L’exit strategy dalla crisi climatica, ecologica, economica ed occupazionale ha un solo nome: economia verde. In Italia ha già conseguito risultati considerevoli. Ma, come vedremo, resta ancora parecchio da fare sul piano delle politiche governative.
Per orientarsi nel cielo della green economy made in Italy la stella polare resta la distinzione tra due comparti: quello core green e quello go green, rispettivamente il settore dell’industria dei prodotti e dei servizi verdi, e quello degli investimenti in tecnologie verdi per ridurre l’impatto ambientale dei processi produttivi.
Due gli strumenti di lettura a disposizione per valutare consistenza e limiti dell’economia verde italiana: il rapporto GreenItaly, che analizza il panorama “go green”, realizzato da Unioncamere e dalla Fondazione Symbola presieduta da Ermete Realacci; e la Relazione sullo Stato della Green Economy in Italia, che la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, presieduta dall’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, ha presentato a Ecomondo 2017 agli Stati Generali della Green Economy.
Industrie italiane eco-investitrici e loro distribuzione geografica
Secondo il Rapporto GreenItaly 2017 sono 355mila le aziende italiane, pari al 27,1% del totale, che dal 2011 a fine 2017 hanno investito in tecnologie green, sia per risparmiare energia e risorse (ad esempio riducendo sprechi e produzione di rifiuti e recuperando materia), sia per contenere le emissioni inquinanti, tra cui quelle climalteranti di CO2. Si tratta di 231mila medie imprese del settore dei servizi, 80mila del settore manifatturiero, 38mila del settore delle costruzioni/green building, 5mila Public Utilities.
La proiezione geografica vede al comando la Lombardia con 63.170 aziende, seguita da Veneto (35.370), Lazio (30.020), Emilia-Romagna (29.480), Toscana (29.340), Piemonte (24.470), Campania (24.230), Sicilia (23.940) e Puglia (22.070; molto distaccate le Marche (9.820). A livello provinciale guidano la graduatoria Milano e Roma con, rispettivamente, 22.300 e 20.700 imprese eco-investitrici. In terza, quarta e quinta posizione, con oltre 10.000 imprese, si collocano Napoli, Torino e Bari.
La green economy crea nuovi posti di lavoro
Mentre nel Paese permane l’allarme disoccupazione, in ambito green il trend occupazionale ha il segno più anche nel 2017. Le figure professionali verdi comprendono energy manager, certificatori energetici di immobili, serramentisti sostenibili, ecodesigner, esperti di gestione dei rischi e degli impatti ambientali, bioingegneri che sintetizzano bioplastiche, esperti di bonifica ambientale, consulenti finanziari per eco-imprese, agronomi, agricoltori biologici. Le più richieste in assoluto sono: informatici ambientali, tecnologi del legno, installatori di impianti termici a basso impatto, economisti ambientali, esperti di acquisti verdi, chimici verdi, meccatronici che associano competenze elettroniche e meccaniche per l’efficienza energetica di macchine utensili e mezzi di trasporto, esperti di marketing ambientale, ingegneri energetici.
A queste vanno inoltre aggiunte le figure cosiddette “ibride” che mettono il proprio profilo professionale “neutro” al servizio di aziende verdi, come è il caso, ad esempio, di analisti elettronici che applicano il proprio know-how a contenuti ambientali, o di esperti della comunicazione che promuovono prodotti verdi.
Da questo variegato panorama si evince che, oltre a rappresentare una risorsa in termini quantitativi di opportunità occupazionali, i green job rappresentano anche un elemento qualitativo di trasformazione del mercato del lavoro, con l’affermazione di nuove professioni da un lato e dall’altro l’aggiornamento di quelle tradizionali con l’ibridazione di competenze ambientali.
Passando ora ai numeri, a ottobre 2017 tute e colletti verdi assommavano in Italia a quasi 3 milioni di unità (esattamente 2.972.000), pari al 13,1% degli occupati totali. Stando alle stime del rapporto, entro la fine dello scorso anno questa cifra è salita ulteriormente grazie alle ultime assunzioni programmate (il contributo complessivo del 2017 è valutato in 318.000 nuovi occupati). Ma non è tutto: si contano anche 863 mila nuovi occupati nell’ambito delle figure “ibride”.
Il gap tra domanda e offerta di competenze verdi
La ricerca da parte delle imprese di figure green specializzate, con un più ricco bagaglio di esperienze lavorative e un più elevato livello di qualificazione formativa, anche nell’anno appena concluso si è scontrata con il gap tra domanda e offerta, ovvero con la difficoltà di reperire le figure giuste. Lo scollamento dipende da vari fattori: curricula formativi inadeguati, mancanza di esperienze lavorative, indisponibilità di percorsi formativi specifici, aspettative dei candidati superiori a quanto viene offerto dall’azienda. Anche se negli ultimi anni i corsi di formazione green sono aumentati, permangono ampi margini di miglioramento, soprattutto a livello degli studi universitari e degli Istituti tecnici superiori post-diploma (ITS) in settori tipo il green building e la meccatronica per sfornare geometri con competenze di risparmio energetico e tecnici meccatronici. Una volta individuati sul mercato del lavoro, gli occupati verdi si caratterizzano per la maggiore stabilità contrattuale: le assunzioni a tempo indeterminato sono oltre il 46% nel caso dei green job, contro poco più del 30% per le altre tipologie.
Distribuzione geografica dei nuovi occupati verdi
La proiezione geografica delle assunzioni verdi nel 2017 vede in cima alla classifica la Lombardia (81.620 assunzioni, pari al 25,7% del totale nazionale), seguita da Lazio (35.080 assunzioni), Emilia Romagna (32.960), Veneto (30.940) e Piemonte (24.340). Molto distaccate Campania (17.680), Toscana (16.470), Puglia (14.300), Sicilia (12.250) e Liguria (9.300). Tra le province svettano Milano (42.910 assunzioni), Roma (29.480), Torino (15.070).
Investimenti verdi e vocazione alla R&S
Le aziende eco-investitrici sono più orientate a fare ricerca e innovazione. Lo attestano due dati: primo, la diffusione della divisione R&S tra le medie imprese manifatturiere che hanno investito in prodotti e tecnologie green nel triennio 2014-2016 ha toccato la percentuale del 27%, contro il 18% delle aziende non investitrici; secondo, nell’area aziendale progettazione/ricerca/sviluppo i green job rappresentano il 60% delle assunzioni programmate nel 2017.
Investimenti verdi e incremento di fatturato ed export
Le medie imprese manifatturiere eco-investitrici si connotano per un maggiore dinamismo sui mercati esteri: nel 2017 il 49% ha infatti incrementato l’export, contro il 33% delle imprese che non investono.
I settori tipici del Made in Italy (ceramiche, mobili, calzature, alimentare, tessile e moda) riletti in chiave di sostenibilità del prodotto oltre che del processo produttivo reggono meglio la concorrenza sui mercati esteri. Il Made in Italy green oggi s’impone non solo per il design, ma anche per il contenuto di sostenibilità ambientale.
Anche in termini di creazione di valore la performance della green economy è soddisfacente: sostenuto da export e innovazione, fra 2015 e 2016 il fatturato è aumentato per il 58% delle imprese che investono green, contro il 53% delle altre, trend che le stime contenute nell’ultimo rapporto confermano anche per il 2017. Tradotto in cifre, i quasi 3 milioni di green job italiani nel 2017 hanno contribuito alla formazione di 195,8 miliardi di euro di valore aggiunto, pari al 13,1% del totale complessivo.
Riassumendo: le medie imprese eco-investitrici hanno visto aumentare il fatturato, gli occupati, l’export.
Riqualificazioni urbane ed edilizia verde
Nel settore edile che, rispetto ai livelli pre-crisi, ha perso 500-600mila occupati, misure come il credito d’imposta per le ristrutturazioni, l’ecobonus per gli interventi di efficientamento energetico e il sisma bonus hanno consentito non solo di migliorare le performance del patrimonio edilizio esistente, ma anche di ridare ossigeno al settore: nel solo 2016 si sono contati 28 miliardi di investimenti e la creazione di 420mila posti di lavoro. La Legge di Bilancio 2017 stabilisce che gli incentivi per interventi di risparmio energetico e per l’installazione di fotovoltaico associati a quelli per la sicurezza antisismica sono elevati all’85% dell’investimento. Infine, per il verde urbano di nuova piantumazione su terrazze e giardini condominiali è stato introdotto il credito d’imposta del 36%.
La leadership ambientale del sistema produttivo italiano
La percezione che si ha delle prestazioni ambientali del nostro Paese è nettamente inferiore alla qualità delle performance: in altre parole, il Paese fa meglio di quanto si creda. Secondo Eurostat, con 256 kg di materia prima per ogni milione di euro prodotto (contro la media Ue di 454 kg), nel contesto delle grandi economie europee le imprese italiane si piazzano seconde dopo Gran Bretagna (223 kg), davanti a Francia (340), Spagna (357), e staccando di gran lunga la Germania (424). Nel settore dei consumi energetici, sono meno efficienti solo di quelle del Regno Unito, un risultato di tutto rispetto considerato che per l’economia britannica a giocare un ruolo clou sono finanza e servizi, ovvero settori a bassa intensità energetica, mentre l’economia italiana è trainata dalla manifattura, la seconda in Europa dopo quella tedesca. Per quanto riguarda le emissioni di CO2 in atmosfera, siamo in seconda posizione dietro alla Francia (avvantaggiata sotto questo profilo dalla produzione elettronucleare) e, ancora una volta, davanti alla Germania.
Nel settore degli imballaggi, oltre 50 milioni le tonnellate di rifiuti sono state avviate a riciclo negli ultimi 20 anni da CONAI e dai Consorzi di Filiera, contribuendo così alla crescita di un settore che conta 6.000 imprese e 155.000 addetti e che anche in periodo di recessione ha mantenuto il suo trend positivo. Stando agli ultimi dati Eurostat, nel 2016 in Italia è stato avviato a riciclo il 67,1% degli imballaggi (in acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro) immessi al consumo in tutta Italia.
Agricoltura biologica
Le superfici coltivate con metodo biologico in Italia a dicembre 2016 hanno raggiunto quota 1.796.363 ettari, segnando una crescita del 20,4% rispetto al 2015. In testa Sicilia con 363.688 ettari, seguita da Puglia con 255.853 ettari e Calabria con 204.527 ettari, che insieme fanno il 46% dell’intera superficie bio nazionale. Dati alla mano, l’Italia è il paese europeo con la maggiore estensione di superficie coltivata bio e dopo gli Usa è il principale esportatore mondiale di bio.
I punti di debolezza del sistema Italia
Crescono i consumi energetici
Tra i dati preoccupanti evidenziati dalla Relazione sullo Stato della Green Economy in Italia, presentata a Ecomondo 2017, uno riguarda i consumi energetici, che negli ultimi anni hanno ripreso ad aumentare, in particolare quelli di gas. Inoltre, frena la produzione da rinnovabili, mentre nel 2015, col 17,5%, l’Italia aveva superato l’obiettivo di quota di rinnovabili sul consumo energetico interno lordo (contro la media europea del 16,7%). L’allarme riguarda in particolare l’elettricità da fonti rinnovabili che rappresenta il 40% del totale rinnovabile: nel 2017, a causa della forte riduzione della produzione idroelettrica e dell’eolico, si è registrata una preoccupante flessione. Sintomatico il calo degli investimenti nelle rinnovabili, dai 3,6 miliardi di euro nel 2013 all’1,7 nel 2016.
Sussidi di Stato dannosi all’ambiente
A dicembre 2016 il Ministero dell’Ambiente ha pubblicato il catalogo dei “Sussidi dannosi all’ambiente” (SAD) che lo Stato italiano eroga annualmente. Si tratta di 16 miliardi, di cui 12 ai fossili. Secondo Legambiente i sussidi ai fossili sarebbero addirittura di più: 15,2 miliardi. Insieme ai SAD, il Ministero ha censito i sussidi ambientalmente favorevoli (SAF), a cui vanno 15,7 miliardi, mentre sono rimasti esclusi dal conteggio i cosiddetti sussidi impliciti, che derivano dalla mancata internalizzazione degli impatti ambientali da attività di produzione o consumo. Un esempio per tutti: le spese sanitarie legate all’inquinamento atmosferico causato dall’uso dei fossili. Tra parentesi: l’Italia è il paese europeo con il maggior numero di morti premature da smog rispetto alle aspettative di vita: 91.000 all’anno, contro 86.000 in Germania, 54.000 in Francia, 50.000 nel Regno Unito.
Cala la spesa pubblica per ricerca e sviluppo a fini ambientali
La spesa pubblica in ricerca e sviluppo a fini ambientali nel 2015 rispetto al 2014 è diminuita in Italia del 5,8%, in controtendenza all’eurozona, dove è aumentata dell8,7%, e alle imprese eco-investitrici che, come abbiamo visto precedentemente, rafforzano i loro dipartimenti R&S.
Con 351 licenze ecolabel l’Italia è seconda in Europa alla sola Germania. (Fonte: Relazione cit.)
Cresce il consumo di suolo
La spesa pubblica per la protezione della natura e del paesaggio nel 2016 è stata di circa 579 milioni di euro, ovvero lo 0,03% del Pil. Un dato che si commenta da sé. Intanto la cementificazione continua a consumare suolo vergine. (Fonte: Relazione cit.)
Mobilità insostenibile
L’Italia è il Paese europeo con il più alto tasso di motorizzazione privata: ogni 1000 abitanti (neonati compresi) si contano 600 autoveicoli. Il livello di penetrazione delle auto elettriche è ancora irrisorio (0,05% del parco circolante). Meglio le ibride con il 2,1%. Le carenze dei servizi di Trasporto pubblico locale sono arcinote. La mobilità ciclistica, tranne alcune città che fanno eccezione, continua ad essere residuale. I servizi ferroviari per il trasporto locale necessitano di investimenti per renderli davvero affidabili, competitivi e accoglienti.
Proposte per la prossima legislatura
A Ecomondo sono state presentate dieci proposte elaborate dal Consiglio Nazionale della Green Economy.
In questa sede, in risposta alla richiesta di Sbilanciamoci, mi limiterò a individuare tre proposte per il sostegno alla green economy:
- definire una ecoriforma fiscale-quadro che: a) avvii l’abolizione dei SAD rilocando coerentemente tali fondi allo sviluppo della green economy, al risanamento ambientale, alla mobilità sostenibile (e non, come proposto da LeU, e sia pur parzialmente, all’abolizione delle tasse universitarie); b) istituisca un sistema di incentivi e disincentivi finalizzati a tassare le produzioni inquinanti per alleggerire gli oneri sul lavoro green; c) metta a sistema e renda permanenti le esperienze positive di incentivi per le riqualificazioni già in essere come, ad esempio, i bonus-ristrutturazioni;
- avviare politiche serie, coerenti e vincolanti per una veloce transizione ad un sistema energetico a zero emissioni climalteranti, in funzione anche del ritorno economico per il Paese in termini di riduzione della bolletta energetica legata all’import di energia primaria;
- finanziare un programma nazionale di riqualificazione urbana ispirato all’obiettivo di evitare il consumo di suolo vergine, privilegiando ristrutturazioni, demolizioni e ricostruzioni.
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