martedì 29 gennaio 2019

Il Venezuela e i sinistri “critici-critici”



collettivo militant
L’autoproclamazione di Guaidò rappresenta a tutti gli effetti un tentativo di colpo di Stato, ed è davvero difficile, se non impossibile, provare a descrivere diversamente quello che sta avvenendo in questi giorni in Venezuela. Un tentativo che fortunatamente, almeno per ora, non ha avuto gli sviluppi che auspicavano a Washington, ma che però è ben al di la dall’essere stato scongiurato, come dimostra l’esproprio dei conti bancari della PDVSA negli Stati Uniti. Miliardi di dollari pubblici sottratti allo stato venezuelano e messi arbitrariamente a disposizione di un golpista, il tutto in barba ad ogni legge del diritto internazionale.

Ora immaginate solo per un momento cosa sarebbe accaduto se Bernie Sanders si fosse dichiarato unilateralmente Presidente degli Stati Uniti invitando l’esercito alla diserzione, magari contestando l’irregolarità delle presidenziali del 2016 adducendo come prova l’interferenza dei russi nel processo elettorale. Con ogni probabilità il “mondo civilizzato” che oggi plaude al “giovane ribelle” di Caracas lo avrebbe preso per matto, oppure ignorato. Probabilmente sarebbe stato anche arrestato e processato nel giro di qualche ora, visto che l’ordinamento giuridico nordamericano prevede il reato di cospirazione.
Oppure pensate a cosa sarebbe accaduto se Jeremy Corbyn, dallo speaker corner di Hyde Park, avesse annunciato urbi et orbi di aver spodestato Theresa May, garantendogli però, magnanimamente, l’amnistia. Anche in questo caso la risposta sarebbe stato un pulmino con le lucine blu lampeggianti e una di quelle camice bianche con le maniche lunghe lunghe che arrivano fin dietro la schiena, oltre che a una bella dose di tranquillanti.
E invece dopo nemmeno qualche ora dalla sua autoinvestitura Guaidò, un illustre sconosciuto a cui mancava solo di dichiararsi la reincarnazione di Napoleone, è stato immediatamente riconosciuto come legittimo presidente dagli Stati Uniti e dai suoi satelliti latinoamericani. D’altronde, verrebbe da chiedersi, se l’imperatore Caligola fece senatore un cavallo, perché mai Trump, che evidentemente si crede anche lui imperatore, non dovrebbe far presidente un asino?
Ieri, dopo i passi falsi all’Oea e all’Onu,  è stata la volta del riconoscimento di Guaidò da parte di Australia e Israele e, tempo qualche giorno, siamo sicuri che arriverà anche la consacrazione formale dell’Unione Europea. La farsa di un mitomane con la feluca immaginaria in testa rischia così di volgere rapidamente in tragedia, come abbiamo già visto in Jugoslavia, Iraq, Libia e Siria, solo per parlare degli “interventi umanitari” di questi ultimi anni.
Ora, di fronte a questo che, come abbiamo detto, è un vero e proprio golpe con mandanti internazionali, ognuno sul pianeta ha svolto diligentemente la sua parte in commedia. Nessuno si è sottratto al suo ruolo.
Televisioni e giornali di tutto il mondo hanno cominciato a costruire il frame orwelliano dentro cui inquadrare un possibile intervento militare: il golpista è così diventato il “giovane ribelle”; il presidente legittimo (democraticamente eletto con il 67,84% dei consensi solo 9 mesi fa) si è trasformato in un “dittatore”, un “despota feroce”; la rivoluzione bolivariana sarebbe in realtà un “regime liberticida” (nonostante dal 1998 ad oggi si sia votato per ben 25 volte); quelli che da noi verrebbero stigmatizzati come dei violenti black bloc sfasciavetrine sono stati invece promossi al ruolo di “combattenti per la libertà”peccato che invece delle vetrine delle multinazionali questi diano alle fiamme biblioteche pubbliche e ambulatori medici; il linciaggio dei chavisti di pelle scura si è tramutato in “azioni di protesta”, e così via traducendo nella neolingua dell’imperialismo.
Anche l’apparto politico di quello che noi veteroleninisti ci ostiniamo a chiamare il centro imperialista non è stato da meno. Centrodestri e centrosinistri, conservatori e liberali, sovranisti e globalisti… tutti hanno messo da parte le differenze ed hanno serrato i ranghi. Dimostrando che quando si tratta di combattere contro chi prova a costruire una società diversa da quella dominata dal mercato non ci sono differenze politiche che tengano.
Fin qui, però, tutto rientra nella “normalità” della funzione che ognuno svolge, più o meno consapevolmente, all’interno della lotta tra le classi. Peccheremmo di ingenuità stupendocene. Meno “normali” e scontate sono state, però, alcune prese di posizione che ci è capitato di leggere in questi giorni da parte di (cosiddetti) compagni che potremmo definire “critici-critici” e che, a golpe ancora in corso, non hanno resistito alla tentazione di salire in cattedra (d’altronde molti di loro sulle cattedre ci lavorano) a dispensare lezioni e reprimende a quei buzzurri dei chavisti.
Due esempi su tutti, anche se la lista si potrebbe allungare di molto.
In un articoletto pubblicato da R/project col significativo titolo “Con il distacco necessario” (leggi), il professor Joseph Halevi, dopo aver inquadrato come un rigurgito campista le manifestazioni di solidarietà con il Venezuela che si sono tenute in questi giorni, e dopo aver premesso lui stesso “non sono uno specialista dell’America Latina”, ci rende prima partecipi dei suoi ricordi di un convegno in Uruguay da cui trasse la conclusione inequivocabile che “i chavisti erano fuori da ogni discorso razionale”. Poi ci rende edotti sul fatto che gli organismi attivi di “potere popolare” altro non erano/sono che le gang delle guapperie di Caracas riorganizzate dal governo ed inquadrate da esso. Prima di Chavez facevano criminalità di strada. Ora hanno poteri di intervento politico polizieschi col governo che ha dato loro delle moto ecc.”. Infine ci assicura che “ Maduro non ha la fiducia della maggioranza della popolazione. Ne sono assai certo.”
In buona sostanza, stando a quello che scrive il professor Halevi, l’esperienza bolivariana si ridurrebbe quindi a un gruppo di fanatici che, grazie a dei criminali comuni plebei, governano senza il consenso dei venezuelani. Amen.
Ad andarci giù ancora più pesante, se possibile, è però il professor Antonio Moscato che, in un articolo pubblicato per il sito Popoff (leggi), ci spiega come in realtà il vero golpista non sia Guaidò, ma… colpo di scena… Nicolas Maduro. Ebbene si, avete letto bene, e questo perché nel 2016 in seguito ad alcune evidenti irregolarità “il Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ) nominato dalla precedente assemblea a fortissima maggioranza chavista, annullò l’elezione di tre deputati nello spopolato Stato di Amazonas, dichiarando poi decaduta l’intera Assemblea, che avrebbe dovuto essere sostituita da una commissione del TSJ. Era un vero e proprio golpe.” Come se non bastasse il benemerito accademico ultrasinistro, che in realtà ci ricordavamo qualche anno fa intento a spalare merda su Cuba, sposa in pieno la tesi dell’estrema destra venezuelana sulle presunte irregolarità delle recenti elezioni presidenziali arrivando quindi alla conclusione che “pur considerando una sciagura la crescita dell’opposizione di destra e socialdemocratica appoggiata da USA e UE, e che a giudizio di diversi compagni presenti il 23 gennaio è riuscita per la prima volta a coinvolgere alcuni dei barrios tradizionalmente chavisti, non me la sento di considerare LEGITTIMA la rielezione di Maduro, avvenuta a carte truccate.”
Lasciamo a chi legge giudicare quale sia la distanza tra le tesi sostenute da Moscato e quelle portate aventi dall’amministrazione statunitense per giustificare un eventuale intervento militare. Appare grottesco, però, che a muovere critiche così ingenerose siano solitamente personaggi e micro partiti che non hanno mai, nemmeno da lontano, tentato di trasformare in realtà la propria idea di società, e che oggi non riescono a raccogliere consensi nemmeno nel condominio in cui abitano. Ci tornano in mente i versi di De Andrè, mai così puntuali: così una vecchia mai stata moglie, senza mai figli, senza più voglie, si prese la briga e di certo il gusto di dare a tutte il consiglio giusto.
Crediamo che ogni processo reale non possa essere esente da errori, passi falsi, fallimenti e contraddizioni. D’altronde chi apre nuovi sentieri non ha né mappe né manuali a cui rifarsi. E la storia che si fa concretamente nelle strade e nelle fabbriche è fatta di sangue, sudore e merda ed è ben diversa da quella che si immagina nell’ambiente sterile di qualche aula universitaria. Questo non significa che le esperienze non debbano essere sottoposte a critiche anche serrate, anzi. E questo principio vale anche e soprattutto per la rivoluzione bolivariana, in cui la generosità dei compagni si scontra quotidianamente con lo iato materiale che c’è tra “stare al governo” e “stare al potere”. Ma c’è un tempo per la critica e uno per la solidarietà incondizionata con chi viene aggredito, e questo non è certo il momento di mettersi a discettare sugli  errori presunti o reali del chavismo. Non è campismo, è internazionalismo. E chi non lo capisce può andare a far in culo!

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