global project Lorenzo Fe
17 / 8 / 2017
Un
articolo a firma di Declan Walsh per il New York Times afferma: il
giovane ricercatore venne ucciso dai servizi egiziani. Secondo il
quotidiano, la Casa Bianca diede al governo italiano "prove esplosive"
e, pur non rivelando tutto per non bruciare le proprie fonti, diede per
certo che leadership egiziana sapeva tutto. L'inchiesta affronta anche
altre questioni spinose, tra cui le tensioni tra gli apparati dello
Stato italiano per la collaborazione tra l'Eni e i servizi di
intelligence sul caso del ricercatore ucciso.
Il
ministro degli Esteri Alfano ha annunciato il ritorno in Egitto
dell’ambasciatore italiano, che era stato richiamato l’8 aprile 2016 in
segno di protesta contro quello che di fatto era un insabbiamento da
parte del regime egiziano in merito all’omicidio di Giulio Regeni. Tale
insabbiamento, è importante ricordarlo, aveva anche visto l’esecuzione a
sangue freddo di cinque cittadini egiziani accusati poi dell’assassinio
di Regeni, in una storia che è rapidamente crollata su se stessa.
Il
ritorno dell’ambasciatore è stato giustificato come facente parte della
strategia del governo italiano per incastrare i colpevoli. Alfano ha
dichiarato: “L'impegno del Governo italiano rimane quello di fare
chiarezza sulla tragica scomparsa di Giulio, inviando al Cairo un
autorevole interlocutore che avrà il compito di contribuire, tramite i
contatti con le autorità egiziane, al rafforzamento della cooperazione
giudiziaria e, di conseguenza, alla ricerca della verità.”
Tuttavia
la decisione è stata condannata, tra gli altri, dalla stessa famiglia
Regeni che l’ha considerata come “una resa incondizionata”. Infatti, in
Egitto non si è registrato nessun reale cambiamento – non a livello
giudiziario né tantomeno a livello politico – che possa giustificare
veramente la svolta governativa. Tanto è vero che la goffa tempistica
ferragostana non sembra casuale. Certo, le autorità italiane hanno
ricevuto dalla procura del Cairo gli atti relativi all’interrogatorio di
alcuni poliziotti egiziani coinvolti nelle indagini, ovvero nei
depistaggi. Ma è una mera foglia di fico. Gli atti non sono ancora stati
analizzati e, in ogni caso, non è incauto pronostico affermare che non
saranno questi interrogatori a inchiodare i responsabili.
In concomitanza con gli eventi, il New York Times (qui il
link originale) ha pubblicato un dettagliato articolo che non solo
conferma che il coinvolgimento degli apparati securitari egiziani
nell’omicidio sia più che probabile ma aggiunge che l’amministrazione
Obama aveva fin dall’inizio fornito al governo italiano le prove
dell’implicazione delle autorità egiziane. Il governo italiano ha
immediatamente smentito di aver ricevuto delle vere e proprie prove (se
al contrario fosse vero, l’esecutivo sarebbe direttamente complice
dell’insabbiamento). Resta il fatto che queste informazioni confermano
una volta di più, se mai fosse necessario, la volontà politica del
regime egiziano di coprire le flagranti e atroci violazioni dei diritti
civili da parte dei propri apparati repressivi.
Uno
degli sviluppi più preoccupanti che hanno circondato questo crimine è
la facilità con cui la “ragion complottista” si è infiltrata nel
dibattito italiano. La tesi più infamante – nonché la più allineata alla
propaganda del regime egiziano – è quella secondo cui Regeni sarebbe
stato una spia al soldo dei servizi segreti occidentali (l’agenzia
esatta cambia a seconda della versione). Come sempre capita in questi
casi, tale tesi viene sostenuta senza prove o indizi credibili ma sulla
base di elementi di scarsa rilevanza o veri e propri “alternative
facts”. I complottisti citano per esempio il fatto che Regeni abbia
precedentemente lavorato come assistente di ricerca per l’agenzia di
consulenza Oxford Analytica, ma non si legge da nessuna parte che il
ruolo di Regeni fosse quello di raccogliere informazioni in incognito, e
quindi come “spia”. È stato anche scritto che, siccome i vertici dei
servizi segreti UK provengono per lo più dalle università Cambridge e
Oxford (ma la stessa cosa si può dire per gran parte dell’élite del
paese), è probabile che ci fossero contatti tra Regeni e l’MI6. Insomma,
il fatto che Regeni fosse una spia non sembra più plausibile
dell’esistenza dei rettiliani.
Il
problema non sta in sé nel sospettare l’esistenza di complotti –
dopotutto la storia ci ha regalato autentiche cospirazioni con una certa
generosità – ma nell’avvalorare “analisi politiche” costruite su
intrecci di congetture inverificabili per giustificare un regime
autoritario oggi e una strage di migranti domani. Purtroppo, non
possiamo più ignorare la diffusione di questa forma mentis
perché essa ha effetti politici reali, come si è visto nel contributo
dei media complottisti alla creazione di una base di consenso per Donald
Trump. Storicamente appartenente all’estrema destra, il complottismo si
sta facendo oggi sempre più trasversale, grazie anche al contributo
degli “opinion leader” rossobruni nostrani. Colgo l’occasione per
ripetere che il regime Sisi non può essere considerato progressista in
nessun senso e tanto meno in termini anti-imperialisti. Per esempio, il
colpo di stato del 2013 è stato finanziato dalle monarchie reazionarie
del Golfo, l’esercito egiziano continua a ricevere sussidi militari
dagli USA e gli accordi Russia-Egitto non hanno impedito a quest’ultimo
di seguire Arabia Saudita ed Emirati nelle offensive diplomatiche al
Qatar e all’Iran. E anche immaginando per un istante che le cose non
stiano così, resta di dubbio valore l’impostazione generale secondo cui
sostenere un imperialismo minore sia sinonimo di anti-imperialismo.
Per
concludere, il ritorno dell’ambasciatore italiano è dettato da
considerazioni di “real politik”: il petrolio, il gas, la guerra in
Libia, la chiusura delle frontiere. A questo proposito è bene ricordare
che, alcune settimane prima dell’assassinio di Regeni, l’Eni aveva
annunciato la scoperta del giacimento di gas Zohr in acque egiziane. A
questo proposito, più di un anno fa, avevo scritto: “Per
petrolio e gas si bombardano i civili, non saranno gli abusi di un
altro regime autoritario a provocare dei ripensamenti”. E infatti, anche
nelle fasi in cui la tensione tra Italia ed Egitto ha raggiunto il
culmine, gli accordi in materia energetica tra i due paesi non sono mai
stati messi in discussione. D’altra parte le autorità italiane, alle
quali siamo costretti ad appellarci per chiedere la verità, sono le
stesse che sono tranquillamente passate sopra gli effetti collaterali
della politica estera occidentale quando le vittime non erano italiani
bianchi. È dunque chiaro che non ci si possa aspettare dalle stesse
autorità una opposizione radicale allo status quo nella regione – status quo
guidato dalle petrol-monarchie integraliste del Golfo – nonostante esso
ponga stretti limiti ai tentativi delle popolazioni locali di
provvedere ai propri bisogni.
Cambiamenti
di direzione, anche solo provvisori, sono concessioni alle
mobilitazioni dei cittadini che non si rassegano all’idea che queste
mostruosità siano “il prezzo da pagare” per l’interesse nazionale.
Interesse nazionale immaginariamente presentato come oggettivo, omogeneo
e privo di alternative; concetto implicitamente razzista – anche se in
molti non sono disposti ad ammetterlo – perché mette gli interessi dei
cittadini di uno stato collocato ai piani alti della gerarchia
internazionale al di sopra degli interessi dei cittadini di altri stati,
che colpa non hanno eccetto quella di essere nati altrove. I “realisti”
hanno quindi ragione su un punto: se si accetta questo interesse
nazionale bisogna accettarne i costi umani, sociali e ambientali.
Viceversa, se non si è disposti a tollerarne i costi, non si può
difendere questo interesse nazionale.
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