L’Italia ha speso per le opere pubbliche come e più degli altri Paesi europei (Francia e Germania) nel periodo 2000-2010 (Banca d’Italia) ma non se ne vedono grandi risultati.
L’affidamento dei lavori pubblici in Italia richiederebbe un’analisi dei suoi meccanismi che spieghi gli errori fin qui fatti, anche a causa di modelli di programmazione che sembravano più liste della spesa che progetti di sviluppo delle reti e dei punti di rete, come porti, aeroporti e centri intermodali. Con i vecchi meccanismi, che hanno rallentato la spesa e spolpato le casse pubbliche, viene difficile pensare che ci sarà una crescita sana. Raffaele Cantone presidente dell’Anac aveva sottolineato: “In Italia c’è un problema di infrastrutturazione e una delle ragioni per cui le infrastrutture non riescono ad andare avanti è proprio nella presenza della corruzione soprattutto al Meridione. Sono soprattutto i fatti corruttivi a rendere lunghissimo e complicato l’avvio dei lavori pubblici”.
Quando gli imprenditori chiedono il rilancio degli investimenti, purtroppo, pensano ancora a quelle vecchie logiche dove ce n’è per tutti e dove la lievitazione dei costi diventa la prassi prevalente. In pratica lo sblocco delle opere, chiesto a viva voce anche da Lega e Pd, era già presente prima della formazione di questo Governo. Con un problema in più: gli investimenti oggi non devono creare solo spesa ma anche ricchezza, che deriva dallo sfruttamento efficace di quanto si costruisce. Con una crescita prevista inferiore alla spesa, qualcuno dovrebbe suggerire ai 5 stelle – a torto ritenuti i colpevoli del blocco – quale tipo di spesa aumenta la ricchezza e quali sono i moltiplicatori di sviluppo, magari con qualche attenzione alla sostenibilità.
Un esempio su tutti da portare sui libri di scuola: il più grande investimento aeronautico del secolo scorso, Malpensa 2000. Costato 1,5 miliardi di euro, lo scalo della brughiera è dotato di due piste e due terminal, ma 20 anni dalla sua apertura trasporta solo 24,7 milioni di passeggeri, meno della metà della sua capacità operativa. Stansted, con una sola pista e un solo terminal, muove 24 milioni di passeggeri. Le previsioni dell’Università di Cranfield erano di 33 milioni di passeggeri al 2003 (in realtà sono stati 17,6 nello stesso anno) mentre già nel 2005 si dovevano trasportare 1 milione di tonnellate merci (12 anni dopo, nel 2017, erano fermi alla metà). I posti di lavoro avrebbero dovuto raggiungere i 140mila addetti nel 2005, ma ora si toccano a malapena 60mila unità e la qualità dell’occupazione è sempre più scadente, per salario e normative precarie. Per non parlare di cosa costa continuare una politica di investimenti a pioggia su 34 scali nazionali. Risultato: maggior numero di aeroporti con il traffico medio per scalo più basso del vecchio continente.
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