lunedì 26 novembre 2012

"Quattro referendum per dare forza alla piattaforma antiliberista". Intervista a Roberta Fantozzi


Quattro referendum per ridare dignità al lavoro. Roberta Fantozzi, responsabile Lavoro del Prc illustra le ragioni dei referendum su art. 8, art. 18, pensioni. In cosa consiste la richiesta di abrogazione dell’articolo 8?
L’articolo 8 è una norma varata dall’ultima manovra del governo Berlusconi. Prevede che gli accordi aziendali possano derogare in peggio al contratto nazionale e alle leggi, su materie importantissime quali l'inquadramento delle lavoratrici e dei lavoratori, le mansioni, l'orario di lavoro, i contratti a termine ed in somministrazione, il regime degli appalti, le modalità di assunzione e la disciplina del rapporto di lavoro. L’articolo 8 è stato dettato da Marchionne con l’obiettivo di cancellare tanto il contratto nazionale, quanto l’intera legislazione a tutela del lavoro. E’ una norma di una gravità senza precedenti perché in sostanza vuole distruggere cinquant’anni di conquiste del movimento operaio. E’ il modello americano di relazioni industriali: quello in cui non ci sono condizioni minime di diritti e retribuzioni per tutti, ma ogni lavoratore è messo in competizione con l’altro, in una spirale al ribasso senza limiti in cui si rompe ogni solidarietà del mondo del lavoro. Oggi c’è una ragione in più per raccogliere le firme, arrivare al referendum e vincerlo.
Ti riferisci al “Patto per la Produttivita”?

Certo. Il “Patto per la Produttività”, è attuativo dell’articolo 8. Il governo Monti ha provveduto cioè a far sì che l’articolo 8, fino ad oggi scarsamente utilizzato, diventi invece operativo e il cardine della riscrittura delle relazioni industriali. Per far questo Monti ha messo a disposizione più di 2 miliardi di euro per la detassazione del salario variabile e li ha condizionati alla firma di un accordo, anzi di quell’accordo. In sostanza il governo che non trova risorse né per gli ammortizzatori sociali, né per gli “esodati”, le ha invece trovate per arrivare alla distruzione del contratto nazionale. Il Patto per la produttività prevede che una quota degli aumenti salariali del contratto nazionale che dovrebbero tutelare il potere d’acquisto delle retribuzioni di tutte le lavoratrici e i lavoratori (cosa che già non avviene dato che l’indice IPCA introdotto nel 2009 non prevede il recupero dell’aumento dei costi dell’energia) siano legati agli “incrementi di produttività e redditività definiti dalla contrattazione di secondo livello”. In sostanza quegli aumenti non sono più certi per la generalità dei lavoratori, diventano anch’essi variabili aprendo la strada alla differenziazione dei minimi salariali. Il salario variabile non è più aggiuntivo ma sostitutivo del salario fisso.
C'è anche una stretta sulle condizioni di lavoro...
Il testo prevede inoltre che non sia più materia del contratto nazionale, ma delegata al secondo livello, la disciplina della “prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro”, cioè tutto. Si vuole arrivare in sostanza al comando assoluto su orari, ritmi, organizzazione del lavoro. Il Patto chiede poi che vengano eliminate le tutele legislative esistenti su mansioni, orari e dispositivi di controllo a distanza dei lavoratori, per aprire la strada al demansionamento e all’ulteriore diminuizione delle retribuzioni, all’eliminazione di ogni vincolo di legge sugli orari, a meccanismi di controllo esplicitamente vietati dallo Statuto dei Lavoratori. La sola buona notizia è che la Cgil non ha firmato. Il contrasto al “Patto sulla produttività” richiede iniziative a tutti i livelli, sindacali e politici. E il referendum diventa un’occasione importantissima per dire no a un modello che non è altro che la trasformazione della società in una giungla in cui tutti sono contro tutti ed il lavoro è pura merce senza diritti.
Perché intendete ripristinare la versione originaria dell’articolo 18?
Perché l’operazione che ha fatto Monti sull’articolo 18 è un altro tassello decisivo di quell’offensiva. Se non esiste più l’obbligo di reintegra nel posto di lavoro di chi è stato ingiustamente licenziato, tutte le lavoratrici e i lavoratori diventano precari e ricattabili: chi più oserà nei posti di lavoro far valere i propri diritti sapendo di correre il rischio di perdere il posto di lavoro? E’ in gioco la sostanza della democrazia, che non esiste se dentro i luoghi di lavoro è cancellato ogni diritto. E veniamo ad un’altra “riforma” del Governo Monti, quella delle pensioni. Il governo Monti ha allungato di 6 anni e più il tempo di lavoro, gettando nella disperazione centinaia di migliaia di persone. La controriforma delle pensioni avrà effetti devastanti su tutta la società. Per le lavoratrici e i lavoratori che non ce la fanno fisicamente a lavorare fino a 67/70 anni. Per coloro che sono espulsi per la crisi dai luoghi di lavoro e non riusciranno ad arrivare alla pensione, non sapendo più come vivere. Per i giovani che avranno ancora più difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, in un paese in cui la disoccupazione giovanile è al 35%. Per le donne su cui continua a scaricarsi il peso del doppio lavoro, produttivo e riproduttivo. La controriforma è tanto più ingiusta perché il nostro sistema previdenziale era in equilibrio fino ed oltre il 2060! Persino Monti l’aveva ammesso nel proprio discorso di insediamento! Salvo poi, nemmeno un mese dopo, usare i contributi delle pensioni per fare “cassa” e per distruggere in prospettiva la previdenza pubblica a favore dei fondi privati.
Come sta andando la raccolta delle firme?
Il problema principale è l’oscuramento mediatico, appena scalfito dall’iniziativa assunta nei giorni scorsi nei confronti della RAI per quel che riguarda i referendum sul lavoro, ma che sta invece continuando sulle pensioni. Se le lavoratrici e i lavoratori, le cittadine ed i cittadini sono informati, firmano con grande determinazione. Quindi va davvero fatto tutto il possibile, usato ogni minuto utile per raccogliere le firme. I referendum sono una parte decisiva di una piattaforma di alternativa alle politiche iperliberiste. Un’alternativa che non verrà da chi come il PD oggi sostiene Monti, assumendosi ogni giorno di più la responsabilità della distruzione dei livelli minimi di civiltà e diritti del lavoro. Verrà dalle lotte, dalla riappropriazione di potere diretto delle cittadine e dei cittadini attraverso strumenti come il referendum, dall’unità delle forze antilberiste.

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