In questi giorni si susseguono le cerimonie di ricordo per quella che è stata definita “giornata della memoria”.
Si
cerca così di ricordare la più grande tragedia collettiva del ‘900
ricostruendo i termini nei quali avvenne; esorcizzando gli elementi di
pensiero e di azione sulla quale fu costruita la gigantesca macchina
della repressione e dell’eccidio di massa.
L’auspicio
da pronunciare per questa occasione evitando inutili passerelle
retoriche riguarda la capacità di stilare un bilancio complessivo di
recupero della memoria non rivolto a guardare il passato limitandoci a
trarre da questa “visione” soltanto generici accenti di richiesta per
espressioni di “buona volontà”, come accade troppo spesso.
Serve una “memoria per il presente”.
E’
necessaria un’attualizzazione senza riguardi; una riflessione su ciò
che avviene oggi nell’era della tecnologizzazione globalista.
Ci
troviamo in una situazione dove appare sempre più sottile il confine
tra l’esclusione o l’inclusione degli esseri umani dal contesto sociale.
Un confine che sembra essere travolto dal riproporsi dell’egemonia
della logica di sopraffazione.
La
rievocazione della più grande tragedia del ‘900 deve dunque
oltrepassare il ricordo dei fatti legati all’annientamento fisico di
milioni di persone.
Persone
definite, a vario titolo, “indesiderabili” e per questo motivo
concentrati nei campi al fine di “proteggere” gli altri i “normali”
attraverso un trattamento preventivo eseguito come se si fosse trattato
di una misura di igiene e profilassi pubblica.
Un
trattamento di reclusione fuori da qualsiasi canone giudiziario: una
misura eccezionale di prigionia dalla quale non poteva che scaturire la
realtà dell’eliminazione fisica.
Il
rapporto tra la concentrazione coatta e lo sterminio di massa si
potrebbe definire quasi come un nesso obbligato. E’ questa la lezione da
ricordare.
Definito
questo quadro del rapporto tra concentrazione coatta e sterminio di
massa ne discende un’immediata comparazione con l’attualità: una
comparazione assai facile da comprendere individuando con chiarezza
anche nomi e cognomi.
Claudio
Vercelli disegna i contorni di questa comparazione attraverso una
sintesi efficace che si legge in un suo articolo (“Il Manifesto”, 25
gennaio, “ L’esilio sistematico di un’umanità considerata in eccesso”).
Sintesi che riprendo in pieno: “L’elemento
fondamentale, in questo caso, è dato dal nesso, indissolubile nell’età
della ‘nazionalizzazione delle masse’ tra politiche di Stato, consenso
generalizzato, bisogno di rassicurazione”.Sembra
proprio di leggere notizie di queste ore tra chiusura dei porti,
sgomberi coatti, rassicurante caccia all’indesiderabile: atti di
violenza intesi come piattaforma per una riassicurazione del “pubblico”
che permetta di raccogliere consenso con il minimo costo.
Attenzione
però: tra “esilio di massa”, concentramento “extra–lege” e sterminio il
collegamento c’era e c’è e non si esaurisce nel passato e nella
retorica dell’espressione di buoni sentimenti.
Non si sta scrivendo che la storia potrebbe ripetersi.
Le forme del ripresentarsi del ciclo storico sono infinite e si tratta di valutarne, di volta in volta, la realtà.
Si
tratta di riflettere su come determinati aspetti di ciò che è già
tragicamente avvenuto tornino a presentarsi all’interno di una società
di massa sicuramente profondamente modificatasi nella sua essenza,
rispetto a quella che agiva nell’Europa degli anni trenta quaranta.
Alcuni
elementi in questo senso devono essere visti, analizzati, sottolineati
senza colpevoli sottovalutazioni o peggio strumentalizzazioni
opportunistiche.
In
una società dominata dall’incertezza si levano forti imperativi rivolti
alla soggettività, alla valorizzazione dell’individualismo, alla
raccolta degli eguali dentro il nostro recinto.
Un recinto magari contornato da muri.
Un recinto che segna il confine di una “diversità” che si pensa di attribuire agli altri.
E’
questo il senso profondo del rigurgito nazionalista in atto ed è su
questo punto che la sinistra sottoposta alla tentazione di una facile
popolarità su questo terreno dovrebbe cominciare a recuperare almeno il
senso della propria direzione di marcia.
Appare del tutto fragile un richiamo alla nazione destinato a evocare un mondo di stranieri potenzialmente pericoloso.
Ne
consegue, per la “Nazione” la necessità di un’opera di purificazione
permanente con lo scopo di liberare il proprio “corpus” di tutti gli
elementi di squilibrio dal razziale al sociale.
Si
determinerebbe così uno stato di “sicurezza” che deriverebbe dalla
capacità dello Stato di assumersi un diritto assoluto e primitivo di
determinare chi può integrarsi e chi, invece, merita di essere espulso
dal consesso civile. Dall’espulsione “temporanea” a quella “definitiva”
(per usare un eufemismo) il passo è sempre stato breve.
Ci
troviamo di fronte ad una delineazione di analogie da dedicare a chi
pensa che l’accoppiata fascismo/antifascismo sia superati e da
dimenticare.
La
memoria per capire questo presente che incombe e ci inquieta mentre
quella che abbiamo sempre considerato la “nostra parte” oscilla
paurosamente verso la subalternità al presente.
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