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martedì 20 novembre 2012
Fo, Hack, Rodotà e Celestini: “Matricole per gli agenti, antidoto agli abusi”
I fatti e le immagini dello scorso 14 novembre ripropongono con forza la questione della responsabilità delle forze dell'ordine. Nasce così una campagna per chiedere l'introduzione dei numeri identificativi su caschi e divise degli agenti, come è tra l'altro in molti altri Paesi europei. Tante le adesioni.
di Giacomo Russo Spena e Giuseppe Montalbano
Le adesioni alla petizione "Numeri identificativi per la polizia in antisommossa" fioccano di ora in ora. Anche di nomi noti come Margherita Hack, Stefano Rodotà, Dario Fo e Ascanio Celestini. Nei prossimi giorni molti altri si aggiungeranno alla lista perché è “una questione di civiltà”.
Per Dario Fo l’introduzione dei numeri identificativi per le forze dell’ordine dovrebbe essere una “misura di semplice buon senso, in diversi Paesi europei è già stata introdotta”. Ricorda come già in Italia vi sono uffici pubblici in cui i dipendenti devono poter essere riconoscibili dalla cittadinanza: “Rendere identificabile l’agente in tenuta antisommossa significa metterlo allo stesso livello del comune cittadino. Perché ai manifestanti viene proibito di coprirsi il volto e poi si lascia che le forze dell’ordine siano irriconoscibili? Tanto più che il poliziotto deve garantire il rispetto della legge e non può in alcun modo pensare di restare impunito se commette un abuso”.
Il 14 novembre scorso ha ricordato a Margherita Hack la “violenza inutile e gratuita” delle forze dell’ordine al G8 di Genova. “La divisa addosso – secondo l’autorevole astrofisica – dà un senso di potere e sono convinta che il numero identificativo possa essere un deterrente per fermare gli abusi: i poliziotti così saranno più prudenti e responsabili per paura delle conseguenze. E’ un modo per tutelare gli stessi agenti, estirpando le mele marce ed evitando generalizzazioni”. Sul 14 novembre, giornata a Roma di scontri sul Lungotevere tra polizia e manifestanti, la senatrice vede responsabilità anche sul fronte degli studenti, “non solo soltanto vittime, tra loro ci sono dei violenti che cercano la rissa e lo scontro”. Ma tale considerazione non giustifica, per lei, gli abusi degli agenti: “La polizia – dichiara – ha il compito di fermare la persona, immobilizzarla e consegnarla alla giustizia, non di pestarla di botte. Come punizione”.
Sulla stessa scia della Hack si pone il giurista Stefano Rodotà che pur non condividendo i metodi dei giovani in piazza il 14 condanna la gestione dell’ordine pubblico. Secondo lui si deve espungere ogni forma di tecnica violenta quando si scende in piazza per manifestare, sia per una questione di principio sia perché controproducenti. “Si finisce – dice Rodotà – per ridurre un movimento di migliaia di giovani e sostenuto da ragioni profonde a cronache di violenza che mettono in secondo piano o ignorano proprio i contenuti. In questi ultimi anni – aggiunge – le mobilitazioni non violente, come quella per l’acqua, sono quelle che hanno ottenuto i maggiori risultati e si sono dimostrate affidabili di fronte all'opinione pubblica”.
Ma, a parte questo, risulta chiaro quanto vi sia un problema di gestione dell’ordine pubblico: “Non pretendo di dare lezioni, ma le cariche frontali, gli inseguimenti sul Lungotevere a Roma e le immagini diffuse sui media non denotano una gestione della manifestazione in cui l’isolamento dei pochi violenti serva a garantire l’incolumità di tutto il resto del corteo”. L’introduzione delle matricole identificative è quindi “ragionevole e opportuna per garantire la giusta trasparenza e per responsabilizzare gli stessi agenti”.
Chi non vuol sentir parlare di equiparazione tra manifestanti e polizia è l’attore Ascanio Celestini che nota come da un lato la società spinge verso piattaforme globali dove siamo tutti schedati (“la Rete prende sembianze a volte di questura on-line, i nostri dati sensibili sono facilmente trovabili”) e dall'altro proprio i tutori dell’ordine sono dietro il più assoluto anonimato. E’ impensabile, per lui, non sapere in una manifestazione chi abusa del proprio potere: “Ci vuole la responsabilità personale. Lo stress dell’agente o l’ignoranza o i comandi ricevuti dall’alto non possono giustificare le mattanze di piazza”. Celestini replica anche ad ogni logica di equiparazione tra manifestanti e polizia: “Assurdo ipotizzare daspi, tessere o caschi con numeri identificativi per i manifestanti; un cittadino non deve girare col nome scritto in volto. Se delinque, sarà raggiunto e perseguito. Quelli che invece non si possono individuare ad oggi sono gli agenti”.
FIRMA L'APPELLO Numeri identificativi per la polizia in antisommossa
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