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Dieci anni sono trascorsi dal primo filmato che ha inaugurato Byoblu, il videoblog di riferimento per chi non si accontenta dell’informazione mainstream.
Ora, nel momento in cui scrivo, i video sono 1.444, per un totale di 90
milioni di visualizzazioni e quasi 500 milioni di minuti guardati. Gli
argomenti affrontati in questo movimentato decennio dal suo fondatore, Claudio Messora
– professionista della comunicazione, in passato coordinatore e
consulente del gruppo parlamentare del Movimento Cinque Stelle al
Senato, spaziano: dalla politica alla società, dall’ambiente alla salute, dall’economia alla filosofia. Spicca, nello scorrerli, la scelta degli interlocutori, raramente quelli che ti aspetti, spesso con contenuti alternativi da sottoporre.
Così accade che, anche quando non sei d’accordo, hai qualcosa in più
su cui riflettere, una vittoria per chi, da giornalista, vuole
raccontare un’altra versione della storia, almeno non la solita.
Claudio, cosa ti ha spinto ad aprire il blog?
Ho iniziato per gioco, perché sono curioso e seguo in maniera innata le
mie passioni. Ho continuato perché sono state le persone a chiedermi di
farlo. Le persone che seguono Byoblu sono la mia vera ricchezza
interiore e il carburante che brucia e alimenta i miei sforzi, e gli
ospiti di Byoblu sono tutti docenti di una grande università libera e
indipendente nella quale ogni giorno imparo qualcosa di nuovo. Il primo
spettatore di Byoblu sono io. Per questo ringrazio tutti coloro che nel
tempo hanno finanziato Byoblu e che ancora continuano a farlo, perché
grazie alla loro generosità ogni giorno tutti quanti facciamo un passo
in avanti verso una conoscenza più ampia, individuale e collettiva.
I dati Ipsos dicono che l’Italia è il paese dell’Unione
Europea più ignorante, nel senso che tra la percezione comune e la
realtà dei fatti esiste una notevole distanza. A cosa si deve secondo
te?
Credo che le politiche di impoverimento della scuola pubblica e
quelle di inaridimento dei percorsi formativi, sempre più orientati al
soddisfacimento delle logiche di produzione e non allo sviluppo della
persona umana, senza dimenticare l’erosione dei fondi per la ricerca,
abbiano prodotto intere generazioni che non hanno sviluppato le capacità
di analisi e l’autoconsapevolezza necessarie per fare una critica
ragionata della società in cui vivono e maturare un legittimo anelito a
cambiarla. L’appiattimento dell’offerta culturale della televisione
pubblica e il suo adeguamento ai format delle concorrenti commerciali ha
fatto il resto, calando i cittadini in un immenso baraccone delle pulci
dove l’attenzione si concentra solo su questioni completamente
irrilevanti ai fini della vita pubblica e l’occhio di bue non viene mai
puntato sui temi fondamentali della nostra esistenza immanente e
trascendente.
La verità è ancora un monopolio di pochi?
La verità non esiste. Di certo esistono la manipolazione e la
menzogna, che sono le arti in cui i nostri tempi eccellono. Si può
giungere comunque a una comprensione via via più raffinata delle
dinamiche complesse, sociali, ambientali, naturali e geopolitiche solo
per approssimazioni successive e avendo a disposizione una conoscenza
approfondita dei fenomeni che le governano. Questa conoscenza è
riservata alle fasce sociali che se la possono permettere, avendo
accesso a big data e potendo incidere grazie agli strumenti produttivi e
finanziari necessari a decidere linee di azione. Parliamo di quell’1%
della popolazione mondiale che possiede tutto e per il quale i soldi non
sono più un problema, mentre il problema sono le strategie di
governance mondiali, da portare avanti in maniera più o meno illuminata,
ma in ogni caso mai contro ai propri interessi.
Come influisce Internet sulla manipolazione delle fonti di informazione?
Poco e non sulle questioni fondamentali. Il problema delle
notizie false è potenzialmente dannoso solo nei casi di emergenza, dove
si devono prendere decisioni dalle quali dipende l’incolumità delle
persone e si devono prendere in fretta. Si pensi ai terremoti, alle
calamità naturali in genere. Cosa succede se si spargono voci che creano
allarmismo ingiustificato, partendo da dati falsi, ad esempio? I
social, ma ancora di più i sistemi di messaggistica degli smartphone,
veicolano notizie che, con la complicità dello stato psicologico
alterato, vengono prese per buone senza nessuna verifica. Sul lungo
periodo, invece, la Rete ha in sé gli anticorpi per depotenziare una
bufala: i commenti, i contro-articoli, anche i siti del cosiddetto
debunking, che se si occupano di questioni concrete e della semplice
analisi dei fatti sono molto utili. Diversamente, deve essere chiaro che
le opinioni e le analisi su questioni che non attengono alla mera
comunicazione di un fatto fanno parte del dibattito pubblico e non
possono in nessun modo essere ridotte alla mera logica binaria
vero/falso, che spesso invece cela soltanto un interesse politico
contrapposto. Molti cosiddetti debunker sono infatti soltanto attivisti
politici mascherati.
Per la tua esperienza, è vero che gli italiani non sono in grado di riconoscere le bufale?
Al contrario: hanno saputo riconoscere benissimo una bufala come quella
della necessità dell’austerity per salvarci dallo spread. Ci hanno messo
cinque anni perché l’argomento era complesso, ma alla fine i risultati
elettorali hanno dimostrato che la narrazione neoliberista sull’Italia
serva dello spread e dei mercati finanziari è stata smontata. Adesso
però ci sarebbe bisogno di un’azione educativa per rendere le persone
meno tifose e più razionali, più critiche e meno pavloviane.
Qual è lo stato di salute della contro-informazione oggi?
Fa fatica. Del resto la contrapposizione tra la verità del
sistema e le mille verità alternative ad esso è per definizione dura. Se
non fosse difficile, faticoso e rischioso, non sarebbe neppure
credibile. Tuttavia, una informazione fuori dalle logiche del mainstream
è per una democrazia vitale tanto quanto gli anticorpi lo sono per un
organismo umano. Serve a limitare l’espansione illimitata e
incontrastata di chi detiene il potere e concentra in poche mani il
controllo dei media.
Quali sono i temi in cui si fatica di più a veicolare una versione alternativa dei fatti?
Tutti quelli che muovono interessi enormi e che quindi non badano a
spese per costruire uno spin capace di influenzare i media e i
giornalisti. L’agenda della globalizzazione che risponde alle logiche di
ristrutturazione e riallocazione dei settori strategici del capitalismo
ne è un esempio. Ma anche le spinte alla cessione di sovranità in
favore di un controllo centralizzato mitteleuropeo, a trazione esogena, o
buona parte dell’indotto che discende dalle scoperte scientifiche ma le
cui ricadute in termini di mero interesse speculativo e finanziario
ormai prevalgono sull’interesse della finalità scientifica in sé.
Quali sono i video di Byoblu di cui vai più fiero?
Quelli grazie ai quali ho lanciato molti dei personaggi che
oggi occupano importanti cariche istituzionali o importanti ruoli
sociali. Penso ad Alberto Bagnai e Claudio Borghi, oggi presidenti delle
Commissioni Bilancio e Finanze di Camera e Senato. Penso a Marcello
Foa, oggi presidente della Rai. Penso a diversi sottosegretari o a
opinionisti come Paolo Becchi. Poi ci sono molti lavori
giornalisticamente interessanti (ad esempio un’intervista a un veterano
dei Marines che raccontava cosa succedeva davvero durante le campagne in
Iraq), ma che uscendo troppo dal “frame”, il pubblico non ha saputo o
voluto apprezzare.
Quali sono i tasti che se toccati chiamano subito le querele?
In generale, più la critica si fa elevata, sistemica,
generale, più il diritto di opinione è salvo. Più si scende nel
dettaglio e si toccano gli interessi dei singoli individui, chiamandoli
per nome e cognome, più gli avvocati avranno da lavorare. Dieci anni di
esperienza mi hanno aiutato a costruirmi una formazione sul campo che mi
consente di utilizzare i giusti toni e le giuste argomentazioni per
garantire la libertà dei cittadini di essere informati, salvaguardando
al tempo stesso la dignità e l’onorabilità dei singoli individui,
laddove certamente questi meritino tutela. Quando invece è necessario
affondare la lama, bisogna assicurarsi prima di avere solide fonti da
esibire in un’aula di tribunale.
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martedì 1 gennaio 2019
Mille e una verità alternative: l’informazione spiegata bene da Claudio Messora
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