Come si manipola la storia attraverso le immagini: il #GiornodelRicordo e i falsi fotografici sulle #foibe
di Piero Purini
con la collaborazione del gruppo di lavoro «Nicoletta Bourbaki» (*)
1. UN GIORNO A DANE, SLOVENIA, 31 LUGLIO 1942
Guardate questa foto:
Un plotone d’esecuzione in divisa, cinque fucilati di schiena che attendono la scarica.
Ce ne sono molte altre simili nei manifesti che pubblicizzano iniziative per il Giorno del ricordo.
A questo punto vi sarete convinti: i fucilati, chiaramente, sono italiani che vengono uccisi dalle truppe jugoslave.
La foto viene messa in onda nella trasmissione Porta a porta condotta da Bruno Vespa per la giornata del ricordo del 2012. Ospiti in studio, tra gli altri, gli storici Raoul Pupo e Alessandra Kersevan.
In quella trasmissione però
emerge, con enorme disappunto di Bruno Vespa, che la foto non mostra la
fucilazione di vittime italiane da parte dei feroci partigiani titini.
Tutt’altro. Alessandra Kersevan fa notare che la foto ritrae la
fucilazione di cinque ostaggi sloveni da parte delle truppe italiane
durante l’occupazione italiana della Slovenia (1941-1943). Bruno Vespa
attacca furiosamente la signora Kersevan (non si sa perché altri ospiti
vengono definiti professore o professoressa, titolo che spetterebbe di
diritto anche a questa ricercatrice storica); Raoul Pupo interviene
sulla questione solo quando viene interpellato direttamente dalla
Kersevan e conferma che il contenuto dell’immagine è completamente
opposto a quanto viene fatto passare nella trasmissione. Quando è
costretto a prendere atto che la foto ritrae effettivamente ostaggi
sloveni fucilati da un plotone d’esecuzione italiano, il conduttore si
giustifica dicendo che l’immagine è tratta da un libro sloveno.
Bruno Vespa non porgerà mai le proprie scuse alla professoressa Kersevan per il madornale errore.
In effetti la fotografia
è stata scattata nel villaggio di Dane, nella Loška Dolina, a sudest di
Lubiana. Si sa anche il giorno in cui la foto fu scattata, il 31 luglio
1942, e addirittura i nomi dei fucilati:
Franc Žnidaršič,
Janez Kranjc,
Franc Škerbec,
Feliks Žnidaršič,
Edvard Škerbec.
Come nella Wehrmacht e nelle SS,
anche nell’esercito italiano si documentavano stragi e crimini, salvo
tenerli nascosti negli anni successivi per confermare il (finto) cliché
del «bono soldato italiano».Franc Žnidaršič,
Janez Kranjc,
Franc Škerbec,
Feliks Žnidaršič,
Edvard Škerbec.
Il rullino di cui la
fotografia faceva parte viene abbandonato dalle truppe italiane dopo l’8
settembre 1943 e finisce nelle mani dei partigiani. Nel maggio del 1946
la foto (insieme ad altro materiale che testimonia la Lotta di
liberazione jugoslava ed i crimini di guerra italiani e tedeschi in
Slovenia) viene pubblicata a Lubiana nel libro Mučeniška pot k svobodi («La travagliata strada verso la libertà»).
Nello stesso anno, sempre a Lubiana, viene pubblicato – stavolta in italiano – un altro libro sullo stesso tema, Ventinove mesi di occupazione italiana nella provincia di Lubiana: considerazioni e documenti, a cura di Giuseppe Piemontese.
Nello stesso anno, sempre a Lubiana, viene pubblicato – stavolta in italiano – un altro libro sullo stesso tema, Ventinove mesi di occupazione italiana nella provincia di Lubiana: considerazioni e documenti, a cura di Giuseppe Piemontese.
Da quest’ultimo libro è tratta questa pagina, che riporta la foto con la didascalia: «…e un ufficiale si diletta a fotografare…»
…che è la continuazione
del commento ad un foto pubblicata accanto: «Prima di venir fucilati
devono scavarsi la fossa». Non è la stessa fucilazione ma sono gli
stessi fucilatori, è un’esecuzione di ostaggi nella vicina Zavrh pri
Cerknici, avvenuta quattro giorni prima.
Eppure non basta: si continuano a presentare i cinque ostaggi sloveni della foto come italiani vittime degli slavocomunisti.
In alcuni casi l’uso
della foto nei manifesti della Giornata del ricordo scatena reazioni
internazionali: a protestare contro il clamoroso errore (ammesso e non
concesso che non si tratti di una bufala voluta) è addirittura il
Ministero degli esteri sloveno che segnala al Comune di Bastia Umbra
l’uso improprio della fonte. Altre volte lettere giungono da storici
indipendenti come Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi e Sandi Volk.
Le reazioni sono spesso di scuse (con la conseguente rimozione del
materiale iconografico da siti on line), ma in alcuni casi – quali
quella dell’assessore alla cultura di Bastia Umbra Rosella Aristei – si
procede ad un’improbabile giustificazione dell’uso della foto come
denuncia simbolica della violenza, esecrabile in tutte le sue varie
forme.
La vicenda della foto di
Dane ha il suo apice in una lettera di protesta spedita direttamente al
presidente Napolitano da parte di Miro Mlinar,
Presidente dell’Associazione dei combattenti per i valori della lotta
di liberazione nazionale di Cerknica (Slovenia), offeso dal fatto che
l’immagine fosse stata addirittura pubblicata impropriamente sul sito
del Ministero degli interni italiano. Purtroppo non abbiamo lo
screenshot del sito del Ministero, tuttavia la lettera di Mlinar è reperibile qui.
Il Presidente dell’Associazione dei combattenti slovena sostiene che è stata proprio la pubblicazione sul sito ufficiale italiano a giustificare in seguito l’uso scorretto della foto, facendola diventare uno strumento improprio per aizzare l’odio verso il popolo sloveno. Per questo suggerisce a Napolitano di spostare la data del Giorno del ricordo al 10 giugno, «data del vero inizio delle tragedie del popolo italiano.» A quanto mi risulta il primo presidente proveniente dal partito italiano che più aveva contribuito alla Resistenza non si è nemmeno degnato di rispondere a Mlinar.
Il Presidente dell’Associazione dei combattenti slovena sostiene che è stata proprio la pubblicazione sul sito ufficiale italiano a giustificare in seguito l’uso scorretto della foto, facendola diventare uno strumento improprio per aizzare l’odio verso il popolo sloveno. Per questo suggerisce a Napolitano di spostare la data del Giorno del ricordo al 10 giugno, «data del vero inizio delle tragedie del popolo italiano.» A quanto mi risulta il primo presidente proveniente dal partito italiano che più aveva contribuito alla Resistenza non si è nemmeno degnato di rispondere a Mlinar.
Per la vicenda delle false attribuzioni della foto di Dane rimando a questo dossier e ringrazio Ivan Serra e lo staff del sito diecifebbraio.info per la minuziosa ricostruzione della bufala e delle sue implicazioni internazionali.
In qualche modo,
tuttavia, la vicenda dell’abuso della foto di Dane arriva fino ai media
nazionali. Finalmente, pochi giorni fa, se ne occupa un articolo
sull’Espresso, grazie ad un post pubblicato proprio qui su Giap:
Si spera che con questo passaggio su un periodico a diffusione nazionale finalmente Franc Žnidaršič, Janez Kranjc, Franc Škerbec, Feliks Žnidaršič ed Edvard Škerbec possano avere la giustizia e la collocazione storica che si meritano.
⁂
2. FUCILATI MONTENEGRINI SPACCIATI PER «VITTIME DELLE FOIBE»
Le bufale legate alla giornata del ricordo non si limitano alla fucilazione degli ostaggi di Dane. Ecco qui un altro esempio:
ed ancora un altro:
Nell’intento di chi ha
utilizzato queste foto, la prima rappresenterebbe un gruppo di italiani
uccisi dai titini e la seconda un partigiano che prende a calci un
povero prigioniero italiano.
Anche in questo caso
invece la realtà è un’altra (già le divise dei due militari della
seconda immagine non lasciano dubbi che si tratti di un soldato e di un
ufficiale italiano): entrambe le foto fanno parte dello stesso rullino e
documentano la fucilazione di ostaggi e partigiani in Montenegro,
occupato dall’esercito italiano dall’aprile del 1941 all’8 settembre
1943. Ne esiste la sequenza completa (sul sito criminidiguerra.it ), qui le tratteremo una per una perché ogni fotogramma contiene particolari che smentiscono si tratti di italiani.
I prigionieri
montenegrini sono presi a calci da un soldato italiano riconoscibile
dalla divisa mentre vengono portati sul luogo della fucilazione:
Poi i prigionieri sono
schierati davanti al plotone d’esecuzione. Che non si tratti di italiani
è intuibile dal copricapo del terzo e del quinto condannato da sinistra
che indossano la tipica berretta montenegrina. Quattro ostaggi alzano
il pugno chiuso, evidente testimonianza che – almeno quei quattro – sono
partigiani comunisti. L’uomo al centro della foto, accanto a quello che
mostra il pugno, indossa il berretto partigiano, la cosiddetta
“titovka”.
Parte la scarica (italiana)…
Gli ostaggi sono morti.
E’ la stessa foto che illustra la notizia del Giorno del ricordo a
Cernobbio, ma ora sappiamo che sono vittime montenegrine degli italiani e
non italiani vittime degli jugoslavi.
L’ultima foto del rullino:
⁂
3. NUMERO D’INVENTARIO 8318
Altra foto che non rappresenta vittime delle foibe, ma che viene fatta passare come tale:
Fin da subito di questa
foto non mi hanno convinto diversi particolari: il paesaggio non è per
nulla istriano o carsico, le divise non sembrano assolutamente divise
“titine” o anche di partigiani non inquadrati in formazioni regolari, i
cadaveri sono troppi e troppo “freschi” per essere stati estratti da una
foiba. Nel caso in cui non si trattasse di vittime estratte da una
foiba ma di un’esecuzione sommaria da parte degli jugoslavi, colpisce
invece il fatto che i morti sembrano essere tutti maschi e che non ci
sia tra loro nemmeno una persona in divisa (dal momento che, nella
vulgata fascista e neofascista sulle foibe, nel 1943 sarebbero stati
eliminati tutti coloro che potevano essere considerati funzionari dello
Stato italiano, compresi dunque militari e pure donne).
Dopo innumerevoli
supposizioni (Katyn? Stragi di ebrei nel Baltico?), grazie alla solerzia
di un giapster, Tuco, troviamo l’originale. Si trova nell’archivio dell’Armata Popolare Jugoslava a Belgrado. Eccola:
Che si tratti di una
stampa dal negativo è chiaro dalla pulizia e dalla definizione
dell’immagine: in nessuno dei siti italiani che riportano la foto,
questa è così nitida e i dettagli così visibili. Ma ciò che è più
interessante è quel che c’è scritto dietro. Il sito, infatti, riporta
anche il retro della foto, dove ogni archivio fotografico segnala le
note e la descrizione relativa all’immagine.
La traduzione è la
seguente: «Numero d’inventario 8318. Crimine degli italiani in Slovenia.
Negativo siglato A-789/8. Originale: Museo dell’JNA a Belgrado»
Dunque non si tratta,
nemmeno in questo caso, di vittime delle foibe, ma piuttosto del
contrario: vittime slovene uccise dall’esercito italiano.
Ciò che è impressionante
è la velocità con cui su internet un’immagine diventa virale (e dunque
“vera”): cercando nel web il 10 febbraio alle otto di sera,
quest’immagine – secondo le mie modeste conoscenze informatiche –
appariva sette volte, tutte e sette associata al descrittore “foibe”.
Due giorni dopo (giovedì 12 verso le 23.00) la foto era reperibile su
ben 103 siti, a dimostrazione dell’incredibile potenza moltiplicativa di
Internet, pur trattandosi di una bufala.
⁂
4. SI PARLA DEL «DRAMMA DEGLI INFOIBATI» E SI MOSTRA UN UFFICIALE DELLE SS MA FORSE LA STORIA E’ ANCORA PIU’ ASSURDA
Su internet si trova anche la seguente immagine:
⁂
5. BRUNO VESPA CI RICASCA: I PARTIGIANI IMPICCATI A PREMARIACCO
Torniamo ora a Bruno
Vespa. Oltre a non essersi mai scusato ufficialmente con Alessandra
Kersevan per l’errore (?) dei fucilati di Dane, nella trasmissione
dedicata alla Giornata del ricordo di quest’anno (2015), mentre sta
parlando di «esecuzioni sommarie a Trieste», manda in onda questa foto:
Chiaramente lo
spettatore ignaro viene indotto a pensare che si tratti di italiani
impiccati dai partigiani titini. Invece non è così: come nel caso di
Dane, Vespa mostra in un contesto un’immagine che è esattamente
l’opposto. Si tratta infatti di partigiani friulani (più uno goriziano
ed uno sloveno) impiccati a Premariacco in Friuli il 29 maggio del 1944.
Anche i nomi delle vittime di questa strage sono conosciuti:
Sergio Buligan, 18 anni;
Luigi Cecutto, 19 anni;
Vinicio Comuzzo, 18 anni;
Angelo Del Degan, 18 anni;
Livio Domini, 18 anni;
Stefano Domini, 19 anni;
Alessio Feruglio, 19 anni;
Aniceto Feruglio, 17 anni;
Pietro Feruglio, 18 anni;
Ardo Martelossi, 19 anni;
Diego Mesaglio, 20 anni;
Mario Noacco, 20 anni;
Mario Paolini, 18 anni,
tutti di Feletto Umberto.
Inoltre:
Ezio Baldassi di San Giovanni al Natisone, 16 anni;
Guido Beltrame di Manzano, 60 anni;
Sergio Torossi di Corno di Rosazzo, 17 anni;
Antonio Ceccon di Dogna, 19 anni;
Luigi Cerno di Taipana, 21 anni;
Bruno Clocchiatti di Corno di Rosazzo, 17 anni;
Oreste Cotterli di Udine, 41 anni;
Agostino Fattorini di Reana del Rojale, 24 anni;
Dionisio Tauro di Chions, 41 anni;
Guerrino Zannier di Clauzetto, 25 anni;
Mario Pontarini o Pontoni;
Luigi Bon di Gorizia, 35 anni;
Jože Brunič di Novo Mesto.
Sergio Buligan, 18 anni;
Luigi Cecutto, 19 anni;
Vinicio Comuzzo, 18 anni;
Angelo Del Degan, 18 anni;
Livio Domini, 18 anni;
Stefano Domini, 19 anni;
Alessio Feruglio, 19 anni;
Aniceto Feruglio, 17 anni;
Pietro Feruglio, 18 anni;
Ardo Martelossi, 19 anni;
Diego Mesaglio, 20 anni;
Mario Noacco, 20 anni;
Mario Paolini, 18 anni,
tutti di Feletto Umberto.
Inoltre:
Ezio Baldassi di San Giovanni al Natisone, 16 anni;
Guido Beltrame di Manzano, 60 anni;
Sergio Torossi di Corno di Rosazzo, 17 anni;
Antonio Ceccon di Dogna, 19 anni;
Luigi Cerno di Taipana, 21 anni;
Bruno Clocchiatti di Corno di Rosazzo, 17 anni;
Oreste Cotterli di Udine, 41 anni;
Agostino Fattorini di Reana del Rojale, 24 anni;
Dionisio Tauro di Chions, 41 anni;
Guerrino Zannier di Clauzetto, 25 anni;
Mario Pontarini o Pontoni;
Luigi Bon di Gorizia, 35 anni;
Jože Brunič di Novo Mesto.
Ecco la foto non deturpata dal logo della trasmissione di Vespa:
Dal momento che in
contemporanea ci fu un’esecuzione collettiva anche a San Giovanni al
Natisone e non è perfettamente chiaro quali dei partigiani elencati
sopra siano stati uccisi a Premariacco e quali a San Giovanni,
pubblichiamo qui di seguito anche la foto dei caduti per la libertà di
San Giovanni al Natisone, sperando in questo modo di evitare
preventivamente che si insulti anche la loro memoria (anche considerando
che l’Anpi di Udine, pochi giorni dopo la bufala di Bruno Vespa, ha tolto dal proprio sito foto e riferimenti ai martiri del 29 maggio. Speriamo si tratti di un caso.)
[N.d.R. Nei commenti a questo post viene spiegato l’arcano: «il sito dell’ANPI di Udine ha cambiato non solo server, ma anche piattaforma (da Drupal a WordPress); in ragione di ciò tutti i link interni devono essere editati a mano.»]
[N.d.R. Nei commenti a questo post viene spiegato l’arcano: «il sito dell’ANPI di Udine ha cambiato non solo server, ma anche piattaforma (da Drupal a WordPress); in ragione di ciò tutti i link interni devono essere editati a mano.»]
⁂
6. CHE C’ENTRA SREBRENICA CON LE FOIBE?
C’è poi l’articolo de
«Il Piccolo» di Trieste che sarebbe esilarante se non trattasse di un
argomento, anzi due, così macabro e doloroso.
Il sottotitolo della
foto reca la dicitura: «L’esumazione di una parte dei cadaveri rinvenuti
in una foiba». Peccato che la foto sia a colori, gli esumatori
indossino jeans e sia evidente come l’immagine sia di decenni più
recente. Facendo una rapida ricerca su internet si trova l’originale: è
una fossa comune nel villaggio di Kamenica in Bosnia, nel Cantone di
Tuzla, in cui sono stati sepolti musulmani bosniaci dopo la deportazione
da Srebrenica.
L’errore è così
grossolano che il giornale nel giro di poche ore sostituisce la foto con
questa (che si riferisce effettivamente al recupero di corpi dalla
foiba di Vines, 1943):
⁂
7. LA «VERA STORIA» CON COPERTINA FALSA
Passiamo poi ad uno dei
taroccamenti più evidenti dell’intera vicenda “foibe”, che richiama
alcuni dei luoghi comuni più triti sulla bestialità dei partigiani, la
sanguinarietà truculenta e la partecipazione delle partigiane (le
terribili “drugarice”) alle azioni più violente. Si tratta della
copertina del libro Una grande tragedia dimenticata. La vera storia delle foibe, di Giuseppina Mellace, edito da Newton Compton.
Nella copertina si vede
un trio (ad occhio: un partigiano e due partigiane) nell’atto di
sgozzare una vittima (presumibilmente un povero italiano). Anche qui
però il taroccamento è palese. La foto originale infatti è questa:
Anche in questo caso si assiste ad un totale ribaltamento del senso dell’immagine. I carnefici della foto infatti sono una Crna trojka
(“Terzetto Nero”), unità četniche, cioè appartenenti all’esercito
nazionalista serbo. Si trattava di una sorta di tribunale volante che
aveva il compito di eliminare collaborazionisti dell’occupatore. Con
l’evolversi della guerra e con l’avvicinamento di Draža Mihailović ai tedeschi, le Crne trojke
si dedicarono sempre più all’esecuzione sommaria di partigiani
comunisti, di simpatizzanti del movimento partigiano e dei loro
familiari. Che si tratti di četnici e non di partigiani è facilmente
deducibile dall’abbigliamento: anziché la bustina partigiana (la
cosiddetta titovka, già citata nel caso dei fucilati montenegrini), gli individui fotografati sul libro della Mellace hanno in testa una šajkača, il tipico copricapo serbo, utilizzato dai nazionalisti serbi.
Qui di seguito la
differenza tra una titovka (che peraltro è sempre ornata da una stella
rossa) e una šajkača (che solitamente ha in fronte uno scudo con
l’aquila serba, decisamente più grande, come si può notare dal copricapo
del četniko in piedi al centro della foto).
Il fatto poi che siano
četnici esclude che le due persone in piedi siano donne: è noto che i
nazionalisti serbi portavano i capelli lunghi alle spalle.
Inoltre che la vittima
non sia un italiano è nuovamente intuibile dalle calzature, che sono –
come nel caso di alcuni dei fucilati del Montenegro – opanke, cioè le
babbucce tipiche della Serbia e del Montenegro.
⁂
8. MORTI NEI LAGER NAZISTI E FASCISTI SPACCIATI PER… INDOVINATE COSA?
Per taroccare le
immagini relative alla Giornata del ricordo non si è disdegnato di
utilizzare anche i campi di concentramento e sterminio nazisti.
Il Comune di Brisighella
(ma a grandi linee mi pare che l’utilizzo della foto sia più diffuso)
commemora le foibe con questa foto:
…che in realtà è una
foto di cadaveri nel campo di Bergen-Belsen; mentre su alcuni siti e
addirittura in un manifesto della Provincia di Foggia appare quest’altra
foto di bambini in un campo nazista…
…spacciata – non si capisce bene in che modo – per una foto relativa alle foibe.
Sempre in tema di campi di concentramento ecco un’altra foto clamorosamente sbagliata:
In realtà si tratta di un deportato croato nel campo di concentramento italiano dell’isola di Arbe.L’immagine è addirittura sulla copertina di un libro di Alessandra Kersevan:
⁂
9. FRANCESI IN FUGA DA HITLER SPACCIATI PER ESULI ISTRIANI Non basta, manca l’esodo. Ecco qui una foto che negli ultimi tempi ha girato parecchio su internet: una bambina e la sua famiglia scappano dall’occupazione jugoslava di una città istriana.
La foto si trova addirittura sulla copertina di questo libro di Hanna Diamond, storica e francesista, docente all’Università di Bath in Inghilterra, ma come ben si sa, raramente in Italia si prendono in considerazione gli studi stranieri…
⁂
10. BRIGANTI INFOIBATI
Appare su un sito la seguente foto di infoibati:
Peccato che queste
vittime delle foibe siano state uccise circa ottant’anni prima, e non
dall’esercito jugoslavo, bensì da quello italiano. Infatti è una delle
tante foto che le armate sabaude scattavano ai cadaveri dei briganti
appena uccisi, nell’intento di dimostrare la semibestialità delle masse
rurali meridionali, di documentarlo con scientificità lombrosiana e di
assecondare il gusto morboso dell’epoca. Al di là dell’errore marchiano
(ma ci siamo abituati) in questo caso è interessante vedere la genesi
dell’errata attribuzione che dimostra la superficialità assoluta con cui
molti scelgono la documentazione fotografica da allegare agli articoli.
L’immagine, infatti, è evidentemente tratta da quest’altro sito,
in cui appaiono tre foto di briganti uccisi, stigmatizzando il fatto
che esista la Giornata del ricordo per gli infoibati, ma non per le
vittime della lotta al brigantaggio.
⁂
11. DOVEROSE RIFLESSIONIColpisce il fatto che, mentre per le foibe manca una documentazione fotografica delle uccisioni e le immagini relative al recupero dei corpi sono abbastanza rare (il che potrebbe essere un ulteriore riscontro che le effettive uccisioni nelle cavità carsiche furono relativamente poche, nell’ordine di grandezza delle centinaia e non delle migliaia), immagini dell’esodo sono invece piuttosto diffuse, soprattutto di quello da Pola, ma in occasione della Giornata del ricordo non si disdegna di adoperarne di fasulle. Perché?
Una parte di responsabilità va sicuramente attribuita al fatto che spesso queste ricorrenze sono organizzate (o pubblicizzate graficamente) da persone senza una sufficiente preparazione storica, quando non del tutto estranee all’ambito. Mi pare possibile che le foto vengano selezionate in base all’impatto emotivo che possono suscitare su chi le guarda e dunque non si vada troppo per il sottile. La foto dell’esodo “francese” ha in primo piano un’adolescente dall’espressione spaventata, che sicuramente è un elemento di grande presa emotiva e ha l’effetto di rappresentare l’esodo istriano per quello che non è stato: una fuga disordinata da un invasore sanguinario (come invece lo fu quella dei profughi francesi dalla Wehrmacht) invece che un processo migratorio sviluppatosi nell’arco di un decennio abbondante, come i dati statistici permettono di rilevare.
Tuttavia ciò che colpisce di più è il fatto che la maggior parte dei falsi che siamo riusciti a smascherare presenti un totale ribaltamento del contenuto: sono foto che mostrano vittime slovene (o croate o partigiane) uccise dagli italiani, ma vengono presentate come l’opposto, italiani vittime delle violenze slavocomuniste.
Una spiegazione “tecnica” potrebbe essere quella che gli addetti al reperimento del materiale si siano limitati a digitare su Google qualcosa tipo “Jugoslavia”, “crimini” o “vittime” e “italiani” e senza accorgersi siano capitati in siti dove vengono documentate le violenze italiane in Jugoslavia: l’utilizzo di quelle immagini sarebbe dunque semplicemente un errore di superficialità. Se è vero che la cura nella corretta identificazione delle immagini fotografiche è significativamente inferiore a quella riservata ad altre tipologie documentali, nel caso delle immagini delle foibe questa pessima pratica sembra quasi essere la norma.
Non mi sento però di escludere che questa totale inversione sia invece dolosa: che si tratti di un atto volontario nato proprio per instillare on line confusione e il dubbio che le foto delle vittime della resistenza siano effettivamente tali (e rendere questo dubbio virale attraverso l’incredibile forza di replica di internet), o forse più semplicemente per provocare, offendere e screditare la memoria della Lotta di liberazione jugoslava.
Un altro aspetto che salta agli occhi ricercando in questo campo è la carenza di immagini testimonianti la repressione violenta degli italiani ad opera dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo, se confrontate alle foto esistenti di violenze italiane in Jugoslavia, decisamente più numerose e dettagliate. D’altra parte ciò è fisiologico: i popoli jugoslavi subirono un’invasione che provocò un numero enorme di vittime. La Jugoslavia ebbe un milione di morti su una popolazione di quindici milioni (cfr. John Keegan, Atlas of the Second World War); nella provincia di Lubiana vi furono 30.299 vittime su una popolazione totale di 336.300 abitanti (9% degli abitanti). Nella Venezia Giulia, invece, il numero delle vittime “italiane” dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo arriva a poche migliaia (contando anche coloro che morirono in prigionia di stenti e malnutrizione, cosa che accadeva anche nei campi di prigionia angloamericani), tra cui alcune centinaia di “infoibati”. Non lo dico io ma il rapporto della Commissione storica italo-slovena, che certo non si può accusare di “titoismo”.
A dispetto della risonanza mediatica che viene data alle foibe e alle vicende del confine orientale, si trattò di un episodio minore e periferico in quell’immane catastrofe che fu la seconda guerra mondiale.
L’attribuzione a sé da parte italiana di questo materiale iconografico potrebbe semplicemente mascherare la consapevolezza di non averne o di averne pochissimo e di volersi opportunisticamente appropriare di quello dell’avversario per colmare le proprie lacune, in un’epoca come quella odierna in cui le immagini contano di più dei concetti.
L’idea che alla base di questi errori vi sia un opportunismo di questo tipo viene in qualche modo confermata anche dall’analisi di chi sono gli autori. Se nel caso di singoli utenti di Facebook o di blogger che arricchiscono con immagini i propri commenti, l’errore in buona fede può sicuramente starci; nel caso di giornalisti, di grafici o di impiegati comunali che cercano materiale fotografico per la Giornata del ricordo l’errore mi sembra possibile, ma abbastanza più grave. Del tutto ingiustificabile invece risulta un’attribuzione sbagliata quando si tratta di media a diffusione nazionale e di opinion maker come Bruno Vespa, oppure di istituzioni pubbliche nazionali, come nel caso del sito del Ministero degli interni denunciato da Mlinar. Un ultimo caso in questo senso è stata la foto allegata ai tweet per il 10 febbraio di quest’anno della Camera dei deputati…
Non appena alcuni utenti segnalano via tweet la falsificazione, lo staff comunicazione di @montecitorio e @lauraboldrini si affretta a rimuovere la foto da twitter scusandosi per l’errore ma, considerando che quell’immagine è stata pubblicata solo ed esclusivamente con una didascalia che ne spiega con chiarezza il contesto, è difficile pensare che il suo utilizzo per raffigurare le foibe sia dovuto soltanto a un’ingenuità. Ciò che inquieta è che siano le stesse istituzioni dello Stato a prestarsi a questo gioco, ma dal momento che la Giornata del ricordo è diventata uno dei pilastri della creazione di una mitologia collettiva nazionale italiana e della memoria condivisa, non stupisce che il travisamento della realtà storica e delle immagini venga portato avanti anche ad alto livello politico.
Il materiale fotografico
è documentazione storica. Dovrebbe essere utilizzato come tale, con
rigore e consentendo a chi lo guarda di avere tutte le informazioni che
gli permettano di utilizzarlo al meglio: che cosa mostra la foto, dove è
stata scattata, quando, da chi, dov’è conservata. Dovrebbe essere uno
strumento per capire meglio gli avvenimenti storici, per poter
comprendere gli eventi non solo attraverso la lettura, il racconto e la
riflessione, ma anche attraverso la vista. L’utilizzo che invece si è
fatto del materiale fotografico che abbiamo preso in esame è l’opposto
di questo. Le immagini sono state utilizzate (e manipolate) per colpire
le emozioni e non la ragione, sono state usate come santini della
vittima di turno, come oggetti devozionali, reliquie con le quali
esprimere e consolidare la propria fede, sono state manipolate per
dimostrare l’esatto opposto di ciò che rappresentano. E, come buona
parte delle reliquie, si sono dimostrate false.
A noi il compito di resistere,
continuando a segnalare le manipolazioni della storia e a contrastare
l’omologazione e il pensiero unico.Piero Purini (Trieste, 1968) si è laureato in storia contemporanea all’Università di Trieste sotto la guida del prof. Jože Pirjevec. Ha poi frequentato corsi di perfezionamento post laurea presso l’Università di Lubiana e quindi ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università di Klagenfurt sotto la guida del prof. Karl Stuhlpfarrer. Si occupa principalmente di movimenti migratori, di spostamenti di popolazione e di questioni legate all’identità e all’appartenenza nazionale: il fatto di aver studiato in Italia, Slovenia ed Austria gli ha permesso di analizzare la storia di una regione etnicamente complessa come la Venezia Giulia in una prospettiva più internazionale ed europea. È autore dei libri Trieste 1954-1963. Dal Governo Militare Alleato alla Regione Friuli-Venezia Giulia (Trieste, Circolo per gli studi sociali Virgil Šček – Krožek za družbena vprašanja Virgil Šček, 1995) e Metamorfosi etniche.
I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria. 1914-1975 (KappaVu, Udine 2010; nuova edizione: 2014). Per Giap ha scritto il saggio Quello che Cristicchi dimentica. Magazzino 18, gli «italiani brava gente» e le vere larghe intese (febbraio 2014). Affianca all’attività di storico anche quella di musicista.
Nicoletta Bourbaki è l’eteronimo usato da un gruppo di inchiesta su Wikipedia e le manipolazioni storiche in rete, formatosi nel 2012 durante una discussione su Giap. Con questa scelta, il gruppo omaggia Nicolas Bourbaki, collettivo di matematici attivo in Francia dal 1935 al 1983.
MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.
Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.
La redazione – abbastanza ballerina – della bottega
Nessun commento:
Posta un commento