In coincidenza del 10 febbraio assistiamo ad indecorose
iniziative ed interventi sulla ‘questione foibe’ che non riflettono la
verità e le documentazioni storiche, bensì manifestano posizioni
strumentali e storicamente prive di ogni fondamento tipiche del
revanscismo nazionalista che ha sempre ispirato i fascisti di ogni risma
ed oggi lambisce ampi settori del “centro-sinistra”.
In questi anni il revisionismo (di destra e di
“sinistra”) ha fatto carte false pur di deformare, falsificare e
cancellare la storia. Nel nome della “pacificazione” e della costruzione
di un’artificiosa “memoria condivisa” viene condotta una campagna di
stravolgimento della verità storica, tesa alla sistematica assoluzione
del fascismo e alla denigrazione di chi lo ha realmente combattuto – in
particolare dei comunisti, i quali ebbero un ruolo fondamentale
nell’antifascismo e nella Resistenza – arrivando alla vergogna di
mettere sullo stesso piano nazi-fascisti ed antifascisti, repubblichini e
partigiani, combattenti per la libertà ed oppressori o, peggio ancora,
presentando i carnefici come vittime e martiri e i perseguitati come
aggressori.
Con l’istituzione della “Giornata del Ricordo” del 10 febbraio, questa campagna ha avuto anche il suo appuntamento ufficiale in cui i cosiddetti “infoibati” vengono presentati come martiri “solo perché italiani”. Si tenta cinicamente di sfruttare il sentimento d’appartenenza nazionale per riproporre l’infame connubio tra fascismo e Italia e una visione nazionalista e sciovinista della storia e della realtà. Il tutto avallato dall’ex presidente della Repubblica Napolitano, che non solo ha straparlato di barbarie ed espansionismo slavo nel definire il movimento partigiano sul confine orientale (che, vogliamo ribadire, fu italiano, sloveno e croato), ma ha anche concesso medaglie ai familiari dei presunti “martiri dell’italianità”, tra cui, ad esempio, Vincenzo Serrentino, giustiziato dopo regolare processo in quanto criminale di guerra ricercato dalle Nazioni Unite.
Questa ri-scrittura della storia è, tra l’altro, funzionale allo sdoganamento politico e ideologico delle attuali organizzazioni fasciste e della destra radicale, che sono considerate ormai, da parte del centro-destra e non solo, come partner politici ed elettorali del tutto legittimi.
Queste formazioni sono facili strumenti da utilizzare
contro i movimenti politici e sociali non omologati e non compatibili
con l’attuale sistema politico, come dimostra il crescendo di azioni
squadristiche sempre più gravi come quella di Cremona del gennaio scorso
contro il compagno Emilio. Molto grave è il fatto che in questi giorni i
prefetti e i questori di alcune città autorizzino iniziative sulle
foibe promosse da organizzazioni fasciste e di estrema destra come casa
Pound e Forza Nuova. Questi burocrati dello stato disattendono tutte le
disposizioni legislative che impediscono attività e riti di stampo
fascista.
Si ignora sistematicamente quanto la DOCUMENTAZIONE STORICA ci consegna.
Alla fine della Prima Guerra Mondiale, con il Trattato
di Rapallo (1920) e poi quello di Roma (1924), l’Italia acquisì sul suo
confine orientale un territorio nel quale abitavano quasi 500.000 tra
sloveni e croati. Con l’avvento del fascismo iniziò un processo di
assimilazione forzata: vennero progressivamente eliminate tutte le
istituzioni slovene e croate, le scuole furono italianizzate, gli
insegnanti licenziati o costretti ad emigrare, vennero posti limiti
all’accesso degli sloveni nei pubblici impieghi, cambiati i nomi dei
luoghi. Questo generò una prima ondata di sentimento anti-italiano.
Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel 1941
il regime fascista e quello nazista attaccarono e occuparono quasi tutta
la Jugoslavia, lasciandosi andare a uccisioni e brutalità di ogni
genere. Vennero approntati, sia nel territorio italiano che in quello
jugoslavo occupato, un gran numero di campi di concentramento, nei quali
oltre ai detenuti di etnia slava vennero spesso rinchiusi anche
migliaia di antifascisti italiani e stranieri di varie nazionalità. Gran
parte degli slavi, fra cui anche vecchi, donne e bambini, trovarono la
morte per inedia, malattie, torture o soppressione fisica, come peraltro
espressamente richiesto da Mussolini, che chiedeva «l’annientamento di
uomini e cose».
I primi partigiani jugoslavi iniziarono la loro lotta
antifascista sin dal luglio 1941. I nazifascisti tentarono inutilmente
in tre riprese il loro annientamento. Il primo tentativo fu realizzato
nell’ottobre 1941 e si avvalse anche di vere e proprie azioni
terroristiche verso i civili (ad esempio l’eccidio nazista di 7000
abitanti di Kragujevac). Il secondo fu attuato nel marzo 1942, quando il
Comando superiore armate Slovenia e Dalmazia (poi detto Supersloda)
inviò a tutti i reparti la circolare 3C. Questa circolare conteneva
ordini di una ferocia inaudita come, ad esempio: “Internare, a titolo
protettivo, precauzionale e repressivo, individui, famiglie, categorie
di individui delle città e delle campagne e, se occorre, intere
popolazioni di villaggi e zone rurali; si sappia bene che eccessi di
reazione, compiuti in buona fede, non verranno perseguiti. Perseguiti
invece, inesorabilmente, saranno coloro che dimostreranno timidezza e
ignavia”. La terza grande offensiva si svolse nell’estate 1942, sotto la
direzione del generale Mario Roatta, e si concluse, come gli altri due
tentativi, con grandi massacri di civili, ma senza riuscire a scalfire
la forza e il coraggio dei partigiani jugoslavi, ai quali si univano
molti partigiani italiani di orientamento comunista.
Si preferisce non ricordare le migliaia e migliaia di
civili jugoslavi trucidati dalle truppe italiane nell’ex-Jugoslavia,
occupata dal 6 aprile 1941 fino all’ 8 settembre del 1943; si ignorano
le migliaia di civili (donne, vecchi e bambini) morti nei campi di
concentramento fascisti ad Arbe, a Gonars e in altri campi del
centro-nord Italia (per ulteriori approfondimenti consulta http://www.laltralombardia.it/public/docs/biblio.html).
Si cancellano dai libri di storia e dalle commemorazioni
le violenze sistematiche subite in Istria dalla popolazione locale
indigena nel corso dell’occupazione fascista (distruzione di Centri
culturali e di case del popolo, italianizzazione forzata dei cognomi
slavi, imposizione della lingua italiana ecc…)
Si arriva a falsificare la realtà fino a moltiplicare il
numero degli infoibati (fra cui moltissimi gerarchi fascisti e
collaborazionisti macchiatisi di gravissimi delitti e violenze) e degli
esuli, sparando cifre a casaccio e manipolando la documentazione e la
ricerca storica, come hanno dimostrato con i loro studi alcuni storici e
ricercatori quali Enzo Collotti, Alessandra Kersevan e Claudia
Cernigoi. Ad esempio, i 500 infoibati istriani (numero documentato da
recenti ricerche) diventano 4 o 5 mila e per alcuni addirittura 30.000 e
così a seguire con altre foibe, come quella di Basovizza.
Non si contestualizzano mai i fatti, quasi che le
“foibe” fossero un dato impazzito della realtà da usare per la bieca
propaganda politica. Perché si vuole speculare sul sangue, sul dolore e
sulle vittime di una guerra la cui totale responsabilità ricade sui
nazi-fascisti aggressori?
In realtà si tenta di sfruttare cinicamente il sentimento di appartenenza nazionale per riproporre l’infame connubio tra fascismo e Italia, con una visione nazionalista e sciovinista della storia e della realtà.
Si vuole affermare e perpetuare il luogo comune di “italiani brava gente”, ignorando che “dall’unità del nostro paese fino alla fine della seconda guerra mondiale, oltre all’aggressione della Jugoslavia, si sono verificati molti episodi nei quali gli italiani si sono rivelati capaci di indicibili crudeltà.”
(dalla quarta di copertina del libro di Angelo Del Boca “Italiani brava gente?”).
Fra gli episodi, sempre citati da Angelo Del Boca, professore dell’Università di Torino considerato il maggior storico del colonialismo italiano, troviamo: 1000 ostaggi fucilati dall’esercito italiano nel territorio di Lubiana (ex-Jugoslavia) tra il 1941 e il 1943, 35.000 persone deportate in Italia nei campi di concentramento, di cui 4.500 morte nel campo dell’isola di Arbe; le deportazioni in Italia di migliaia di libici, lo schiavismo applicato in Somalia lungo i grandi fiumi, l’impiego in Etiopia dell’iprite e di altre armi chimiche proibite che hanno procurato migliaia di morti e devastazioni indicibili, lo sterminio di duemila monaci nella città conventuale di Debrà Libanos (Etiopia), la consegna ai nazisti, da parte dei repubblichini-fascisti, di migliaia di ebrei votati a sicura morte (Italiani, brava gente? di Angelo del Boca- Ed. Neri Pozza pag.318).
In realtà si tenta di sfruttare cinicamente il sentimento di appartenenza nazionale per riproporre l’infame connubio tra fascismo e Italia, con una visione nazionalista e sciovinista della storia e della realtà.
Si vuole affermare e perpetuare il luogo comune di “italiani brava gente”, ignorando che “dall’unità del nostro paese fino alla fine della seconda guerra mondiale, oltre all’aggressione della Jugoslavia, si sono verificati molti episodi nei quali gli italiani si sono rivelati capaci di indicibili crudeltà.”
(dalla quarta di copertina del libro di Angelo Del Boca “Italiani brava gente?”).
Fra gli episodi, sempre citati da Angelo Del Boca, professore dell’Università di Torino considerato il maggior storico del colonialismo italiano, troviamo: 1000 ostaggi fucilati dall’esercito italiano nel territorio di Lubiana (ex-Jugoslavia) tra il 1941 e il 1943, 35.000 persone deportate in Italia nei campi di concentramento, di cui 4.500 morte nel campo dell’isola di Arbe; le deportazioni in Italia di migliaia di libici, lo schiavismo applicato in Somalia lungo i grandi fiumi, l’impiego in Etiopia dell’iprite e di altre armi chimiche proibite che hanno procurato migliaia di morti e devastazioni indicibili, lo sterminio di duemila monaci nella città conventuale di Debrà Libanos (Etiopia), la consegna ai nazisti, da parte dei repubblichini-fascisti, di migliaia di ebrei votati a sicura morte (Italiani, brava gente? di Angelo del Boca- Ed. Neri Pozza pag.318).
E’ vero che nel corso dell’ultimo secolo altri popoli si
sono macchiati di violenze e nefandezze a danno di altri quasi in ogni
parte del mondo. Tuttavia solo gli italiani hanno pervicacemente tentato
(almeno la storiografia ufficiale) di gettare un velo sulle pagine nere
della loro storia, ricorrendo ossessivamente ad uno strumento auto
consolatorio: il mito degli “italiani brava gente”. Dietro questo
buonismo, in realtà, si sono consumati i crimini peggiori e gli eccidi
più barbari…”
Moltissimi capi militari italiani, fra cui i generali Graziani, Badoglio e Roatta, sono stati considerati dalle istanze internazionali criminali di guerra per gli eccidi ordinati e compiuti in Jugoslavia e in Africa orientale (Etiopia, Somalia) e Libia. Ma non hanno mai pagato, perché i governi post-resistenziali non concessero mai l’estradizione, in nome di cinici equilibri internazionali.
La cosiddetta “questione delle foibe”(le foibe - dal
latino ‘fovea’ che significa fossa, incavo, apertura del terreno - sono
delle cavità naturali per lo più a forma di imbuto rovesciato tipiche
del territorio istriano) è stata un po’ il punto di partenza della campagna di denigrazione della Resistenza nel suo insieme.
Mentre a Trieste, ed in genere nelle regioni del Nordest, la destra
nazionalfascista ha sempre tirato fuori le “foibe” come uno dei propri
cavalli di battaglia per propagandare l’anticomunisno e l’odio etnico e
politico contro la Jugoslavia, è solo negli ultimi anni che il fenomeno è
esploso a livello nazionale, coinvolgendo nella non comprensione del
fenomeno anche esponenti della sinistra, arrivando addirittura alle
posizioni estreme della dirigenza di Rifondazione comunista
bertinottiana che, pur non conoscendo assolutamente l’entità dei fatti,
si è arrogata il diritto di condannare senza appello la Resistenza
jugoslava, ed i partigiani italiani che con essa hanno collaborato, per
dei presunti “crimini” dei quali non solo non vi è prova, ma che dalle
risultanze storiche risultano addirittura non avvenuti. Il problema è che di “foibe” si è parlato finora molto, ma a livello di sola propaganda e a sproposito. Per
decenni si è parlato di “migliaia di infoibati sol perché italiani”,
senza che i propagandisti esibissero le prove di questo loro dire. Per
decenni i propagandisti hanno scritto e riscritto sempre le stesse cose,
citandosi l’un l’altro e non producendo alcun documento ad avvalorare
quanto da loro asserito. Si è giunti, nel corso degli ultimi anni, al
fatto che questo “si dice” senza alcun valore storico sia stato
avvalorato anche da storici considerati “seri” e “professionali”, in
quanto facenti parte degli Istituti storici della Resistenza…”Moltissimi capi militari italiani, fra cui i generali Graziani, Badoglio e Roatta, sono stati considerati dalle istanze internazionali criminali di guerra per gli eccidi ordinati e compiuti in Jugoslavia e in Africa orientale (Etiopia, Somalia) e Libia. Ma non hanno mai pagato, perché i governi post-resistenziali non concessero mai l’estradizione, in nome di cinici equilibri internazionali.
E’ utile ricordare, inoltre, la posizione di Giorgio
Bocca: “L’argomento dei campi di concentramento fascisti è pochissimo
conosciuto a livello di opinione pubblica ed è per questa scarsa
conoscenza che personaggi come Silvio Berlusconi possono dire che Benito
Mussolini mandava i suoi oppositori in vacanza. Il gioco dei morti è
francamente inaccettabile quando risponde a un opportunismo politico
come quello attualissimo dei neo fascisti, nipotini di Salò, e allievi
di Giorgio Almirante. Ed è inaccettabile anche l’uso sacrale che si fa
dei morti per dimostrare che le idee per cui morirono gli uni valgono
come quelle per cui morirono gli altri.
Nel caso italiano non si tratta di recuperare la storia
dei vinti e di correggere quella dei vincitori, ma di ricordare che se
si fossero scambiati i ruoli noi non saremmo qui a parlarne, saremmo
finiti in massa in qualche lager o in qualche camera a gas e per il
lungo futuro del Terzo Reich noi e i nostri figli e nipoti saremmo
vissuti, ove non eliminati, in una società barbarica. Altro che vaghe e
passeggere distinzioni fra diverse bandiere, diverse idee, diverse
utopie: la scelta era fra la schiavitù razzista e la libertà civile, fra
la fedeltà cieca alla tirannia e i diritti umani. La pietà verso i
morti è antica come il diritto dei loro parenti e amici a ricordarli, ma
la pubblica celebrazione coinvolge un giudizio sulle loro azioni da
vivi e la celebrazione di quanti, fino all’ultimo, stettero dalla parte
del Reich nazista è celebrazione del nazismo”.
Con la giornata del 10 febbraio si istituzionalizza la
mitologia di una popolazione italiana cacciata dalla sua terra, quando
in realtà i territori dell’Istria e della Dalmazia, che con la Prima
Guerra Mondiale l’Italia aveva occupato militarmente, non erano mai
stati abitati da popolazioni italiane, se non in minima parte. Dagli
anni ’20 il fascismo pianificò e scatenò una violenta campagna volta ad
imporre forzatamente l’ “italianità” alla popolazione jugoslava. Quando
si parla degli esuli italiani dell’Istria e della Dalmazia non si deve
dimenticare che gran parte di questi erano stati impiantati in quei
territori artificiosamente dal fascismo e spesso del regime erano stati
collaboratori attivi. I fascisti da sempre hanno cercato di far passare
la tesi dello scontro tra italiani e jugoslavi; in realtà nella Venezia
Giulia vi è stata una resistenza forte e radicata in cui alcune
formazioni partigiane jugoslave e italiane operavano congiuntamente
contro i nazifascisti (italiani, tedeschi e jugoslavi). La celebrazione
menzognera delle foibe cui stiamo assistendo si inquadra in una più
ampia campagna di denigrazione della resistenza: la classe dominante
(oggi rappresentata dal governo Renzi – Alfano ) promuove il
revisionismo storico nelle scuole, nelle università, mette in piedi
enormi operazioni di intossicazione e manipolazione dell’opinione e
delle coscienze. Ne consegue che il principale nemico, in questa lotta,
sono: l’intellettuale asservito alla manipolazione della storia, il
consigliere comunale che asseconda lo sporco teatrino partecipando a
questa o quella commemorazione e l’attuale governo che, in linea con i
suo predecessori, promuove la celebrazione della giornata della falsità.
All’operazione portata avanti dalla classe dominante, si unisce
l’azione di gruppuscoli neofascisti.
Oggi si tratta di contribuire al contrasto del
revisionismo storico, superando un’impostazione puramente difensiva
della ‘questione foibe’ e dare una risposta culturale e politica
determinata e documentata contro le menzogne e le falsità di forze
reazionarie e revisioniste dell’area così detta “democratica”.
Si tratta, cioè, di:
– dare una prospettiva di lettura critica basata sui fatti della storia e della realtà, con particolare riferimento alle avventure coloniali e imperiali dell’Italia prefascista e fascista;
– valorizzare il ruolo fondamentale avuto dalla Resistenza per le conquiste politiche, sociali e civili successive alla 2^ guerra mondiale;
– valorizzare gli ideali della lotta antifascista nell’attuale contesto storico;
– raccogliere e socializzare la preziosa eredità della lotta al fascismo per la costruzione di un altro mondo possibile e necessario, basato sulla pace, la libertà, la democrazia compiuta e non delegata, l’emancipazione sociale e la dignità umana.
– valorizzare l’importanza dell’antifascismo attuale anche esprimendo solidarietà a chi è colpito dalla repressione statale.
– dare una prospettiva di lettura critica basata sui fatti della storia e della realtà, con particolare riferimento alle avventure coloniali e imperiali dell’Italia prefascista e fascista;
– valorizzare il ruolo fondamentale avuto dalla Resistenza per le conquiste politiche, sociali e civili successive alla 2^ guerra mondiale;
– valorizzare gli ideali della lotta antifascista nell’attuale contesto storico;
– raccogliere e socializzare la preziosa eredità della lotta al fascismo per la costruzione di un altro mondo possibile e necessario, basato sulla pace, la libertà, la democrazia compiuta e non delegata, l’emancipazione sociale e la dignità umana.
– valorizzare l’importanza dell’antifascismo attuale anche esprimendo solidarietà a chi è colpito dalla repressione statale.
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