Lo confesso: io non vado a votare alle primarie del Pd (pardon, di coalizione). Anzi, per essere più chiaro: mi terrò ben lontano dai seggi, da infedele quale sono. In primo luogo perché non mi piace in sé, l’idea delle “primarie ”. Mi pare un modo di simulare una forma spettacolare di democrazia “esterna ” da parte di partiti che al proprio interno ne hanno smarrito sia la pratica che il ricordo. Come dire? Un surrogato di partecipazione per sostituire quel dibattito ai vari livelli – accalorato, passionale, faticoso – che chi ha la mia età ricorda ancora. E che era il sale della “democrazia dei partiti” q u a n do questi erano davvero dei corpi collettivi e non degli aggregati d’interessi assemblati intorno a qualche capo e affidati all’onda mediatica del momento. Non lo discuto, sono un bell’”evento ” pubblicitario. In cui la gente ai seggi funziona da sfondo per la gara delle “teste di serie”, illusi di “contare ”, “dire la propria”, «esercitare il proprio diritto-dovere di buon cittadino», in realtà comparse dalle alternative limitate e in buona parte segnate. A me gli “eventi ” non piacciono. Fanno parte del linguaggio del marketing, più che delle forme virtuose della politica. Non mi piacciono poi “queste ” primarie, con queste regole cervellotiche: faccio il politologo di mestiere, so che il ricorso a forme di “primarie ” è stato introdotto relativamente di recente da alcuni partiti di massa, in parallelo con la loro crisi d’identità e di militanza, per ovviare a un drammatico calo di fiducia e di fedeltà. Ma non mi è capitato mai di studiare un caso di “primarie a doppio turno con ballottaggio”. In nessuna parte del mondo.
E soprattutto pensate a corsa iniziata, per far gioco al candidato dotato del necessario potere d’apparato. Di Renzi penso tutto il male possibile, credo che sia l’ennesima reincarnazione di un’Italia arrogante e arruffona di cui il berlusconismo è stato la penultima espressione. Ma resto convinto che le regole di una competizione elettorale dovrebbero essere scritte “dietro un velo d’ignoranza”, per citare John Rawls. E non con i sondaggi davanti al naso.
E poi, ultimo ma non meno importante motivo per starne alla larga: non intenderei mai e poi mai legarmi le mani, con questo voto “minore” per la successiva scelta di voto alle elezioni vere. Certo, Nichi Vendola mi è più simpatico di Pierluigi Bersani, e naturalmente di Renzi. Ma non vorrei “impegnarmi” a votare poi per il Pd di Renzi o di Bersani – di Monti in filigrana – quando uno dei due avrà vinto la gara e presenterà il conto. Sono uno che prende sul serio gli impegni sottoscritti – co n f essione per confessione, sono un “gobettiano” -, e forse non tutti sanno che andando oggi ai seggi si sottoscrive un impegno formale «a sostenere il centrosinistra e il candidato scelto dalle primarie alle prossime elezioni politiche».
In tanti faranno spallucce pensando che poi, passata la festa gabbato lo santo e chi li vedrà poi nel segreto dell’urna? Ma è una forma gesuitica di “riserva mentale” – o una forma residuale di tatticismo cinico – da cui deriva tanto del degrado e del discredito della nostra politica. Meglio cominciare da subito a segnarne un distacco ben riconoscibile.
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domenica 25 novembre 2012
Marco Ravelli. Lo confesso: io non vado a votare alle primarie del Pd (pardon, di coalizione).
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