giovedì 17 agosto 2017

Omicidio di Giulio Regeni - Riformalizzato il business as usual

 
 giulio_regeni
 
global project  Lorenzo Fe
17 / 8 / 2017
Un articolo a firma di Declan Walsh per il New York Times afferma: il giovane ricercatore venne ucciso dai servizi egiziani. Secondo il quotidiano, la Casa Bianca diede al governo italiano "prove esplosive" e, pur non rivelando tutto per non bruciare le proprie fonti, diede per certo che leadership egiziana sapeva tutto. L'inchiesta affronta anche altre questioni spinose, tra cui le tensioni tra gli apparati dello Stato italiano per la collaborazione tra l'Eni e i servizi di intelligence sul caso del ricercatore ucciso.

Il ministro degli Esteri Alfano ha annunciato il ritorno in Egitto dell’ambasciatore italiano, che era stato richiamato l’8 aprile 2016 in segno di protesta contro quello che di fatto era un insabbiamento da parte del regime egiziano in merito all’omicidio di Giulio Regeni. Tale insabbiamento, è importante ricordarlo, aveva anche visto l’esecuzione a sangue freddo di cinque cittadini egiziani accusati poi dell’assassinio di Regeni, in una storia che è rapidamente crollata su se stessa. 
Il ritorno dell’ambasciatore è stato giustificato come facente parte della strategia del governo italiano per incastrare i colpevoli. Alfano ha dichiarato: “L'impegno del Governo italiano rimane quello di fare chiarezza sulla tragica scomparsa di Giulio, inviando al Cairo un autorevole interlocutore che avrà il compito di contribuire, tramite i contatti con le autorità egiziane, al rafforzamento della cooperazione giudiziaria e, di conseguenza, alla ricerca della verità.” 
Tuttavia la decisione è stata condannata, tra gli altri, dalla stessa famiglia Regeni che l’ha considerata come “una resa incondizionata”. Infatti, in Egitto non si è registrato nessun reale cambiamento – non a livello giudiziario né tantomeno a livello politico – che possa giustificare veramente la svolta governativa. Tanto è vero che la goffa tempistica ferragostana non sembra casuale. Certo, le autorità italiane hanno ricevuto dalla procura del Cairo gli atti relativi all’interrogatorio di alcuni poliziotti egiziani coinvolti nelle indagini, ovvero nei depistaggi. Ma è una mera foglia di fico. Gli atti non sono ancora stati analizzati e, in ogni caso, non è incauto pronostico affermare che non saranno questi interrogatori a inchiodare i responsabili.
In concomitanza con gli eventi, il New York Times  (qui il link originale) ha pubblicato un dettagliato articolo che non solo conferma che il coinvolgimento degli apparati securitari egiziani nell’omicidio sia più che probabile ma aggiunge che l’amministrazione Obama aveva fin dall’inizio fornito al governo italiano le prove dell’implicazione delle autorità egiziane. Il governo italiano ha immediatamente smentito di aver ricevuto delle vere e proprie prove (se al contrario fosse vero, l’esecutivo sarebbe direttamente complice dell’insabbiamento). Resta il fatto che queste informazioni confermano una volta di più, se mai fosse necessario, la volontà politica del regime egiziano di coprire le flagranti e atroci violazioni dei diritti civili da parte dei propri apparati repressivi.
Uno degli sviluppi più preoccupanti che hanno circondato questo crimine è la facilità con cui la “ragion complottista” si è infiltrata nel dibattito italiano. La tesi più infamante – nonché la più allineata alla propaganda del regime egiziano – è quella secondo cui Regeni sarebbe stato una spia al soldo dei servizi segreti occidentali (l’agenzia esatta cambia a seconda della versione). Come sempre capita in questi casi, tale tesi viene sostenuta senza prove o indizi credibili ma sulla base di elementi di scarsa rilevanza o veri e propri “alternative facts”. I complottisti citano per esempio il fatto che Regeni abbia precedentemente lavorato come assistente di ricerca per l’agenzia di consulenza Oxford Analytica, ma non si legge da nessuna parte che il ruolo di Regeni fosse quello di raccogliere informazioni in incognito, e quindi come “spia”. È stato anche scritto che, siccome i vertici dei servizi segreti UK provengono per lo più dalle università Cambridge e Oxford (ma la stessa cosa si può dire per gran parte dell’élite del paese), è probabile che ci fossero contatti tra Regeni e l’MI6. Insomma, il fatto che Regeni fosse una spia non sembra più plausibile dell’esistenza dei rettiliani.
Il problema non sta in sé nel sospettare l’esistenza di complotti – dopotutto la storia ci ha regalato autentiche cospirazioni con una certa generosità – ma nell’avvalorare “analisi politiche” costruite su intrecci di congetture inverificabili per giustificare un regime autoritario oggi e una strage di migranti domani. Purtroppo, non possiamo più ignorare la diffusione di questa forma mentis perché essa ha effetti politici reali, come si è visto nel contributo dei media complottisti alla creazione di una base di consenso per Donald Trump. Storicamente appartenente all’estrema destra, il complottismo si sta facendo oggi sempre più trasversale, grazie anche al contributo degli “opinion leader” rossobruni nostrani. Colgo l’occasione per ripetere che il regime Sisi non può essere considerato progressista in nessun senso e tanto meno in termini anti-imperialisti. Per esempio, il colpo di stato del 2013 è stato finanziato dalle monarchie reazionarie del Golfo, l’esercito egiziano continua a ricevere sussidi militari dagli USA e gli accordi Russia-Egitto non hanno impedito a quest’ultimo di seguire Arabia Saudita ed Emirati nelle offensive diplomatiche al Qatar e all’Iran. E anche immaginando per un istante che le cose non stiano così, resta di dubbio valore l’impostazione generale secondo cui sostenere un imperialismo minore sia sinonimo di anti-imperialismo.
Per concludere, il ritorno dell’ambasciatore italiano è dettato da considerazioni di “real politik”: il petrolio, il gas, la guerra in Libia, la chiusura delle frontiere. A questo proposito è bene ricordare che, alcune settimane prima dell’assassinio di Regeni, l’Eni aveva annunciato la scoperta del giacimento di gas Zohr in acque egiziane. A questo proposito, più di un anno fa, avevo scritto: “Per petrolio e gas si bombardano i civili, non saranno gli abusi di un altro regime autoritario a provocare dei ripensamenti”. E infatti, anche nelle fasi in cui la tensione tra Italia ed Egitto ha raggiunto il culmine, gli accordi in materia energetica tra i due paesi non sono mai stati messi in discussione. D’altra parte le autorità italiane, alle quali siamo costretti ad appellarci per chiedere la verità, sono le stesse che sono tranquillamente passate sopra gli effetti collaterali della politica estera occidentale quando le vittime non erano italiani bianchi. È dunque chiaro che non ci si possa aspettare dalle stesse autorità una opposizione radicale allo status quo nella regione – status quo guidato dalle petrol-monarchie integraliste del Golfo – nonostante esso ponga stretti limiti ai tentativi delle popolazioni locali di provvedere ai propri bisogni. 
Cambiamenti di direzione, anche solo provvisori, sono concessioni alle mobilitazioni dei cittadini che non si rassegano all’idea che queste mostruosità siano “il prezzo da pagare” per l’interesse nazionale. Interesse nazionale immaginariamente presentato come oggettivo, omogeneo e privo di alternative; concetto implicitamente razzista – anche se in molti non sono disposti ad ammetterlo – perché mette gli interessi dei cittadini di uno stato collocato ai piani alti della gerarchia internazionale al di sopra degli interessi dei cittadini di altri stati, che colpa non hanno eccetto quella di essere nati altrove. I “realisti” hanno quindi ragione su un punto: se si accetta questo interesse nazionale bisogna accettarne i costi umani, sociali e ambientali. Viceversa, se non si è disposti a tollerarne i costi, non si può difendere questo interesse nazionale.

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