i tanti e le tante costrette da un diniego a
restare illegali? Forse perché conviene, sia al mercato che al contesto
ideologico che ne giustifica la supremazia.
Al Viminale spetterà, come si diceva l’organizzazione insieme a
Frontex, Easo, Unhcr eccetera, di provvedere alla deportazione di coloro
che non hanno diritto a restare in Europa. Una operazione di marketing
elettorale per concorrere con le destre xenofobe sul tema della
sicurezza ma destinato a fallire miseramente. Saranno pochi i paesi che
accetteranno i rimpatri forzati, in cambio di armi e soldi, saranno
molti e molte coloro che ritenteranno la fuga, che non hanno nulla da
perdere fuorché le catene. Ma, non a caso, nessun rifugiato, nessun
profugo, nessun richiedente asilo ha avuto la parola al Ministero
dell’Interno. Forse perché la ricerca della libertà e della salvezza non
si possono addomesticare in un rapporto realizzato in puro stile
coloniale. Si esce dall’ambiente cupo del Ministero con la certezza che
quelle che si dicono nei corridoi sono inutili rassicurazioni incapaci
di cogliere un mondo che abbatterà le muraglie europee, i fili spinati,
gli apparati repressivi e di controllo. Costerà sangue innocente, di
tanti altri morti in mare o sui Balcani e violenza e dolore ma viene da
dire, rischiando di essere retorici che solo la pace e l’equa
distribuzione delle risorse potrebbero salvare questo vecchio e cieco
continente e coloro che lo abitano.
*Responsabile immigrazione Prc
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sabato 24 ottobre 2015
Le mani sull’accoglienza. Al Viminale, tanti proclami ma tragica realtà.
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