Vincenzo Imperatore Consulente di direzione, giornalista e saggista
La Casa de Papel (La Casa di Carta), la serie televisiva spagnola trasmessa da Netflix in cui si narra la vicenda di una banda di rapinatori che tenta il colpo della vita rapinando la zecca di Stato, è entrata di diritto tra le icone del ribellismo al mondo della finanza strizzando l’occhio al momento storico in cui stiamo vivendo, in cui tutti ci sentiamo vittime di un sistema che vorrebbe solo la nostra povertà e il nostro annientamento. Un successo di dimensioni planetarie che deve far riflettere (ne sono capaci?) soprattutto i manager delle banche visto che la popolarità della storia rappresenta, seppur indirettamente, un importante benchmark del livello di fiducia nei confronti del mondo della finanza. Piuttosto che effettuare costose indagini di customer satisfaction, La Casa de Papel, a costo zero, ha fornito al paludato sistema creditizio molte più indicazioni delle taroccate analisi da cui emerge un sistema solido ed affidabile a cui non crede più nessuno.
Milioni di fan in tutto il mondo, boom di nomi dei protagonisti (Tokyo, Berlino, Nairobi e Rio) per i neonati, il travestimento dei rapinatori dentro la zecca dello Stato spagnolo (tuta rossa e maschera di Dalì) utilizzato da un gruppo di attivisti di Vicenza come abito di protesta davanti al Palazzo Thiene, sede della banca Popolare di Vicenza, “Bella ciao” – non certo l’ultima produzione dei Maneskin – tra le canzoni più scaricate sul web negli ultimi tempi.
Senza l’eterna lotta fra il bene e il male, lo sappiamo bene, gran parte della letteratura e del cinema non avrebbe ragione di esistere. E quasi sempre, da lettori o spettatori, ci siamo schierati con il buono. Ma perché, in questo caso, tutti hanno fatto (e fanno) invece il tifo per il Professore, il protagonista carismatico, e per il resto dei membri della sua banda di criminali?
Per un semplice meccanismo di immedesimazione. Questa volta siamo dalla parte dei cattivi perché dall’altro lato non c’è un buono ma un soggetto (il sistema finanziario) molto più crudele che nel nostro immaginario ha ormai azzerato il suo capitale di fiducia. E che non facciamo più fatica a chiamarlo ladro. Un sistema sempre più amorale che, quando è attaccato, si difende (e viene difeso) facendo leva sul complottismo, quando non sul populismo.
“Dove sono finiti – chiede retoricamente il professore alla sua amata Raquel nella scena cardine finale – 500.000 milioni di euro creati dal nulla dalla Bce dal 2011 al 2013? Alle banche! E l’hanno chiamata ‘iniezione di liquidità’. Ma quei soldi dovevano finire ai cittadini, alla economia reale. Qualcuno ha definito ladra la Bce?”.
Sarà anche populismo ma se con questo termine si vuole identificare un movimento che identica le masse come depositarie dell’energia e dell’intelligenza collettiva in grado di cambiare un sistema, allora consideriamolo il più alto dei complimenti che possa esser rivolto all’autore de La Casa di Carta.
Sono rimasti in pochi (compresi editori e giornalisti) a difendere quel sistema. E lo fanno solo per tutelare i propri interessi. Ci ripetono in continuazione, tra l’altro spesso smentiti dai continui default delle banche, che “il sistema è solido”. Non ne siamo convinti ma, se pure fosse vero, ciò che conta non è la solidità. Perché anche la mafia è un sistema solido.
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