Andrea Lupi e Pierluigi Morena Avvocati internazionalisti
A Madrid, come più a sud in Andalusia, lo chiamano reddito minimo di inserimento (“Renta Mínima de Inserción”),
in Catalogna reddito garantito di cittadinanza (“Renta garantizada de ciudadanía”), in Galizia reddito di integrazione sociale.
Un termine ancora diverso nei floridi Paesi Baschi: reddito di garanzia delle entrate, un sussidio di base di 665 euro mensili, tra i più alti del Paese, che consentono ai 65mila percettori di mantenersi appena al di sopra della soglia di povertà.
Sono rispettate in tal modo le indicazioni della Carta Sociale europea e i principi espressi nella risoluzione del Parlamento europeo del 19 gennaio 2017, un vero “pilastro dei diritti sociali”.
Per ottenere il beneficio il nucleo familiare deve avere entrate mensili non superiori a 418 euro, il percettore sarà comunque obbligato a seguire un programma orientato alla ricerca di un lavoro attivo. Operazione in verità tutt’altro che semplice in terra iberica, secondo uno studio di Adecco la maggior parte delle offerte aziendali sono “occulte”, poco pubblicizzate sul web, soddisfatte facendo ricorso a reti interne di contatti. Le ‘oficinas de empleo’ – come i nostri Centri per l’impiego – fanno poco, la domanda e l’offerta non si incontrano negli uffici specializzati, solo il 2% dei salariati trova un lavoro attraverso la mediazione pubblica.
Ancora diverse sono le caratteristiche del reddito minimo nella comunidad di Madrid, una persona totalmente priva di reddito, e con un patrimonio complessivo inferiore ai 13mila euro, percepisce 400 euro mensili, fino ad arrivare ai 587,78 euro per un nucleo di tre persone. La soglia massima è fissata a 735 euro, se le entrate familiari sono inferiori a tale importo interviene il reddito integrativo. Qualora, invece, convivano sotto lo stesso tetto due o più persone percettrici del sostegno scattano coefficienti per la riduzione degli importi riconosciuti.
Studi focalizzati sul modello spagnolo segnalano talune distorsioni del sistema, i lunghi tempi di attesa ad esempio, occorrono non meno di sei mesi per la concessione del contributo. E poi l’assenza di uniforme pianificazione nazionale, fonte di eccessiva discrezionalità e di disparità di trattamento tra le varie regioni, si passa dalla disciplina di Madrid che non prevede limiti temporali nell’erogazione del reddito, al termine di 12 mesi, prorogabile a 60, fissato in Catalogna (qui una coppia con tre figli può riscuotere fino a 1.062 euro). Non mancano le piaghe, quelle antiche, comuni ai popoli latini: lavoro nero, clientelismo, controlli insufficienti, poca efficacia nel favorire un vero reinserimento nel mondo produttivo.
Malgrado il riconoscimento del diritto gli spagnoli non mollano, il 10 marzo ha preso il via dalla città di León la “marcha básica”, una manifestazione promossa da movimenti di sinistra per il consolidamento del reddito di base che, per gli organizzatori, non può essere inferiore a 674 euro. La marcia sarà lunga, attraverserà la Vecchia Castiglia per concludersi il prossimo 24 marzo a Madrid.
Intanto l’Italia marcia sul web.
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