In Italia, ogni tre giorni una donna muore a causa della violenza di un maschio, che nella stragrande maggioranza dei casi è il compagno, il marito, il fidanzato.
Nel 2007 l’importante rapporto
nazionale promosso dall’allora Ministro per i diritti e le pari
opportunità, on. Barbara Pollastrini, ci forniva dati dettagliati sul
femminicidio italiano, che ancora oggi continua a consumarsi nel “sacro
focolare domestico”. Rogo per le nuove “streghe”, colpevoli di non voler
obbedire agli schemi sessisti in cui si vorrebbero ancora ingabbiate le
donne: femmine di consumo e di servizio.
Donne obbedienti, sottomesse al feroce maschilismo di ritorno che
arriva a ottenebrare le menti di maschi assassini la cui unica legge è
il sopruso, la violenza; espressione del più becero patriarcale
controllo sulle donne di cui violano e deturpano il corpo, per lasciare
il segno tangibile del loro possesso.
Un maschilismo che dichiara guerra alle donne da “rimettere in riga” nella controrivoluzione antifemminista che avanza. Un maschilismo alla ricerca di un risarcimento per la sua irreversibile perdita di supremazia. E per questo più feroce contro la nuova antropologia di donna non più inferiore e suddita, ma proprietaria della sua vita. Una emancipazione femminile che ha permeato la società, ma che senza il femminismo non ci sarebbe mai stata.
Ad essa si contrappone l’odio maschilista che – non è un caso – miete vittime proprio tra le donne più istruite e più economicamente indipendenti (i dati parlano chiaro), per bloccare il processo di emancipazione e autodeterminazione conquistato. Ecco allora i pregiudizi di ritorno per restaurare modelli patriarcali proprio nel microcosmo del matrimonio e della famiglia, dove la femmina dovrebbe esprimere la sua sacrificale supposta ontologia.
Questo sogno di patriarcato di ritorno alligna dietro la violenza contro le donne, troppo spesso presentata come semplice fatto di cronaca nera: liti familiari, raptus di violenza, omicidio passionale, “amore” criminale.
Mentre bisogna dire con chiarezza, assumendoci ognuno le responsabilità per il non vigilare mai abbastanza contro i luoghi comuni (detti e praticati) che sul corpo delle donne e sulla espropriazione della loro autodeterminazione si sta giocando una partita ben più vasta.
Quella dei reazionari che fanno leva sulle pulsionalità più ancestrali per sconfiggere la tanto fastidiosa democrazia, ricacciando le aspirazioni alla parità, in dignità e diritti, pericolose per chi come loro sogna la famiglia gerarchica e la società gerarchica.
Del resto, se dai pulpiti più alti capita di sentir definire le donne assassine perché accedono all’interruzione volontaria di gravidanza o snaturate perché programmano la nascita di un figlio e desiderano magari anche che nasca sano, come poi pensare che quei pregiudizi seminati sempre dagli stessi pulpiti per secoli (a cominciare da quel santo padre della chiesa che ha dato vita all’adagio: “chi dice donna dice danno!”) non continuino a veicolare nelle menti dei maschi violenti di oggi? Maschi che dal 1975 il nuovo diritto di famiglia ha spodestato dalla loro patria podestà che li legittimava a “correggere” (ovvero picchiare) la moglie?
Un maschilismo che dichiara guerra alle donne da “rimettere in riga” nella controrivoluzione antifemminista che avanza. Un maschilismo alla ricerca di un risarcimento per la sua irreversibile perdita di supremazia. E per questo più feroce contro la nuova antropologia di donna non più inferiore e suddita, ma proprietaria della sua vita. Una emancipazione femminile che ha permeato la società, ma che senza il femminismo non ci sarebbe mai stata.
Ad essa si contrappone l’odio maschilista che – non è un caso – miete vittime proprio tra le donne più istruite e più economicamente indipendenti (i dati parlano chiaro), per bloccare il processo di emancipazione e autodeterminazione conquistato. Ecco allora i pregiudizi di ritorno per restaurare modelli patriarcali proprio nel microcosmo del matrimonio e della famiglia, dove la femmina dovrebbe esprimere la sua sacrificale supposta ontologia.
Questo sogno di patriarcato di ritorno alligna dietro la violenza contro le donne, troppo spesso presentata come semplice fatto di cronaca nera: liti familiari, raptus di violenza, omicidio passionale, “amore” criminale.
Mentre bisogna dire con chiarezza, assumendoci ognuno le responsabilità per il non vigilare mai abbastanza contro i luoghi comuni (detti e praticati) che sul corpo delle donne e sulla espropriazione della loro autodeterminazione si sta giocando una partita ben più vasta.
Quella dei reazionari che fanno leva sulle pulsionalità più ancestrali per sconfiggere la tanto fastidiosa democrazia, ricacciando le aspirazioni alla parità, in dignità e diritti, pericolose per chi come loro sogna la famiglia gerarchica e la società gerarchica.
Del resto, se dai pulpiti più alti capita di sentir definire le donne assassine perché accedono all’interruzione volontaria di gravidanza o snaturate perché programmano la nascita di un figlio e desiderano magari anche che nasca sano, come poi pensare che quei pregiudizi seminati sempre dagli stessi pulpiti per secoli (a cominciare da quel santo padre della chiesa che ha dato vita all’adagio: “chi dice donna dice danno!”) non continuino a veicolare nelle menti dei maschi violenti di oggi? Maschi che dal 1975 il nuovo diritto di famiglia ha spodestato dalla loro patria podestà che li legittimava a “correggere” (ovvero picchiare) la moglie?
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