venerdì 1 marzo 2013

Profughi: 'Non ci resta più niente'


Foto di Luciana PassaroL'ESPRESSO "Da stanotte dormirò in strada. Non ho famiglia, né casa." Così Richard, 20 anni, della Guinea: da oggi tornerà a sopravvivere per le strade della città, come quando è stato cacciato dalla famiglia perché omosessuale. Ha lavorato in Libia ma, allo scoppio della rivoluzione, l'hanno costretto ad imbarcarsi, destinazione Italia: l'inizio di un nuovo inferno. Il permesso da rifugiato che non arriva e Richard tenta il suicidio.
Nonostante la sua situazione disperata, come quella di altri 13mila profughi richiedenti asilo (ma potrebbero essere di più), da oggi l'Italia non si occuperà più di Richard. Il Viminale ha dichiarato conclusa l'emergenza nord Africa: tutto a posto. Anche se ha lasciato alcuni di loro ancora in attesa di un permesso umanitario e privi dell'autonomia necessaria per costruirsi una vita.
Una buona uscita di 500 euro, che le prefetture non sanno con quali risorse erogare e che i comuni temono di doversi far carico, e poi via: tutti a casa o a cercar lavoro, in nero. Il prossimo 14 marzo Richard ha l'audizione in commissione territoriale per il permesso fino ad oggi negato. Ce la farà o dovrà tornare in Guinea?

Issa, 30 anni, del Sudan: aspetta un trapianto di fegato a Taranto. In compenso ha ottenuto il permesso da rifugiato a fine 2012, dopo 18 mesi di attesa. Ma il lavoro nelle campagne pugliesi che ha trovato, in nero, non riprenderà prima di maggio. "Nessuno vuol farci un contratto per una casa, figuriamoci per un lavoro." Anche l'amico di Issa, suo omonimo, lavora nelle campagne pugliesi: "arance, uva, broccoletti. Quando va bene 5-7 euro al giorno per 10 ore. Come a Rosarno, no?"

Issa è stato ospite di diversi alberghi e non sa neppure che vuol dire avere una casa. Si sente spaesato anche se ha passato due anni in Italia. E poi c'è Famacar , anche lui con un permesso umanitario da fine anno. Ora ha diciotto anni, ma se nel 2011 l'avessero protetto con un permesso da minore non accompagnato, avrebbe compiuto un percorso di integrazione, magari imparando un mestiere.

Le associazioni e le cooperative sociali in cui sono stati distribuiti Famacar, i due Issa, Richard e tanti altri, per quanto abbiano lavorato con serietà, non hanno potuto fare inclusione sociale. "La mancanza di una programmazione da parte dello Stato che provveda ad un'assistenza (non emergenziale) come previsto dall'Unione Europea, ha reso queste persone ancora più bisognose e l'Italia sta continuando a lavarsene le mani – spiega Gianfranco Schiavone dell'associazione studi giuridici per l'immigrazione.

Oggi l'associazione Babele, che si è occupata di centinaia di profughi, li radunerà tutti in piazza: l'obiettivo è trovare una casa per chi non ha nessuno che offre ospitalità. "C'è una scuola in disuso in città. Aiuteremo i ragazzi ad occuparla - rivela Enzo Pilò, presidente di Babele. "In questi due anni, in Italia, sono state create le premesse per trattare questi profughi come i nuovi clandestini: Nardò, Foggia e tante altre campagne del sud d'Italia, a reclutare il loro lavoro in nero. La scarsa assistenza dello Stato ha vanificato tutto l'impegno delle associazioni ed ha reso ancora una volta i migranti schiavi."

Per questo Babele ha deciso di uscire dal sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR). Una rete di associazioni e cooperative sociali che opera con contributi del ministero dell'interno: 9 milioni nel 2012. Per gestire un'emergenza però non risolta: lo SPRAR ha bisogno di almeno 7mila posti per i rifugiati ma può permettersene solo la metà.

Chi specula sui profughi

di Michele Sasso e Francesca Sironi
Un miliardo e 300 milioni: è quello che ha speso finora lo Stato per assistere le persone fuggite da Libia e Tunisia. Un fiume di denaro senza controllo. Che si è trasformato in business per albergatori, coop spregiudicate e truffatori
(15 ottobre 2012)
Migranti provenienti dal Mali in un hotel di Napoli. Foto di Luciana Passaro Migranti provenienti dal Mali in un hotel di Napoli. Foto di Luciana PassaroErano affamati e disperati, un'ondata umana in fuga dalla rivoluzione in Tunisia e dalla guerra in Libia: fra marzo e settembre dello scorso anno l'esodo ha portato sulle nostre coste 60 mila persone. Profughi, accolti come tali dall'Italia o emigrati in fretta nel resto d'Europa: solo 21 mila sono rimasti a carico della Protezione civile. Ma l'assistenza a questo popolo senza patria è stata gestita nel caos, dando vita a una serie di raggiri e truffe. Con un costo complessivo impressionante: la spesa totale entro la fine dell'anno sarà di un miliardo e 300 milioni di euro. In pratica: 20 mila euro a testa per ogni uomo, donna o bambino approdato nel nostro Paese. Ma i soldi non sono andati a loro: questa pioggia di milioni ha alimentato un suk, arricchendo affaristi d'ogni risma, albergatori spregiudicati, cooperative senza scrupoli. Per ogni profugo lo Stato sborsa fino a 46 euro al giorno, senza verificare le condizioni in cui viene ospitato: in un appartamento di 35 metri quadrati nell'estrema periferia romana ne sono stati accatastati dieci, garantendo un reddito di oltre 12 mila euro al mese.

IN NOME DELL'EMERGENZA. Ancora una volta emergenza è diventata la parola magica per scavalcare procedure e controlli. Gli enti locali hanno latitato, tutto si è svolto per trattative privata: un mercato a chi si accaparrava più profughi. E il peggio deve ancora arrivare. I fondi finiranno a gennaio: se il governo non troverà una soluzione, i rifugiati si ritroveranno in mezzo alla strada.
In Italia sono rimaste famiglie africane e asiatiche che lavoravano in Libia sotto il regime di Gheddafi. La prima ondata, composta soprattutto da giovani tunisini, ha preso la strada della Francia grazie al permesso umanitario voluto dall'allora ministro Roberto Maroni. Ma quando Parigi ha chiuso le frontiere, lo stesso Maroni ha varato una strategia federalista: ogni regione ha dovuto accogliere un numero di profughi proporzionale ai suoi abitanti (vedi grafico a pag. 39). A coordinare tutto è la Protezione civile, che da Roma ha incaricato le prefetture locali o gli assessorati regionali come responsabili del piano di accoglienza. Ma, nella fretta, non ci sono state regole per stabilire chi potesse ospitare i profughi e come dovessero essere trattati. Così l'assistenza si è trasformata in un affare: bastava una sola telefonata per venire accreditati come "struttura d'accoglienza" e accaparrarsi 1.200 euro al mese per ogni persona. Una manna per centinaia di alberghi vuoti, ex agriturismi, case-vacanze disabitate, residence di periferia e colonie fatiscenti.

IL MERCATO DEI RIFUGIATI. Dalle Alpi a Gioia Tauro, gli imprenditori del turismo hanno puntato sui rifugiati. A spese dello Stato. Le convenzioni non sono mai un problema: vengono firmate direttamente con i privati, nella più assoluta opacità. Grazie a questo piano, ad esempio, 116 profughi sono stati spediti, in pantaloncini e ciabatte, dalla Sicilia alla Val Camonica, a 1.800 metri di altezza. I proprietari del residence Le Baite di Montecampione non sono stati i soli a fiutare l'affare. Anche nella vicina Val Palot un politico locale dell'Idv, Antonio Colosimo, ne ha ospitati 14 nella sua casa-vacanze, immersa in un bosco: completamente isolati per mesi, non potevano far altro che cercare funghi. I più furbi hanno trattato anche sul prezzo. La direttiva ufficiale, che stabilisce un rimborso di 40 euro al giorno per il vitto e l'alloggio (gli altri 6 euro dovrebbero essere destinati all'assistenza), è arrivata solo a maggio. Nel frattempo, la maggior parte dei privati aveva già ottenuto di più.
Gli albergatori napoletani sono riusciti a strappare una diaria di 43 euro a testa. Non male, se si considera che in 22 alberghi sono ospitate, ancora oggi, più di mille persone. «La domanda turistica al momento degli sbarchi era piuttosto bassa», ammette Salvatore Naldi, presidente della Federalberghi locale. La Protezione civile prometteva che sarebbero state strutture temporanee. Non è andata così: solo all'Hotel Cavour, in piazza Garibaldi, di fronte alla Stazione centrale, dormono tutt'ora 88 nordafricani. Le stanze, tanto, erano vuote: i viaggiatori si tengono alla larga, a causa dell'enorme cantiere che occupa tutta la piazza. Ma grazie ai rifugiati i proprietari sono riusciti lo stesso a chiudere la stagione: hanno incassato quasi 2 milioni di euro.

Nessun commento:

Posta un commento