mercoledì 2 agosto 2017

Sicurezza Alimentare. Le multinazionali ed il finto naturale.

Anni fa iniziavamo a parlare di stevia e a portare in giro per fiere e manifestazioni l’argomento di una pianta boicottata in Italia dalle lobby degli zuccherifici, mentre nella vicina Svizzera veniva utilizzata come edulcorante che non crea dipendenza, persino nella cura dei pazienti diabetici. Anni d’impegno volontario che in tempi recenti si è convertito nello sblocco di questo boicottaggio e nella dichiarazione dell’UE nel 2011 di non pericolosità della stevia, consumabile quindi liberamente. Una vittoria dei comitati? No, una vittoria delle multinazionali, sono loro che hanno comprato questa svolta, originata dal crescente uso personale della stevia.

dolcevitaonline.it
Gli uffici sviluppo delle multinazionali dell’alimentare hanno ormai questo punto di osservazione privilegiato che è il web. Non appena qualcosa diventa virale, come nel caso della riscoperta della pasta madre, se ne appropriano per farne una novità per i propri prodotti. Si sa, non si può vendere in eterno lo stesso prodotto con gli stessi ingredienti, bisogna aggiungere una novità che carpisca l’attenzione e stimoli la voglia del cliente di alimenti che fanno bene a basso costo.
Chi parla più di plasmon nei biscotti, che una volta era proposto come indispensabile? L’ingrediente plasmon non era altro che un latte in polvere con formula proprietaria di una multinazionale che oggi si guarderebbe bene dal pubblicizzare come alimento sano. Oggi il latte in polvere si sdogana fino ai sei anni chiamandolo “latte crescita”: è il vecchio pessimo latte in polvere travestito di fattore novità. Il marketing alimentare crea continuamente questi mostri di disinformazione, con l’unico scopo di far comprare un prodotto che altrimenti non verrebbe comprato.

Le multinazionali osservano e seguono. All’interesse degli auto-produttori per la pasta madre, è seguita l’immissione sul mercato di prodotti con pasta madre. Questo lievito, fino a poco prima considerato nocivo, una cloaca di batteri incontrollabili, evitato ovunque dalle scuole di cucina alla ristorazione e ovviamente all’industria alimentare, è diventato improvvisamente una benedizione, sinonimo di genuinità. E quindi cosa succede, hanno sostituito il pessimo lievito chimico con il lievito madre? No, dal punto di vista industriale non sarebbe possibile dati i tempi necessari per la lievitazione e la gestione delle materie. Allora hanno aggiunto ai prodotti da forno un pochino di lievito madre essiccato e stabilizzato – cioè inattivo e privo della maggior parte dei benefici del lievito madre. Ma il consumatore medio, quello che si ritiene informato dalle marchette dei produttori su discutibili riviste di gossip o da altrettanto discutibili programmi tv sulla salute, tende a preferire il nuovo prodotto “con pasta madre”. Perché “pasta madre” fa tanto genuino, salutare.
Perché la gente compra quello che può avere gratis a casa sua, con meno impegno di tempo che le ore dedicate alla spesa al supermercato? Grazie al marketing che fanno queste multinazionali alimentari. Quello che propongono è un cibo migliore di quello naturale. Il concetto è questo: confezionato è migliore che naturale. Più pulito perché impacchettato singolarmente, più sano perché controllato, migliore perché vanta analisi di laboratorio, la perfezione nella standardizzazione.
È questa mentalità che bisogna cambiare per non farsi ingannare: confezionato è pessimo, non è migliore, non è più igienico. Il cibo è già igienico. La buccia della frutta è rivestita da batteri benefici che la preservano a lungo, ne permettono la fermentazione quando necessaria e la rendono più digeribi le. Nei supermercati viene venduta una frutta passata sotto potenti getti di acqua, rivestita con docce di cere lucidanti che ne annullano la carica batterica benefica e la rendono una buccia tossica. Poi per mantenere questa frutta, dobbiamo tenerla in frigoriferi che hanno un costo energetico esagerato.
Torniamo alla stevia. Siccome la natura ha già previsto la corretta concentrazione di steviolo per singola foglia, ha previsto la fibra vegetale per renderla più digeribile, allora per vendercela prendono delle aziende che coltivano la stevia con i pesticidi, estraggono lo steviolo, lo uniscono a composti cancerogeni come l’eritritolo, impastano tutto in pastigliette di cellulosa e lo distribuiscono nel formato del dolcificante per signore a dieta. Quando basterebbe vendere le foglie essiccate o polverizzate. 
Ma si vende di più ciò che apparentemente non si può fare in casa, quindi la trasformazione è necessaria.
Da più di un decennio coltivo la mia stevia. È una pianta facilissima da coltivare, a prova di pollice nero, tanto che la devo coltivare in vaso per evitare che mi invada spontaneamente tutto l’orto. Tre vasi a marzo, diventano entro la fine di ottobre il raccolto sufficiente a due persone che la usano continuamente per tè, tisane e saltuariamente per i dolci. Conservo le foglie essiccate, non le polverizzo più, quando ne ho bisogno nella versione più simile allo zucchero ne polverizzo una manciata. Ha un potere dolcificante più che doppio rispetto allo zucchero raffinato bianco. Mi basta metterne due foglie essiccate in una teiera da sei tazze.

Quale sarà il prossimo argomento di interesse delle multinazionali dell’alimentare, cosa cercheranno di venderci prossimamente? Senza grandi margini di errore posso anticiparvelo: i fermentati. L’ondata d’interesse arriva dagli USA, in Italia se ne sta parlando nelle aree più radicali dell’autoproduzione da qualche anno, soprattutto riguardo la già citata pasta madre ma anche yogurt, kefyr, kombucha, crauti. Quello che arriverà prossimamente sarà la fermentazione generalizzata, soprattutto su verdure e frutta.
Dopo un centinaio di anni in cui l’Istituto Superiore di Sanità ci terrorizza con i pericoli delle conserve fatte in casa e impone stretti parametri di pastorizzazione all’industria alimentare – con il conseguente drammatico impoverimento degli alimenti conservati – dovrà presto trovare una giustificazione alla volontà delle multinazionali che vorranno immettere sul mercato sottaceti fermentati naturalmente e crauti al naturale, alimento che vi sarà presentato come indispensabile a un sistema immunitario che si voglia mantenere efficiente.
Il che è vero, ma non per i loro.
 Oggi i sottaceti sono banali conserve per il gusto e in genere ignorate dai nutrizionisti perché povere e a volte dannose per la quantità di conservanti e sale. Questo perché ora vengono fatte per bollitura della verdura, immersione in soluzione acida o salamoia e infine pastorizzazione, così da inattivare qualsiasi proliferazione batterica, anche quelle benefiche. Al contrario, i fermentati naturali sviluppano autonomamente la soluzione acetica in cui sono immersi, soluzione che però è instabile, va mantenuta a certe temperature ecc. Questo procedimento genera un alimento di grande beneficio per la salute. Quel che sta succedendo è che i reparti sviluppo delle multinazionali si stanno interessando a questo ritorno dei fermentati naturali. Quel che succederà è prevedibilmente l’immissione sul mercato di qualche imitazione del fermentato naturale, da proporre al consumatore finto-informato.
Riprendiamoci il nostro cibo, ma soprattutto teniamocelo stretto nella sua forma originaria, quella naturale davvero, non perché scritto sulla confezione.
E se usassimo l’olio di canapa anziché quello di palma? Tanto più che ha un leggero giusto di nocciola. Dal seme di canapa, si ricava infatti un olio pregiato, ricco di sostanze e proprietà nutritive: Omega 3, Omega 6 e tutti i 12 amminoacidi, molto utile soprattutto per chi ha problemi di cuore. Dalla macinatura della crusca del seme si ha poi la farina con la quale è possibile creare tutti i prodotti da forno anche per chi, come i celiaci, hanno bisogno di evitare il glutine. Chi si occupa di canapa potrebbe inventarne una applicazione al giorno, tanto questa pianta è duttile. Francesco Pedicini della cooperativa Campanapa li elenca anche in ambito bio-edilizia.

Continua a leggere su Green Planner Magazine: Canapa: come usare seme, paglie e… infiorescenze https://www.greenplanner.it/2017/07/31/canapa-seme-paglie-infiorescenze/
E se usassimo l’olio di canapa anziché quello di palma? Tanto più che ha un leggero giusto di nocciola. Dal seme di canapa, si ricava infatti un olio pregiato, ricco di sostanze e proprietà nutritive: Omega 3, Omega 6 e tutti i 12 amminoacidi, molto utile soprattutto per chi ha problemi di cuore. Dalla macinatura della crusca del seme si ha poi la farina con la quale è possibile creare tutti i prodotti da forno anche per chi, come i celiaci, hanno bisogno di evitare il glutine. Chi si occupa di canapa potrebbe inventarne una applicazione al giorno, tanto questa pianta è duttile. Francesco Pedicini della cooperativa Campanapa li elenca anche in ambito bio-edilizia. “Dalle trasformazione delle paglie” ci spiega “si ha un materiale tecnico che si suddivide in fibra e canapulo (la parte legnosa dello stelo), che possono essere impiegati per diversi scopi industriali, per esempio già alcuni marchi automobilistici come la Volkswagen utilizza la canapa (fibra) per l’automotive, ovvero l’utilizzo di cruscotti fatti di canapa per l’insonorizzazione dell’abitacolo, oppure miscelando calce e canapa (canapulo) si può ricavare un mattone resistente, traspirante e ignifugo, pienamente in regola con le nuove tipologie di costruzione, incentrate sulla sostenibilità e i consumi energetici”. In ultimo, ma di certo non meno importante, c’è l’utilizzo delle infiorescenze che possono essere impiegate nel settore farmaceutico o nutraceutico, visti i diversi principi attivi che questa pianta contiene – come il Thc (tetraidrocannabinolo) e il Cbd (Cannabidiolo). Si tratta di molecole oggi molto conosciute soprattutto grazie agli studi scientifici che hanno dimostrato il loro ottimo effetto nelle cure antitumorali e del dolore nei pazienti soggetti a chemioterapia o affetti da sclerosi multipla, nell’epilessia infantile e in tantissime altre patologie. È bene ricordare – spiega infine Pedicini – che la canapa sativa da noi coltivata è la sorella di quella indica. La sativa ha comunque una percentuale, seppur minima, di Thc, la molecola incriminata perché è quella che dà l’effetto psicotropo o per dirla in gergo è quella che sballa. Al contrario la canapa sativa rientra nei parametri delle normative europee e del Mipaaf che il 2 dicembre ha regolamentato la coltivazione della canapa portando la percentuale di Thc allo 0,6%, ed è una percentuale talmente bassa che ha al massimo l’effetto rilassante sulle persone, al pari di una camomilla. Attualmente però la legislazione in questo campo è ancora lacunosa e tutti gli attori del settore attendono maggiori risposte, onde evitare problemi di natura giudiziaria.

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E se usassimo l’olio di canapa anziché quello di palma? Tanto più che ha un leggero giusto di nocciola. Dal seme di canapa, si ricava infatti un olio pregiato, ricco di sostanze e proprietà nutritive: Omega 3, Omega 6 e tutti i 12 amminoacidi, molto utile soprattutto per chi ha problemi di cuore. Dalla macinatura della crusca del seme si ha poi la farina con la quale è possibile creare tutti i prodotti da forno anche per chi, come i celiaci, hanno bisogno di evitare il glutine. Chi si occupa di canapa potrebbe inventarne una applicazione al giorno, tanto questa pianta è duttile. Francesco Pedicini della cooperativa Campanapa li elenca anche in ambito bio-edilizia. “Dalle trasformazione delle paglie” ci spiega “si ha un materiale tecnico che si suddivide in fibra e canapulo (la parte legnosa dello stelo), che possono essere impiegati per diversi scopi industriali, per esempio già alcuni marchi automobilistici come la Volkswagen utilizza la canapa (fibra) per l’automotive, ovvero l’utilizzo di cruscotti fatti di canapa per l’insonorizzazione dell’abitacolo, oppure miscelando calce e canapa (canapulo) si può ricavare un mattone resistente, traspirante e ignifugo, pienamente in regola con le nuove tipologie di costruzione, incentrate sulla sostenibilità e i consumi energetici”. In ultimo, ma di certo non meno importante, c’è l’utilizzo delle infiorescenze che possono essere impiegate nel settore farmaceutico o nutraceutico, visti i diversi principi attivi che questa pianta contiene – come il Thc (tetraidrocannabinolo) e il Cbd (Cannabidiolo). Si tratta di molecole oggi molto conosciute soprattutto grazie agli studi scientifici che hanno dimostrato il loro ottimo effetto nelle cure antitumorali e del dolore nei pazienti soggetti a chemioterapia o affetti da sclerosi multipla, nell’epilessia infantile e in tantissime altre patologie. È bene ricordare – spiega infine Pedicini – che la canapa sativa da noi coltivata è la sorella di quella indica. La sativa ha comunque una percentuale, seppur minima, di Thc, la molecola incriminata perché è quella che dà l’effetto psicotropo o per dirla in gergo è quella che sballa. Al contrario la canapa sativa rientra nei parametri delle normative europee e del Mipaaf che il 2 dicembre ha regolamentato la coltivazione della canapa portando la percentuale di Thc allo 0,6%, ed è una percentuale talmente bassa che ha al massimo l’effetto rilassante sulle persone, al pari di una camomilla. Attualmente però la legislazione in questo campo è ancora lacunosa e tutti gli attori del settore attendono maggiori risposte, onde evitare problemi di natura giudiziaria.

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