E' quanto emerge dai dati resi noti dall'Etuc, la
confederazione dei sindacati europei. Il problema è comune ad altri 8
Paesi Ue, ovvero Belgio, Finlandia, Gran Bretagna, Grecia, Cipro,
Spagna, Portogallo e Croazia.
Gli italiani hanno anche guadagnato meno
nel 2017 che nel 2016 (-0,9%), una tendenza comune anche a Gran
Bretagna, Spagna, Belgio, Finlandia e Grecia. Non solo, nel quarto
trimestre 2017 le ore lavorate sono state 667 milioni in meno rispetto
al primo trimestre 2008 (- 5,8%). Calano di quasi 1,2 milioni anche le
unità di lavoro (-4,7%).
Queste cifre sono state calcolate, le prime dall'Istituto dei
sindacati europei Etuc e, le seconde, dallo studio “Lavoro: qualità e
sviluppo” elaborato dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio della Cgil.
L'Etuc ha lavorato sulla tenendo conto di dati indipendenti pubblicati a febbraio di quest'anno, sulla base dei salari reali, ovvero comparando gli stipendi con il costo della vita, nel rapporto "Benchmarrking Working Europe 2018". I lavoratori che hanno perso di più in termini di salari reali sono i greci (-19,1% tra 2010 e 2017, e -0,4% tra 2016 e 2017), seguiti dai ciprioti (rispettivamente -10,6% ma poi cresciuti di +0,6% tra 2016 e 2017), portoghesi (-8,3% ma poi crescita +0,1%), croati (-7,9% ma poi +1,2%), spagnoli (-4,4% e ulteriore calo -1,5% nell'ultimo anno), poi gli italiani e a seguire i britannici (-2,4% e -0,6%), belgi (-1,1% ma ben -0,8% tra 2016 e 2017) e infine i finlandesi (-1% e ben -2% nell'ultimo anno).
E' la crisi bellezza! E la ripresa? Ancora molto lontana.
"Nonostante tutto questo parlare di ripresa economica, i lavoratori in molti grandi Paesi europei stanno ancora peggio che prima della crisi e continuano ancora a perderci", denuncia la segretaria confederale dell'Etuc Esther Lynch. "Non è una sorpresa", ha quindi rincarato, "che persino la Commissione Ue e la Bce chiedano una crescita maggiore dei salari" che è "essenziale non solo per l'equità sociale ma anche per spingere la crescita e creare occupazione di qualità". Un modo per ottenerla, secondo la confederazione dei sindacati europei, è promuovere a livello Ue gli accordi di lavoro collettivi e le imprese e settori che ne fanno uso.
“Nell’Unione Europea a 15, - si legge nello studio della Fondazione Di Vittorio - oltre all’Italia, anche Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda presentano nel quarto trimestre 2017 un numero di ore lavorate inferiore rispetto ai livelli che precedono la crisi (primo trimestre 2008). In Italia, però, lo scarto tra le due variazioni (occupati, ore lavorate), entrambe negative, è particolarmente marcato. E questo andamento è legato al peggioramento della qualità dell’occupazione nel nostro Paese. Negli ultimi cinque anni, infatti, sono aumentati fortemente i part-time involontari e, soprattutto negli ultimi due, le assunzioni a tempo determinato, portando l’area del disagio (attività lavorativa di carattere temporaneo oppure a part-time involontario) a 4 milioni 571 mila persone, il dato più alto dall’inizio delle nostre rilevazioni. Peggiorano anche le condizioni dei lavoratori a tempo determinato, con un significativo incremento del part-time (+55% fra il 2015 e il 2017) e del numero dei contratti di durata fino a 6 mesi, passati da meno di 1 milione nel 2013 a più di 1,4 milioni nel 2017”.
Per il presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni, “Il numero totale degli occupati, pur importante, rappresenta un’immagine molto parziale della condizione del lavoro in Italia, dove la qualità dell’occupazione è in progressivo e consistente peggioramento. E’ evidente dai dati, che la ripresa non è in grado di generare occupazione quantitativamente e qualitativamente adeguata, con una maggioranza di imprese che scommette prevalentemente su un futuro a breve e su competizione di costo. Come pure è evidente che è necessario intervenire sulle attuali norme legislative che regolano il mercato del lavoro che incidono in modo negativo sulla qualità del lavoro stesso”.
“Incrementare gli investimenti, rafforzare gli ammortizzatori, riordinare le tipologie contrattuali”. Sono le tre direttrici che la segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti, individua per un mercato del lavoro che, a dieci anni dall’inizio della crisi, è segnato da “debolezza strutturale e precarietà”, così come emerge dal rapporto della Fondazione Di Vittorio.
Con queste prospettive i sindacati confederali hanno firmato un accordo sulla contrattazione che rafforza ancora di più il contratto aziendale. Ci si chiede, ma che senso avrà questo accordo visto che le ore di lavoro, e i salari, diminuiscono a questo ritmo?
L'Etuc ha lavorato sulla tenendo conto di dati indipendenti pubblicati a febbraio di quest'anno, sulla base dei salari reali, ovvero comparando gli stipendi con il costo della vita, nel rapporto "Benchmarrking Working Europe 2018". I lavoratori che hanno perso di più in termini di salari reali sono i greci (-19,1% tra 2010 e 2017, e -0,4% tra 2016 e 2017), seguiti dai ciprioti (rispettivamente -10,6% ma poi cresciuti di +0,6% tra 2016 e 2017), portoghesi (-8,3% ma poi crescita +0,1%), croati (-7,9% ma poi +1,2%), spagnoli (-4,4% e ulteriore calo -1,5% nell'ultimo anno), poi gli italiani e a seguire i britannici (-2,4% e -0,6%), belgi (-1,1% ma ben -0,8% tra 2016 e 2017) e infine i finlandesi (-1% e ben -2% nell'ultimo anno).
E' la crisi bellezza! E la ripresa? Ancora molto lontana.
"Nonostante tutto questo parlare di ripresa economica, i lavoratori in molti grandi Paesi europei stanno ancora peggio che prima della crisi e continuano ancora a perderci", denuncia la segretaria confederale dell'Etuc Esther Lynch. "Non è una sorpresa", ha quindi rincarato, "che persino la Commissione Ue e la Bce chiedano una crescita maggiore dei salari" che è "essenziale non solo per l'equità sociale ma anche per spingere la crescita e creare occupazione di qualità". Un modo per ottenerla, secondo la confederazione dei sindacati europei, è promuovere a livello Ue gli accordi di lavoro collettivi e le imprese e settori che ne fanno uso.
“Nell’Unione Europea a 15, - si legge nello studio della Fondazione Di Vittorio - oltre all’Italia, anche Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda presentano nel quarto trimestre 2017 un numero di ore lavorate inferiore rispetto ai livelli che precedono la crisi (primo trimestre 2008). In Italia, però, lo scarto tra le due variazioni (occupati, ore lavorate), entrambe negative, è particolarmente marcato. E questo andamento è legato al peggioramento della qualità dell’occupazione nel nostro Paese. Negli ultimi cinque anni, infatti, sono aumentati fortemente i part-time involontari e, soprattutto negli ultimi due, le assunzioni a tempo determinato, portando l’area del disagio (attività lavorativa di carattere temporaneo oppure a part-time involontario) a 4 milioni 571 mila persone, il dato più alto dall’inizio delle nostre rilevazioni. Peggiorano anche le condizioni dei lavoratori a tempo determinato, con un significativo incremento del part-time (+55% fra il 2015 e il 2017) e del numero dei contratti di durata fino a 6 mesi, passati da meno di 1 milione nel 2013 a più di 1,4 milioni nel 2017”.
Per il presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni, “Il numero totale degli occupati, pur importante, rappresenta un’immagine molto parziale della condizione del lavoro in Italia, dove la qualità dell’occupazione è in progressivo e consistente peggioramento. E’ evidente dai dati, che la ripresa non è in grado di generare occupazione quantitativamente e qualitativamente adeguata, con una maggioranza di imprese che scommette prevalentemente su un futuro a breve e su competizione di costo. Come pure è evidente che è necessario intervenire sulle attuali norme legislative che regolano il mercato del lavoro che incidono in modo negativo sulla qualità del lavoro stesso”.
“Incrementare gli investimenti, rafforzare gli ammortizzatori, riordinare le tipologie contrattuali”. Sono le tre direttrici che la segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti, individua per un mercato del lavoro che, a dieci anni dall’inizio della crisi, è segnato da “debolezza strutturale e precarietà”, così come emerge dal rapporto della Fondazione Di Vittorio.
Con queste prospettive i sindacati confederali hanno firmato un accordo sulla contrattazione che rafforza ancora di più il contratto aziendale. Ci si chiede, ma che senso avrà questo accordo visto che le ore di lavoro, e i salari, diminuiscono a questo ritmo?
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