"Un capitalismo predatorio che produce scarti" in balìa di "una finanza che espelle la classe media per accumulare sempre più ricchezza".
Nonostante le traiettorie differenti, Giovannini e Sassen vedono con chiarezza il pericolo del numero sempre maggiore di disoccupati, poveri e senza casa - un tempo appartenenti a una classe media in via di riduzione - che caratterizzano l'Occidente in crisi: non soltanto un problema politico che genera populismo ma anche una questione squisitamente economica.
Ecco perché, durante il dibattito, il predecessore di Giuliano Poletti avverte che "il Jobs Act da solo non può creare lavoro, servono politiche integrate" e "mi aspettavo che il governo investisse maggiormente su questo settore".
Tuttavia la prospettiva è mondiale. E riguarda gli "scarti" della globalizzazione. Come ricorda Giovannini "i giovani senza lavoro né studio costano all'Unione europea 150 miliardi di euro l'anno, dobbiamo tenere conto di questo capitale umano sprecato".
Per entrambi questo non è il prodotto di una classica crisi economica. "Il motore della nostra epoca è la finanza. E' lei che decide chi rimane dentro e chi rimane fuori", dice Sassen, docente alla Columbia University e alla London School of Economics. "Ma la finanza non c'entra con i soldi. Vende semplicemente qualcosa che non ha come nel caso dei mutui subprime negli Stati Uniti che hanno lasciato senza alloggio 30 milioni di persone ora invisibili", spiega mentre indica il diagramma della crescita vertiginosa del capitale finanziario negli ultimi anni: il mercato dei derivati creditizi (Cds) valeva 919 bilioni di dollari nel 2001, nel 2008 era arrivato a 62,2 trilioni di dollari. E cioè più del prodotto interno lordo di tutti i Paesi del mondo insieme: 54,6 trilioni.
"La stessa Federal Reserve", continua Sassen, "ammette di non sapere cosa succede esattamente nei dark pools e cioè nei mercati privati esclusivi delle banche dove avviene il financial trading". Il risultato sociale è l'espulsione sistematica di intere comunità di persone dai territori: non solo nelle città "che si riempiono di uffici" o come a Londra "dove i regnanti del Qatar ormai possiedono più immobili della regina d'Inghilterra" ma anche dalle campagne del Sud del mondo preda di illimitate operazioni finanziarie che impoveriscono.
"Nessuno studia e considera coloro che vengono espulsi da questo sistema", avverte la sociologa che ha appena dato alle stampe "Espulsioni, brutalità e complessità nell'economia globale" (Mulino 2015). E per Giovannini, ora anche co-presidente dell'Advisory Group che si occupa di "Data Revolution for Sustainable Development" per le Nazioni Unite, è proprio la misurazione di questi scarti che può convincere i governanti a cambiare strategia.
"L'Ocse raccomanda di misurare il reddito medio e quando questo cresce ci hanno insegnato che tutto va bene. Ma se non misuriamo anche il reddito mediano e cioè come la ricchezza viene distribuita, allora non ci rendiamo conto di nulla", dichiara.
Per rimanere in Italia, l'ex ministro fornisce un dato: "Quattro milioni di poveri assoluti, tra i quali un milione di bambini. Ma dare un lavoro ai poveri non basta per sconfiggere la povertà, perché nel 50% dei casi si trasformano in working poor. Ecco perché da ministro mi battevo per un reddito minimo sul modello scandinavo, per fortuna ora qualcosa si farà", dice probabilmente riferendosi alle misure contro l'indigenza dei 600mila bambini poveri del Sud promessa da Matteo Renzi nella legge di stabilità.
Fornire una nuova occupazione non basta, continua Giovannini, perché occorrono politiche integrate. Basta guardare i dati sull'abbandono scolastico: il 15% degli studenti italiani smette di studiare (il 12% se nativi, il 37% se di origine straniera). O anche la terribile posizione dell'Italia nella classifica delle capacità elementari in matematica e italiano: "Il 30% occupa l'ultima posizione. Negli altri paesi Ocse siamo al 5%".
"E' dunque facile per queste persone con poca alfabetizzazione cadere preda del capitalismo predatorio ed essere esclusi dal mercato del lavoro", sintetizza l'ex membro dell'esecutivo Letta che dipinge uno scenario futuro piuttosto fosco anche a causa dei cambiamenti climatici: "Le primavere arabe sono state causate anche dal riscaldamento globale, così come la guerra in Siria. Nei prossimi anni fino a 250 milioni di persone dovranno emigrare per la siccità, per noi è una fortuna visto che abbiamo bisogno di giovani e stiamo invecchiando ma l'immigrazione quando è veloce e compressa non è solo positiva".
La sfida di questa epoca "di forte non linearità" è complessa e allora uno strumento efficace per l'ex ministro è "allenare la resilienza e cioè la capacità di reagire": investire nell'educazione e nelle reti che proteggono quando manca il lavoro o, nelle parole della Sassen, "quando l'individuo varca un limite sistemico": "Mi sarei aspettato uno straordinario lavoro di riqualificazione ambientale nella legge di stabilità", dichiara Giovannini, "anche per rimettere al lavoro quelle 600mila persone espulse dall'edilizia", "perché il Jobs Act funziona se abbiamo politiche integrate" e "dispiace che questo governo non abbia fatto forti investimenti in questo senso".
Per Sassen la resistenza alla finanza che ingoia cose e persone "è mantenere la capacità di fare materialmente quello che è tipico di una comunità": continuare a saper costruire un oggetto o anche saper preparare un buon caffé "non incide direttamente sul prodotto interno lordo" ma aiuta gli individui a non perdersi e scongiura l'espulsione.
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