Lorenzo Fazio Editore Chiarelettere
L’unico modo che noi editori abbiamo per contrastare la perdita di lettori è la qualità, qualità dei contenuti e della confezione, dell’oggetto libro, in quanto unico, da secoli uguale a se stesso. Le cose da dire importanti sono ancora oggi depositate nei libri, mentre in rete e sui social tutto è volatile, superabile, provvisorio, come se le parole prendessero un’altra velocità e non fossero le stesse di quelle della carta stampata. “Ho scritto un libro” è ancora diverso da dire “ho scritto un post”. Un libro, su carta o digitale non importa, è costruito grazie a una combinazione di parole che presuppone un disegno, un’impalcatura logica capace di reggere per molte pagine. E che, come sottolinea Esposito, si appoggia a regole formali e stilistiche che vengono da molto lontano, e che sono sempre le stesse.
Fino ad oggi il libro apparteneva al nostro immaginario, oggetto tra gli altri oggetti, seppure particolare, ora la rivoluzione digitale ne ha rivelato tutta la sua intrinseca originalità, fino a farne un oggetto a parte, in più.Se le cose stanno così, se trascuriamo la “bellezza” del libro cominciando a togliere dall’impalcatura quegli elementi che ne fanno un unicum, è possibile che esso diventerà sempre più uguale ad altri contenitori di parole, con il rischio, non calcolato, che ci perderemo in un mare disordinato di parole (i 140 caratteri di Twitter non bastano a regolare il pensiero, se mai lo disarticolano). La nostra storia e la nostra identità si appoggiano sui libri, sono lo specchio di noi stessi, di quello che siamo, senza di loro, senza quella misura, quell’ordine, siamo niente.
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