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Ci sono foibe dove, ancora oggi, sparisce la verità: inghiottita
dalla propaganda. Se il comunismo è morto, perché l’anticomunismo
scoppia di salute? Forse per seppellire (nelle nuove foibe mediatiche)
la memoria dell’antifascismo storico, inteso come impegno a lottare
contro un sistema ingiusto e dispotico. Traduzione: il potere
ha sempre ragione, e chi lo contesta è un delinquente. E’ la tesi di
Angelo d’Orsi, impegnato con altri studiosi in un convegno a Torino. Gli
storici hanno protestato formalmente con Mattarella per la
dichiarazione rilasciata in occasione del 10 febbraio, “Giorno del
Ricordo” dedicato alle vittime delle feroci rappresaglie, contro gli
italiani, attuate alla fine della Seconda Guerra Mondiale dai partigiani
di Tito nella Jugoslavia che prima era stata sottoposta alla feroce
occupazione dell’esercito fascista (di cui nessuno parla). «Quella delle
“foibe” è una vera e propria operazione politico-culturale, che ha
contribuito a creare o consolidare un senso comune anticomunista, e
anti-antifascista, volto a favorire una memoria contraffatta», afferma
d’Orsi insieme ai colleghi Andrea Martocchia, Alessandra Kersevan,
Claudia Cernigoi, Sandi Volk e Davide Conti. «La menzogna viene
propalata, ripetuta, ribadita, fino a che diventa senso comune».
«I telegiornali, i talk show, i “programmi di approfondimento”, i
docufilm, le pseudomemorie di pseudoreduci o pseudoesiliati, stanno
realizzando una sorta di cortina fumogena, dietro la quale si erge come
un totem (e insieme un tabù), “la foiba”: una sorta di gigantesco monumento alla menzogna», scrive d’Orsi su “Micromega”. Il bilancio storico degli eccidi è tuttora incerto: secondo Wikipedia
oscilla tra le 5.000 e le 11.000 vittime. Dal ‘43 al ‘45, negli
inghiottitoi carsici finirono fascisti e italiani comuni, anche non
aderenti al regime. Sempre Wikipedia
riassume sotto la voce “crimini di guerra italiani” l’occupazione
fascista di Slovenia e Croazia, Dalmazia e Montenegro. Villaggi
bombardati, popolazione civile trucidata, partigiani torturati. Fra il
1941 e il 1943, secondo “Storia XXI Secolo”,
le truppe italiane fecero oltre 13.000 vittime jugoslave: 4.000 persone
fucilate (di cui 1.500 ostaggi civili), 187 individui morti sotto
tortura e ben 7.000 persone decedute nei campi di concentramento (anche
donne e bambini). Pagina particolarmente infame, quella dei lager
italiani in Jugoslavia. Esiste dunque una drammatica “proporzione” fra
le atrocità commesse dall’occupante italiano e la successiva, spietata
rappreseglia jugoslavia (esecuzioni sommarie e seppellimento, nelle
foibe, di esseri umani spesso ancora vivi). Ma non ve n’è traccia nella
propaganda attuale: gli jugoslavi erano semplicemente “cattivi”, in
quanto “comunisti”. Combattevano a casa loro, per difendersi? Meglio non
ricordarlo, nel Giorno del Ricordo.
«Si è parlato di pulizia etnica nei confronti degli italiani quando
le documentazioni riguardanti gli scomparsi indicano chiaramente che la
gran parte furono colpiti sulla base della loro adesione al fascismo»,
protesta la storica Alessandra Keservan, maltrattata da Bruno Vespa
durante la trasmissione “Porta a Porta”. Per la Kersevan si dovrebbe
«studiare e conservare la memoria di tutte queste vicende ma nella parte
più lunga e soprattutto precedente, quella che ha visto le gravi
violenze italiane e fasciste contro sloveni e croati e contro gli
italiani antifascisti». Dati che a giudizio della Kersevan non vengono
neppure accennati in occasione delle commemorazioni, «disattendendo, in
questo modo, anche le finalità della legge che ha istituito il Giorno
del Ricordo», scrive il quotidiano on-line “Next”.
«Si tratta di una disattenzione dovuta non ad ignoranza», secondo la
storica, che parla di «censure» e denuncia un «uso propagandistico fatto
delle foibe come evento unico paragonabile alla Shoah». Un “frame”
comunicativo, quello sulle foibe, dove si è prodotta una colossale mole
di falsificazioni. Lo dimostra uno sconcertante dossier presentato da “Wu Ming Foundation”: moltissime foto d’epoca, esibite al pubblico per suscitare
orrore, non riguardano affatto le vittime delle foibe. Spesso, al
contrario, sono vittime – anche civili – della brutale violenza
italiana.
La foto più famosa? E’ quella di una fucilazione. Immagine riciclata
mille volte, per le commemorazioni ufficiali del Giorno del Ricordo e
persino in televisione, da Vespa. Mostra un plotone di esecuzione,
inquadrato di spalle, che prende di mira cinque civili, anch’essi di
spalle. Feroci partigiani titini contro poveri italiani? Macché:
italiani sono i soldati, i killer, mentre le vittime sono ostaggi
sloveni rastrellati nel villaggio di Dane, nella Loška Dolina, a sud-est
di Lubiana. Foto scattata il 31 luglio 1942, e si conoscono pure i nomi
dei fucilati. Altro orrore: civili sorvegliati da armati scavano la
fossa che ospiterà i loro corpi, dopo la fucilazione. Persino il Tg3 la
presenta a corredo del caso-foibe. Ma, di nuovo, si tratta di ostaggi
jugoslavi che si stanno scavando la fossa, sotto lo sguardo dei loro
giustizieri italiani. “Wu Ming” mostra un corredo fotografico –
impropriamente usato – veramente imbarazzante: cumuli di corpi
(jugoslavi fucilati da italiani) vengono presentati come “italiani
vittime della violenza titina”. C’è un soldato che si accanisce sui
prigionieri, prendendoli a calci: stanno andando alla fucilazione, ma in
Montenegro (il soldato è italiano, e i civili sono jugoslavi). Seguono
primi piani, crudeli, dei cadaveri fucilati: sono stati presentati come
“vittime delle foibe” a Cernobbio.
Ad Arezzo, viene spacciata per “strage titina” quella documentata da
una foto, scattata in Slovenia, che mostra una fucilazione collettiva:
carneficina perpetrata dalle truppe di occupazione italiane. Nel 2015,
addirittura, lo stesso Vespa – parlando di foibe – ha trasmesso
l’immagine, terribile, di un’impiccagione di massa (ma le vittime sono
partigiani, giustiziati in Friuli dai nazifascisti). E ancora: il
“Piccolo” di Trieste – in tema di foibe – ha pubblicato una foto che
documenta la strage di Srebrenica del 1995. Errori e orrori,
all’infinito: la copertina di un libro (“Una grande tragedia
dimenticata, la vera storia
delle foibe”, di Giuseppina Mellace, Newton Compton) mostra un’atroce
esecuzione: tre carnefici sgozzano la vittima. Ma niente foibe, nemmeno
qui: i carnefici sono miliziani cetnici, che uccidono un
collaborazionista serbo. Nell’iconografia delle “vittime italiane di
Tito” c’è anche la foto, spaventosa, di un uomo ridotto a uno scheletro.
In realtà si tratta di un deportato croato nel campo
di concentramento italiano dell’isola di Arbe. L’immagine è addirittura
sulla copertina del libro di Alessandra Kersevan “Lager italiani,
pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi
1941-1943”, edito da Nutrimenti.
«Se il comunismo è finito, perché l’anticomunismo prospera?», si
domanda Angelo d’Orsi su “Micromega”. «A Kiev come a Roma, a Budapest
come a Varsavia, a Washington come a Berlino, in Brasile come in Cile,
governanti, magistrati, politici, giornalisti e professori emanano
leggi, accendono polemiche, aprono processi, creano norme amministrative
o si spingono a riscrivere la storia
in un senso diligentemente revisionistico, e rovescistico». Obiettivo:
mandare alla sbarra «il comunismo, i suoi teorici, i suoi esponenti
storici, i suoi dirigenti e militanti», ignorando deliberatamente
«l’ansia di liberazione di centinaia di milioni di esseri umani,
schiacciati dai grandi potentati economici e vilipesi da una ingiustizia
mostruosa», cioè le motivazioni – drammaticamente concrete – che
alimentarono la speranza di riscatto sociale agitata dal comunismo nel
‘900. «Quell’ansia di liberazione dei subalterni è stata moltiplicata
dagli svolgimenti del turbocapitalismo nel senso della disuguaglianza,
dell’oppressione, dell’ingiustizia. Delle nuove povertà per le classi
medie, delle accresciute povertà per i poveri, delle accresciute
ricchezze per i ricchi». A questo serve la memoria dolorosa delle foibe
degradata a propaganda: ad assolvere i potenti di oggi.
«Berlusconi, Salvini, Meloni e loro adepti, non esitano a richiamare
lo spauracchio comunista, convinti che quel richiamo porterà voti»,
scrive d’Orsi. Lo stesso Vespa, «tradendo ogni deontologia
professionale», in una puntata di “Porta a Porta” dedicata alle foibe
«scatena il proprio demone anticomunista, contro ogni verità accertata».
Mattarella? Cita solo di striscio l’ombra – nerissima e insanguinata –
della feroce occupazione della Jugoslavia da parte dell’Italia. Vespa e
Mattarella, secondo d’Orsi, «in fondo colpiscono nel “comunismo titino”
qualsiasi idealità comunista, ossia ogni esigenza di giustizia». E che
per farlo «offendano la verità storica», poco importa. «Poco importa che
centri di ricerca accreditati abbiano prodotto monografie, saggi,
articoli, in grado di smontare le balle spaziali sulle foibe. Poco
importa che gli italiani occupanti abbiano seminato morte e distruzione
nella Jugoslavia». Inutile ricordare che l’esercito partigiano di Tito
contribuì in modo determinante alla liberazione dell’Europa.
«Se si prova a opporre ragionamenti argomentati alle più truci
invettive, dati reali e certificati ai dati inventati, vicende storiche
accertate alla propaganda becera – conclude d’Orsi – allora si viene
sommersi dall’ingiuria e additati, una volta di più, con la stentorea
accusa: “Comunista!”. Parola che vorrebbe essere il culmine
dell’infamia, ma forse, a maggior ragione se si guarda a chi la
proferisce, diventa un titolo di merito».
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sabato 26 gennaio 2019
Le foibe che ingoiano la verità: l’Italia sterminò gli jugoslavi
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