Soldi, cene, serate nei locali notturni romani in cambio di una sentenza favorevole in un contenzioso da 20 milioni di euro con l’Agenzia delle Entrate. Era questo, secondo la procura di Roma, l’accordo tra Stefano Ricucci, il suo socio Liberato Lo Conte e il magistrato tributario Nicola Russo, finiti agli arresti per corruzione in atti giudiziari.
L’intenzione era quella di salvare la holding Magiste Real Estate Property e il giudizio favorevole di Russo era anche arrivato, con una sentenza anomala – stando alla ricostruzione degli investigatori – perché l’imprenditore laziale e il magistrato della Commissione tributaria regionale si conoscevano già. E Russo, invece di astenersi per conflitto d’interessi, era stato il relatore ed estensore del giudizio che aveva ribaltato quanto deciso in primo grado dalla Commissione tributaria provinciale.

La vicenda era emersa nell’inchiesta Easy judgement, che a luglio 2016 aveva portato in cella l’ex odontoiatra di Zagarolo e Mirko Coppola per reati tributari sempre relativi alla Magiste, la galassia societaria divenuta famosa tra il 2005 e il 2007, quando l’immobiliarista Ricucci e soci sembravano un tornado finanziario inarrestabile. Per la parte riguardante le false fatturazioni, il “furbetto del quartierino” era stato condannato con rito abbreviato a 3 anni e 4 mesi nel dicembre di due anni fa.
Già un anno e mezzo fa, gli investigatori erano convinti che la sentenza di secondo grado emessa da Russo, che è anche consigliere di Stato, mostrava una serie di anomalie. Tra le altre, le motivazioni riporterebbero interi brani della memoria presentata dalla società, una sorta di copia e incolla che includeva anche i refusi. L’analisi dei documenti sequestrati all’epoca ha permesso di accertare, secondo il procuratore aggiunto Giuseppe Cascini, che Russo già prima della decisione, era legato ai due imprenditori “da vincoli di fiducia – afferma il gip nell’ordinanza d’arresto – basati sull’amicizia, comune colleganza di interessi e frequentazione”.
Avrebbe dovuto dunque astenersi in quanto in conflitto di interessi ed invece fu il relatore ed estensore della sentenza d’appello, che ribaltò il precedente provvedimento emesso dalla Commissione tributaria provinciale. In cambio, scrive il giudice per le indagini preliminari, avrebbe avuto “regalie e disposizioni economiche di favore” consistenti tra l’altro, nel pagamento di cene e serate in hotel, ristoranti e locali notturni romani.