Tre
anni fa scoppiò lo scandalo dei stipendi d’oro della CISL: compensi che
sfioravano i 300mila euro. Il caso più eclatante era quello di Raffaele
Bonanni, l’ex segretario generale della CISL dimessosi il 24 settembre
del 2014 per andare a fare il broker assicurativo.
Ebbene, dal 2006 al 2011 la retribuzione dell’ex dirigente aveva raggiunto cifre record, ben oltre il tetto massimo dei grandi manager di Stato e ciò consentì a Bonanni di intascare ben 336.000 euro di pensione annui.
Fausto
Scandola, dirigente della CISL di Verona e pensionato Fisascat, aveva
pazientemente messo insieme un dossier che svelava i compensi
stratosferici dei componenti delle segreterie nazionali del suo
sindacato. Una bomba.
Aveva
inviato tutto al segretario nazionale Furlan chiedendone le dimissioni e
poi ai segretari delle categorie nazionali e regionali, parlando di un
«sistema immorale», che si finanziava coi contributi dei lavoratori e
poi riempiva le tasche dei dirigenti.
La
CISL non smentì mai quelle cifre ed espulse Scandola nel luglio del
2015. Vane furono le proteste e le petizioni per il suo reintegro. Nel
dossier rivelato da Repubblica e firmato da Fausto Scandola, un
atto d’accusa corredato di nomi e cifre: retribuzioni che sfioravano i
300mila euro l’anno, che superavano il tetto fissato per i dirigenti
pubblici (240mila euro; più di quanto prendeva Barack Obama alla Casa
Bianca!). Fausto Scandola, però non ha potuto finire di condurre la sua battaglia perché è morto un anno dopo la sua denuncia, nel 2016.
Ma
com’è finita la vicenda delle retribuzioni d’oro CISL? Il comitato
esecutivo nazionale confederale del sindacato, dopo la denuncia di
Scandola, approvò, in tutta fretta ed all’unanimità, un nuovo
regolamento presentato dalla segreteria generale in cui si parlava di
“trasparenza” ed in cui si fissavano delle “regole sugli stipendi”. Ne
conseguì la decisione di pubblicare sul sito del sindacato le
retribuzioni dei dirigenti apicali del sindacato.
Sul
sito web della CISL sono oggi presenti attualmente le dichiarazioni dei
reddditi dei dirigenti sindacali ed il compenso annuo lordo percepito
dall’attuale segretaria, Anna Maria Furlan, risulta essere di 130.000
euro circa annui mentre per gli altri dirigenti siamo su cifre che si
attestano tra i 70.000 ed i 100.000 euro lordi annui. Non compaiono,
ovviamente, i rimborsi “forfettari”. Si tratta di retribuzioni simili a
quelle dirigenti pubblici di alto livello certo giustificati dai grandi
risultati ottenuti per i lavoratori italiani che hanno le retribuzioni
più basse d’Europa e per i giovani costretti a scappare all’estero per
non finire precari in un call center o da Foodora per 500 euro al mese.
Se
è vero che, dopo il clamore sollevato dal dossier di Scandola, le
retribuzioni dei dirigenti sindacali si sono ridotte, tuttavia, la
possibilità che gli stessi vadano in pensione con importi molto più alti
delle retribuzioni medie percepite negli ultimi anni di attività
sindacale non è affatto debellata.
La
risposta sta tutta in un particolarissimo privilegio di cui godono i
dirigenti sindacali apicali: in base alla Legge 564/1996 (approvata un
anno dopo la riforma Dini che ha cancellato le pensioni di anzianità) i
medesimi godono di una pensione “retribuitiva”, cioè, calcolata
sull’ultimo mese di retribuzione e nulla impedisce che questi ultimi si
facciano un bel ritocchino prima di andare in pensione alzando così il
parametro ed incrementando decisamente l’importo. Eh sì, perchè il tanto
vituperato calcolo retributivo per i dirigenti dei sindacati che
avallarono nel 1995 la riforma Dini e poi anche tutte le successive,
(compresa la legge Fornero) vale ancora. Perché “loro” sono “loro” e voi
non siete un c****.
Più o meno quel che mandarono a dire tre anni fa al povero Fausto Scandola.
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