NEL GIORNO DELLO SCIOPERO GENERALE, IN DECINE DI MIGLIAIA NELLE PIAZZE DI TUTTO IL PAESE CONTRO IL GOVERNO. NO AI TAGLI ANCHE DA FLC-CGIL E COBAS VENTIMILA STUDENTI, INSEGNANTI E DOCENTI PRECARI OCCUPANO LE STRADE DI ROMA ROMA
«Semo venuti già menati», il genio dell'ironia in uno slogan. Una lezione di politica ai «tecnici»Arrivato a piazza Sant'Andrea della Valle, crocicchio presidiatissimo tra il Senato e Campo de'Fiori, il gruppo di contatto degli studenti ha rivolto alla Digos il fermo invito di spostare la barricata degli autoblindo di polizia e carabinieri. Visto che gli agenti indossavano i caschi, ed erano schierati in tenuta antisommossa, gli è stato chiesto di mostrare il volto. L'ordine è stato impartito, i caschi sono stati sfilati e la muraglia si è aperta. Potrebbe essere questa una delle principali istantanee della trasparente giornata novembrina che il movimento studentesco ha vissuto ieri a Roma. Ventimila studenti, docenti precari, insegnanti, il Quinto Stato dei precari e dei lavoratori indipendenti senza tutele né garanzie, hanno invaso il Lungotevere contromano, direzione Ponte Sisto dove il 14 novembre scorso è iniziata la caccia agli studenti medi e universitari, oltre che il pestaggio indiscriminato di adolescenti inermi da parte della polizia guidata dal Questore di Roma Fulvio Della Rocca e dal ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri. Una marcia lunga chilometri, come non si vedevano da due anni, ha riscosso gli applausi degli studenti che occupano il Virgilio sul Tevere mentre il corteo si dirigeva verso il luogo dello scandalo. Il ministero di Grazia e Giustizia in via Arenula, quel palazzone dal quale - come hanno testimoniato due video - mercoledì 14 sono stati esplosi 4 lacrimogeni a strappo sugli studenti che fuggivano da una carica partita da Ponte Garibaldi. Il corteo è sfilato rumorosamente accanto alle camionette dei carabinieri schierate davanti all'ingresso. Su una delle loro fiancate, una mano veloce ha attaccato l'adesivo della campagna che chiede il numero identificativo sul casco degli agenti. Quando la Digos ha iniziato a staccarli, un manifestante ha urlato: «Fatti identificare». E il funzionario: «Ne riparliamo quando ci sarà una legge».
Non ci sarà, forse, quella legge, ma ieri il movimento si è imposto con forza sul governo dei tecnici che ha subìto negli ultimi dieci giorni le più dure contestazione della sua insipida e non memorabile storia. Tutte le surreali minacce, tra l'altro ampiamente incostituzionali, sugli arresti differiti, oppure sul Daspo agli adolescenti, ventilate negli ultimi giorni dal prefetto Pecoraro, oltre che dall'imbarazzata Cancellieri, si sono sciolte come neve al sole. «Siamo gli stessi del 14, con o senza caschi - è stato questo il refrain nei discorsi di tutti gli speaker - non ci sono né buoni, né cattivi tra di noi». I caschi, pochi, c'erano.
Allacciati nelle modalità più originali alle borse, alle cinture, ai gomiti e alle fibbie sin dalla partenza del corteo dalla stazione Ostiense, mentre i giornalisti - una folla delle grandi occasioni - pigiavano come ossessi sui loro blackberry e i fotografi si scatenavano sul cartello più ironico dell'autunno di questa austerità: «Semo venuti già menati». Il genio dell'ironia romana sfilava sul pulmino verde pistacchio del Cinema Palazzo di San Lorenzo che ha fatto da apripista alla manifestazione. Ma erano di più gli scolapiatti e le insalatiere calzati in testa dagli attivisti del teatro Valle, e i cori beffardi lanciati in direzione delle forze dell'ordine che spuntavano, discrete, all'imbocco delle viottole del centro storico: «Smettete di travestirvi, carnevale è a febbraio». L'epopea del «travisamento a mezzo di casco», creata ad arte dai media affamati di nuovi stigma sociali da impartire, è stata trasformata in commedia grottesca quando un universitario ha annotato un pensiero ricorrente su un cartello personalizzato: «Nel 2000 mi avete obbligato a mettere il casco sul motorino, nel 2012 alle manifestazioni».
E così sono spuntate le profonde ragioni del corteo. Poco dopo il lungo defilé nel quartiere di Testaccio, la sua testa è stata presa d'impeto da un centinaio di giovani donne, determinatissime. «Il 14 la polizia ha picchiato giovani studentesse». Un rabbioso striscione rosa pink urlava «Picchiami sono una donna», atto di sfida che ricorda la giornata internazionale di oggi contro la violenza sulle donne. «Nessuna violenza dai padri, dai datori di lavoro e dalla polizia». L'ironia, e la furia, regnavano sovrane ieri in piazza e sui social media più onnipresenti che mai, contro la cupezza, e i più subdoli tentativi di criminalizzare un movimento che ha costituito fino ad oggi la più robusta opposizione al paese «serio» e «responsabile». Quello del pareggio di bilancio in Costituzione, e dei tagli al welfare e all'istruzione che verranno nei prossimi cinque anni. Un progetto suicidario denunciato dai sindacati, la Flc-Cgil a piazza Farnese e i Cobas in corteo da piazza della Repubblica, che hanno mantenuto lo sciopero generale nella scuola, a differenza di Cisl Uil Snals e Gilda. Continueranno le mobilitazioni, a sostegno degli studenti. Dopo il ritiro dell'aumento dell'orario di lavoro, l'azzoppamento del ddl «ex Aprea» in parlamento, questa è la nuova scommessa.
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