E se quel naufrago di 14 anni fosse stato trovato morto, denudato e con la pancia gonfia, come i suoi compagni di sventura? Come quelli che ogni giorno muoiono sotto i nostri occhi, bimbi e adulti, maschi e femmine. Se Cristiana Cattaneo, medico legale, al momento dell’autopsia non avesse ritrovato ancora i suoi vestiti e miracolosamente intatta, cucita in una tasca, la pagella scolastica con tanti bei voti, segno insieme di identità e di sincerità dei suoi buoni propositi, noi saremmo stati così colpiti? Avremmo cioè provato la commozione, il dispiacere, la pietà che oggi, anche grazie alla struggente vignetta di Makkox che l’ha rappresentata, sentiamo per questa vita perduta, per l’oltraggio che le istituzioni dell’Occidente compiono, per la regressione e l’immoralità di decisioni politiche così ciniche?
Oppure, e purtroppo, stiamo divenendo così crudeli, cosi tanto abituati alla morte di questi sventurati, che l’indignazione e la commozione si provano solo quando qualcosa di straordinario accade, essendo l’ordinario, cioè la strage quotidiana di innocenti, oramai acquisito e indiscutibile.
Abbiamo bisogno di strazi spettacolari, di morti indicibili, come quella del piccolo Aylan, il bimbetto di due anni, un bambolotto vestito di rosso riverso a terra sulla spiaggia di un’isola turca. Siamo abituati e anzi giustifichiamo persino queste forme di sopraffazioni e ingiustizie. Al diritto preferiamo il rovescio, l’abuso o la omissione. Siamo divenuti così tanto crudeli che per scuoterci dal torpore abbiamo bisogno di una dose sempre maggiore di raccapriccio, qualcosa di ultra sconvolgente.
Non un annegato qualunque, ma un annegato coi fiocchi.
L'articolo Non ci basta un annegato. Per farci piangere abbiamo bisogno di più proviene da Il Fatto Quotidiano.
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