Uno
dei non sporadici casi in cui la logica binaria prende il sopravvento
sulla logica dialettica si riscontra nella comune tendenza a ridurre la
complessa ontologia marxista a un decostruzionismo.
*Università di Urbino, redattore di “Materialismo storico”
Quando un termine
viene frequentemente usato da una forza politica con connotati
ideologici ben precisi, la forza avversaria tende spesso a nutrire un
certo disprezzo verso di esso e a rifiutarlo in toto.
Eppure il
marxismo, che costituisce, tra le altre cose, una “critica
dell’ideologia”, può condurre tale operazione di smascheramento della
“falsa coscienza” soltanto in quanto contrappone ai processi di
ideologizzazione una certa oggettività.
Il
linguaggio stesso risulta sottoposto ai rapporti di forza, che agiscono
non soltanto sul processo di selezione dei termini, ma anche sul loro
impiego.
“Libertà”,
“progresso”, “democrazia” sono lemmi che hanno conosciuto numerose
varianti ideologiche, molteplici usi strumentali, tra loro persino
contrapposti. Il marxismo, tuttavia, si è sempre prodigato per
smascherare queste varianti e questi usi senza rifiutare i termini nel
loro significato oggettivo e universale.
Oggi
il termine “rosso-bruno” risulta egemonizzato dall’ideologia liberale
che lo impiega per diffondere e corroborare la propria “teoria del
totalitarismo”. Viene dunque perlopiù evocato allo scopo di equiparare
comunisti e fascisti, a cui vengono contrapposti i liberali-moderni,
sedicenti esponenti della tolleranza e della democrazia. Si tratta
chiaramente di una narrazione fantasiosa. Ma l’imprescindibile
smascheramento di questa fantasia non deve costituire un pretesto con
cui rifiutare il termine nella sua totalità. Perché?
A
partire dagli anni ’70 del secolo scorso l’ideologia postmoderna ha
cominciato a egemonizzare il mondo del dissenso e della cultura critica,
precedentemente capitanati dal marxismo. È dunque nato un
postmodernismo di sinistra che ha dato luogo a una sorta di marxismo
fluido, flessibile, pronto a contaminarsi e a spalancare le porte ad
autori di destra come Nietzsche e Heidegger. Questa ideologia ha finito,
come è stato ampiamente dimostrato, per favorire l’affermarsi di
tendenze anarcocapitaliste che hanno progressivamente eroso e privato di
consistenza le strutture della democrazia moderna.
L’avanzare
della crisi economica su un terreno di devastazione culturale e
politica ha successivamente favorito la nascita di un postmodernismo di
destra: una destra fluida che guarda prevalentemente a Carl Schmitt, a
Julius Evola, a Ernst Jünger, a Spengler, a Nietzsche, a Heidegger e a
Giovanni Gentile, ma pronta a contaminarsi e a spalancare le porte ad
autori come Gramsci e Marx. Naturalmente se nel caso dei “Nietzscheani di sinistra”,
l’ideologia postmoderna si reggeva su una gigantesca distorsione del
pensiero di Nietzsche, così nel caso di questi “Marxiani di destra”,
l’ideologia postmoderna si regge su una gigantesca distorsione del
pensiero di Marx.
In entrambi i casi tale ideologia teorizza la necessità di superare le categorie di “destra” e “sinistra”.
Il
tentativo della “destra liquida” in ascesa, tuttavia, consiste
nell’inglobare la critica al sistema capitalistico propria del marxismo
in una critica della modernità in quanto tale (dei suoi processi
economici, delle sue strutture politiche e dei suoi valori culturali);
in una critica quindi che riproponga senza le intermediazioni della
società civile, le tradizioni obsolete, le antiche gerarchie e un
rapporto diretto tra sovrano e popolo.
Tale
polpa nera dell’orizzonte eurasiatista si presenta spesso, tuttavia,
sotto una scorza rossa che, oltre a svolgere una funzione protettiva
finisce per sedurre anche quanti sono inclini ad entusiasmarsi non
appena sentono echeggiare il nome di Gramsci o di Marx.
Indubbiamente
la categoria di “rosso-bruno” appare oggi ampiamente dilatata
dall’ideologia liberale, al fine di colpire anche il marxismo e
qualunque tentativo di focalizzare l’attenzione sulla questione
nazionale; ma non meno dilatato è il rifiuto di questa categoria. Un
rifiuto che si ostina a non voler prendere le distanze dall’eurasiatismo
e da quei “Marxiani di destra” impegnati a inglobare l’anticapitalismo
di sinistra entro le proprie pulsioni antioccidentali e i propri istinti
antimoderni, con la progressiva adesione di sempre più marxisti che ne
subiscono l’attrazione narrativa.
«Gratta molti comunisti, e troverai degli sciovinisti gran-russi» aveva affermato Lenin.
È
certo una frase nota, ma questa sua affermazione, riflettendoci,
contiene in ultima analisi una critica ai rosso-bruni del proprio tempo,
a coloro cioè che sotto una scorza rossa nascondevano una certa polpa
nera. Era forse anche Lenin una vittima dell’ideologia liberale?
Analogamente, nei “Quaderni del Carcere”, Antonio Gramsci inquadra in questi termini il fenomeno dell’eurasiatismo:
«Eurasiatismo.
Il movimento si svolge intorno al giornale Nakanune, che tende alla
revisione dell’atteggiamento assunto dagli intellettuali emigrati: è
cominciato nel 1921. La prima tesi dell’eurasiatismo è che la Russia è
più asiatica che occidentale. La Russia deve mettersi alla testa
dell’Asia nella lotta contro il predominio europeo. La seconda tesi è
che il bolscevismo è stato un avvenimento decisivo per la storia della
Russia: ha «attivato» il popolo russo ed ha giovato all’autorità e
all’influenza mondiale della Russia con la nuova ideologia che ha
diffuso. Gli Eurasiatici non sono bolscevichi ma sono nemici della
democrazia e del parlamentarismo occidentale. Essi si atteggiano spesso a
fascisti russi, come amici di uno Stato forte in cui la disciplina,
l’autorità, la gerarchia abbiano a dominare sulla massa. Sono partigiani
di una dittatura e salutano l’ordine statale vigente nella Russia dei
Soviet per quanto essi vagheggino di sostituire l’ideologia nazionale a
quella proletaria. L’ortodossia è per loro l’espressione tipica del
carattere popolare russo; essa è il cristianesimo dell’anima
eurasiatica».
Gramsci
che qui attacca gli «Eurasiatici» come «nemici della democrazia e del
parlamentarismo occidentali» e come «amici di uno Stato forte in cui la
disciplina, l’autorità, la gerarchia abbiano a dominare sulla massa»,
risulta anch’egli vittima dell’ideologia liberale?
Oggi
come ieri, la critica ai rosso-bruni e agli eurasiatisti costituisce un
compito fondamentale del marxismo per distinguere il significato
autentico di un termine dai suoi usi strumentali. Come è il marxismo che
dovrebbe rivendicare per primo il concetto di “democrazia” per non
lasciare all’ideologia liberale l’egemonia su questo termine, così è il
marxismo che dovrebbe criticare per primo il “rossobrunismo” per non
lasciare al liberalismo l’egemonia di questa critica.
Certo,
la categoria in questione appare oggi, come abbiamo osservato,
indubbiamente dilatata. E tuttavia possiamo affermare che esistono
diverse gradazioni di rossobrunismo: quei marxisti italiani, ad esempio,
che oggi sostengono senza remore il governo Di Maio-Salvini, ritengono
forse sia esso un governo di sinistra, con politiche e finalità di
sinistra, o non postulano tacitamente, per giustificare un tale
sostegno, quel superamento delle categorie di cui sopra oggi così
reiterato dai discorsi della destra postmoderna? Non costituisce la
simpatia di certi marxisti odierni per il governo attuale un più o meno
profondo assorbimento del nuovo postmodernismo reazionario? Se la
categoria di rossobrunismo è molto meno ampia di quanto l’ideologia
liberale tende oggi a far credere, è sicuramente anche molto più
variegata.
Compito
del marxismo sarebbe allora quello di ristabilire non soltanto i
confini di tale categoria ma anche i sui diversi cromatismi. Ad una
critica liberale di questo termine occorrerebbe in sostanza contrapporre
una critica marxista, come a una logica meccanicista una logica
dialettica. È invece un atteggiamento tipico dell’ideologia postmoderna
la tendenza a dimenticare la “pars construens” per concentrarsi
unicamente sulla “pars destruens”, sia per quanto riguarda gli assetti
sociali che per quanto concerne i fenomeni linguistici.
*Università di Urbino, redattore di “Materialismo storico”
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