giovedì 1 novembre 2012

Fiscal Compact: col ricatto del debito moriremo di fame

Ronald Reagan
“Affama la bestia” era lo slogan di Ronald Reagan. La “bestia” era il governo: «Non la soluzione, ma il problema». Meglio mettere tutto in mano ai privati, che così si appropriano delle funzioni pubbliche e le gestiscono in base alla legge del profitto. «La bestia da affamare è in realtà la democrazia, l’autogoverno, la possibilità per i cittadini e i lavoratori di decidere il proprio destino». L’antico programma antisociale di Reagan, secondo Guido Viale, è stato ora tradotto dall’Unione Europea e dai governi dell’Eurozona in due strumenti micidiali, il pareggio di bilancio e il Fiscal Compact. «Con queste due misure, in Italia verranno prelevati ogni anno dalle tasse, cioè dai bilanci di chi le paga, quasi 100 miliardi di interessi e altri 45-50 di ratei, per versarli ai detentori del debito: in larga parte banche e assicurazioni sull’orlo del fallimento per operazioni avventate e altri grandi speculatori nazionali ed esteri, e solo in minima parte singoli risparmiatori».
Misure assurde e pericolose, scrive Viale sul “Manifesto”: «Nessun paese al mondo, nemmeno la Germania di Weimar condannata al pagamento dei danni di guerra, ha mai rimborsato un proprio debito». Il debito pubblico, di qualsiasi Stato, «è stato sempre ridimensionato, o riassorbito dalla “crescita” del Pil (quando c’è stata) o dall’inflazione, o da un condono, o da un default». All’Italia, e al resto dell’Eurozona, tocca invece pagare con moneta sonante: «Sottoporre a un salasso del genere un paese come il nostro, con un debito di oltre il 120% del Pil, vuol dire condannarlo alla rovina». Il martirio della Grecia? Nulla, in confronto alla devastazione in arrivo col Fiscal Compact. E lassù, a negare l’evidenza della verità, l’algido Mario Monti: tre anni fa, al primo annuncio della super-stangata contro Atene firmata da Bce, Fmi e Commissione Europea, aveva salutato quei sacrifici umani come l’alba del risanamento economico del paese. «Esattamente quello che oggi ripete ogni giorno, ora che è presidente del consiglio, lodandosi e lodando le politiche del suo governo, mentre occupazione, redditi da lavoro, produzione, bilanci aziendali, Pil edebito pubblico precipitano verso il baratro».
Come se non bastassero le misure “lacrime e sangue” varate dal suo governo di tecnocrati, il Parlamento Europeo ha appena bloccato un regolamento proposto dalla Commissione, «ma redatto e ispirato nel 2010 proprio da Monti», che mira a subordinare alle “convenienze” dell’impresa il diritto di sciopero in tutta Europa. «Ecco chi è quello che i partiti che lo sostengono considerano salvatore della patria!», commenta Viale, che cita la tragica esperienza storica della dittatura paternalistica portoghese. «In Portogallo nel 1932 – ricorda l’associazione veneziana “Fondamenta” – un professore di economia, al secolo António de Oliveira Salazar, fu chiamato a dirigere il paese per far fronte alla crisieconomica e all’enorme deficit di bilancio che attanagliava la terra lusitana». Il suo intento dichiarato: creare una struttura super-partes, capace di sostituirsi ai partiti e riunire in sé tutte le correnti nazionali. Salazar rimase al potere per 36 anni e il suo regime ebbe L'economista Salazar, dittatore del Portogallotermine solo la rivoluzione del 1974. «Vogliamo imboccare la stessa strada? O non l’abbiamo forse già imboccata?».
Primo passaggio ineludibile: se non vogliamo rinchiuderci nel solco del salazarismo tracciato da Monti, «pareggio di bilancio e Fiscal Compact devono venir respinti e disattesi e il debito pubblico va affrontato con altri strumenti». L’Italia, osserva Viale, ha un avanzo primario consistente: consolidando il proprio debito, potrebbe evitare di ricorrere al mercato finanziario per parecchi anni. D’altronde, che una ristrutturazione del debito italiano sia inevitabile lo dicono ormai anche molti economisti mainstream, da Nouriel Roubini all’ex ministro Paolo Savona, che oggi sostiene che l’ingresso nell’euro fu un tragico errore. «Una forte patrimoniale è certo necessaria – aggiunge Viale – ma non basta a risolvere il problema», che peraltro non può essere affrontato in ordine sparso: «Con il Fiscal Compact, i paesi che si troveranno nella nostra situazione – o anche peggio – sono destinati a crescere». E le forze sociali disposte a respingere il ricatto del debito saranno anche senza rappresentanza politica, ma sempre più numerose. Di fronte a una forte protesta unitaria, gli oltranzisti del Nord Europa sarebbero costretti a cedere, optando per la mutualizzazione o la monetizzazione dei debiti pubblici dell’Eurozona.
La stretta monetaria e fiscale imposta dalle autorità europee ha il suo riflesso più vistoso nel patto di stabilità interno: quello che mette alle corde le finanze degli enti locali – innanzitutto dei Comuni – costringendoli a svendere patrimonio immobiliare, beni comuni e servizi pubblici per far cassa. «Così, nonostante che 27 milioni di italiani abbiano abrogato, con il referendum dello scorso anno, l’obbligo di svendere i servizi pubblici, sono ben quattro i decreti e le leggi che, da allora, prima il governo Berlusconi e poi quello Monti hanno varato per reintrodurre quell’obbligo, e l’ultimo anche dopo che la Corte Costituzionale aveva decretato l’illegittimità dei Giorgio Napolitanoprimi tre: tutti prontamente controfirmati dal presidente della Repubblica, supremo “tutore” della Costituzione, per il quale evidentemente della volontà degli elettori si può e si deve far strame».
Monti, aggiunge Guido Viale, sta mettendo anche la Cassa Depositi e Prestiti (creata per dare sostegno alla finanza locale, indispensabile per i cittadini) al servizio dei peggiori scempi perpetrati a danno dei territori e delle loro comunità. Territori presi alla gola dai tagli, e amputati del proprio futuro: così muore sul nascere qualsiasi scommessa locale di riconversione sostenibile dell’economia. Politica industriale decentrata e impianti di piccola taglia, partecipazione e cittadinanza attiva, servizi flessibili e diffusi, diversificati in base alle risorse disponibili e alle esigenze locali. Cultura, educazione, energia, mobilità, sovranità alimentare e agricoltura a chilometri zero: sta saltando l’Italia che funziona, quella che produce economia reale e non tossica. Agonizzano settori che potrebbero creare lavoro e benessere: gestione ecologica dei rifiuti, edilizia ecologica, salvaguardia del territorio, produzioni per il mercato locale, indotto territoriale, credito equo a misura di azienda. 
«Tra “patto di stabilità” e assalto alla finanza locale sferrato dalle banche, che hanno riempito i Comuni di debiti e derivati per finanziare bilanci sempre meno trasparenti e comprensibili – scrive Viale – le amministrazioni locali sono state svuotate di ogni funzione, se non quella di fare da paravento a una progressiva cessione di sovranità a favore dei privati, dell’alta finanza e di poteri centralizzati». Un’abdicazione forzata e «illegittima», perché «contraria alla volontà espressa dagli elettori con il referendum». I sindaci fedeli alla Costituzione devono prenderne atto, anche «anche adottando misure di requisizione e di esproprio delle aziende necessarie a rimettere in moto l’economia dei propri territori». Ma i governi locali, si obietta, non sono proprio quelli dove allignano corruzione e malgoverno? Il marcio, conclude Viale, è promosso da un potere centrale che emana un decreto anti-corruzione ce non contempla il falso in bilancio. Che la corruzione sia un cancro che avvelena l’Italia lo ha “spiegato” l’emiro del Qatar al professor Monti, «il quale “credeva” invece che gli investimenti non arrivassero per via dell’articolo 18». Per questo l’articolo 18 è stato cancellato, mentre per la corruzione è stato votato un salvacondotto.

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