sabato 26 gennaio 2019

Il trionfo della menzogna: le foibe

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di Angelo d’Orsi
Se il comunismo è finito, perché l’anticomunismo prospera? A Kiev come a Roma, a Budapest come a Varsavia, a Washington come a Berlino, in Brasile come in Cile, governanti, magistrati, politici, giornalisti, professori emanano leggi, accendono polemiche, aprono processi, creano norme amministrative, o si spingono a riscrivere la storia in un senso diligentemente revisionistico, e rovescistico.

Lo scopo è uno: mandare alla sbarra, in senso proprio o figurato (culturalmente), il comunismo, i suoi teorici, i suoi esponenti storici, i suoi dirigenti e militanti. Non solo cancellare il passato, in cui il comunismo (in qualche sua forma) ha prosperato, ma punire chi ammette di avervi aderito. “Sorvegliare e punire”, ecco la ricetta: sorvegliare e punire quei reprobi. Molti dei quali, in vero, tra coloro che rivestirono ruoli dirigenti, hanno gareggiato nel negare il proprio passato, presentandosi come esempi viventi di nicodemismo: comunisti in pubblico, per necessità (!?), acomunisti o anticomunisti nel segreto del cuore.

Per gli altri, invece, ecco scattare la sanzione sociale. Escludere, ostracizzare, ridicolizzare chi prova a resistere sul piano culturale, chi, magari citando Bobbio, invita, semplicemente, a non rallegrarsi davanti alla caduta del comunismo storico, ma a prendere atto che anche se larga parte di quell’esperimento è fallito, rimane intatta l’ansia di liberazione di centinaia di milioni di esseri umani, schiacciati dai grandi potentati economici, vilipesi da una ingiustizia mostruosa, offesi dall’essere esclusi dal proscenio, dopo che, un secolo fa la Rivoluzione Bolscevica li aveva fatto uscire dall’ombra dando loro la parola, e addirittura portandoli al potere. Quell’ansia di liberazione dei subalterni è stata moltiplicata dagli svolgimenti del turbocapitalismo nel senso della disuguaglianza, dell’oppressione, dell’ingiustizia. Delle nuove povertà per le classi medie, delle accresciute povertà per i poveri, delle accresciute ricchezze per i ricchi.

Il quotidiano Il Tempo, pochi giorni fa, si è spinto a proporre un’anagrafe dei comunisti: quale dovrebbe essere il passo successivo? L’esilio? Il confino di polizia? La galera? Leader politici forse destinati ad andare al governo, a dispetto della loro pochezza, come Berlusconi, Salvini, Meloni e loro adepti, non esitano a richiamare lo spauracchio comunista, convinti che quel richiamo porterà voti. Un giornalista di lungo corso come Bruno Vespa, tradendo ogni deontologia professionale, negli stessi giorni, in una puntata dedicata all’annoso tema “foibe”, scatena il proprio demone anticomunista, contro ogni verità accertata, procedendo incontrastato o quasi in vergognose filippiche prive di sostanza storica.

E che dire del presidente della Repubblica? Il quale precisamente in relazione al “Giorno del ricordo” ultimo ha emesso un comunicato che fa accapponar la pelle, tra ignoranza e propagandismo (lo abbiamo denunciato nel recente convegno “Giorno del ricordo. Un bilancio”, svolto a Torino, il 10 febbraio 2018).

Vespa come Mattarella in fondo colpiscono nel “comunismo titino” qualsiasi idealità comunista, ossia ogni esigenza di giustizia; e che per farlo offendano la verità storica, poco importa. Poco importa che centri di ricerca accreditati abbiano prodotto monografie, saggi, articoli, in grado di smontare le balle spaziali sulle foibe; poco importa che la menzogna delle decine (centinaia?!) di migliaia di infoibati sia smentita dalla stessa configurazione geologica del territorio; poco importa che gli italiani occupanti abbiano seminato morte e distruzione nella Jugoslavia; poco importa che quando si parla di italiani “vittime” ci si riferisca essenzialmente a quegli italiani, ossia fascisti occupanti; poco importa che l’Europa tutta debba proprio all’esercito partigiano jugoslavo guidato da Tito un tributo di gratitudine eterna; poco importa che a quella Jugoslavia l’Italia del Centrosinistra abbia dato il colpo di grazia nel 1999 con la guerra del Kosovo…

Poco importa che la verità, insomma, venga violentata dai Bruno Vespa, e dai suoi ospiti scodinzolanti (salvo eccezioni, come l’ottima Alessandra Kersevan maltrattata con villania da Vespa), che venga sottaciuta o rovesciata da politici in cerca di consenso (ricordo solo l’orribile figurina di Maurizio Gasparri, che della questione foibe ha fatto un caso personale, che lo manda in agitazione da ictus ogni volta che ne parla, anzi, che ne strilla); la menzogna viene propalata, ripetuta, ribadita, fino a che diventa senso comune. I telegiornali, i talk show, i “programmi di approfondimenti”, i docufilm, le pseudomemorie di pseudoreduci o pseudoesiliati, stanno realizzando una sorta di cortina fumogena, dietro la quale si erge come un totem (e insieme un tabù), “la foiba”: una sorta di gigantesco monumento alla menzogna.

Grazie a tutto ciò, a codesto apparato propagandistico, è facile che chiunque, in un’aula universitaria o in uno studio radio-tv, in un vagone ferroviario o in una vettura di tram, d’improvviso se ne esca con la fatidica domanda: “E allora, le foibe?!”. E se si prova a opporre ragionamenti argomentati alle più truci invettive, dati reali e certificati ai dati inventati, vicende storiche accertate alla propaganda becera, allora si viene sommersi dall’ingiuria e additati, una volta di più, con la stentorea accusa: “Comunista!”. Parola che vorrebbe essere il culmine dell’infamia, ma forse, a maggior ragione se si guarda a chi la proferisce, diventa un titolo di merito.

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“Foibe, sgomenti per le parole di Mattarella
Pubblichiamo il comunicato redatto dai partecipanti (Angelo d'Orsi, Andrea Martocchia, Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi, Sandi Volk, Davide Conti) e dagli organizzatori (Historia Magistra e Jugocoord) del convegno “Giorno del ricordo. Un bilancio”, tenutosi a Torino il 10 febbraio. A seguire la dichiarazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

I partecipanti e gli organizzatori del convegno “Giorno del ricordo. Un bilancio”, tenutosi a Torino, in data odierna, hanno preso atto del comunicato del Presidente della Repubblica, sulla ricorrenza del 10 febbraio, inserita, con legge del Parlamento del marzo 2004, nel calendario delle feste civili della Repubblica. Le parole del massimo rappresentante dello Stato lasciano sgomenti, in quanto non sono altro che una riproposizione degli elementi portanti della propaganda revanscista e persino neofascista. Accanto al vago riconoscimento “della durissima occupazione nazi-fascista di queste terre”, il presidente Mattarella addita ancora una volta alla pubblica ignominia il “comunismo titino”, mostrando una inaccettabile ignoranza dei fatti storici (ci limitiamo per esempio a far notare che a fianco delle formazioni partigiane jugoslave erano combattenti di ogni nazionalità e i loro nemici, prima ancora che gli italiani o i nazisti tedeschi, furono soprattutto croati “ustascia”, sloveni “domobrani”, serbi “cetnizi”, albanesi “balisti”) e accodandosi a uno sciagurato uso politico della storia: una storia manipolata, riscritta, e “adattata” ad usum. 

I risultati del nostro convegno, al contrario, confermano, una volta di più, che quella delle “foibe” è una vera e propria operazione politico-culturale, sancita dalla istituzione della legge n. 92/2004, che ha contribuito a creare o consolidare un senso comune anticomunista, e anti-antifascista, volto a favorire una memoria contraffatta. In essa, invece di una necessaria, indispensabile, sebbene tardiva assunzione di responsabilità del Paese, si è propalata ancora una volta l’autoassolutoria idea della innocenza degli “italiani brava gente”. Dal capo dello Stato ci saremmo aspettati ben altra cautela, tanto più in una fase storico-politica che vede un sempre più invadente e pericoloso ritorno del fascismo (più che del “nazionalismo”, come prudentemente scrive Mattarella).

Sebbene emarginati, e spesso impediti di parlare, ostacolati nella stessa attività di ricerca, gli studiosi e le studiose, oggi presenti a Torino, assieme agli organizzatori e a coloro che ci hanno testimoniato la loro vicinanza e solidarietà si impegnano a continuare il proprio lavoro, con lo studio, la testimonianza, la divulgazione. E la lotta. 

Torino, 10 febbraio 2018
* * *

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha rilasciato la seguente dichiarazione:
«Il Giorno del Ricordo è stato istituito dal Parlamento per ricordare una pagina angosciosa che ha vissuto il nostro Paese nel Novecento. Una tragedia provocata da una pianificata volontà di epurazione su base etnica e nazionalistica.

Le foibe, con il loro carico di morte, di crudeltà inaudite, di violenza ingiustificata e ingiustificabile, sono il simbolo tragico di un capitolo di storia, ancora poco conosciuto e talvolta addirittura incompreso, che racconta la grande sofferenza delle popolazioni istriane, fiumane, dalmate e giuliane.

Alla durissima occupazione nazi-fascista di queste terre, nelle quali un tempo convivevano popoli, culture, religioni diverse, seguì la violenza del comunismo titino, che scatenò su italiani inermi la rappresaglia, per un tempo molto lungo: dal 1943 al 1945.

Anche le foibe e l'esodo forzato furono il frutto avvelenato del nazionalismo esasperato e della ideologia totalitaria che hanno caratterizzato molti decenni nel secolo scorso.

I danni del nazionalismo estremista, dell'odio etnico, razziale e religioso si sono perpetuati, anche in anni a noi molto più vicini, nei Balcani, generando guerre fratricide, stragi e violenze disumane.

L'Unione Europea è nata per contrapporre ai totalitarismi e ai nazionalismi del Novecento una prospettiva di pace, di crescita comune, nella democrazia e nella libertà.

Oggi, grazie anche all'Unione Europea, in quelle zone martoriate, si sviluppano dialogo, collaborazione, amicizia tra popoli e stati.

Le stragi, le violenze, le sofferenze patite dagli esuli giuliani, istriani, fiumani e dalmati non possono essere dimenticate, sminuite o rimosse. Esse fanno parte, a pieno titolo, della storia nazionale e ne rappresentano un capitolo incancellabile, che ci ammonisce sui gravissimi rischi del nazionalismo estremo, dell'odio etnico, della violenza ideologica eretta a sistema».

Roma, 9 febbraio 2018

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