Se in quel collegio i Cinque Stelle hanno ottenuto un successo clamoroso (47,7% alla Camera e 45,6% al Senato), rimangono i dubbi sul futuro. Ufficialmente Di Maio e Co. sono a metà tra la chiusura dello stabilimento e la bonifica con la continuazione della produzione. Ma soluzioni facili ed immediate non esistono. È tuttavia pressante la necessità di avere chiara la visione del futuro rispondendo a due criteri fondamentali: il bene della città e la concretezza e fattibilità delle scelte.
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La crisi politica in atto nel Paese ha avuto un effetto mediatico immediato su Taranto, questione simbolo del malessere sociale. Si ha l’impressione, infatti, che la questione dell’Ilva rimanga un terreno di scontro politico importante e, di conseguenza, fortemente strumentalizzato.
Il Movimento Cinque Stelle, che a Taranto ha riportato un successo clamoroso (alla Camera il 47,7% e al Senato il 45,6%), è a metà tra la chiusura dello stabilimento (questo è quanto dichiarano alcuni dei suoi esponenti) e la bonifica con la continuazione della produzione, secondo quanto dichiarato dal candidato premier Di Maio poco prima delle elezioni.
L’Ilva occupa circa 15.000 persone tra dipendenti diretti e personale impiegato nell’indotto.
Le posizioni del Partito Democratico, invece, si attestano sempre sulla scelta di non chiusura dello stabilimento e sulla ricerca di un compromesso per arrivare all’ammodernamento della struttura con nuovi investimenti mirati e con la realizzazione di un piano ambientale che permetta, qualora realizzato, un deciso abbattimento dell’inquinamento.
Andiamo per ordine.
Le proposte di chiusura avanzate dal M5S, sulla base, secondo gli esempi addotti, di quanto realizzato nella Ruhr ed in altre realtà che hanno conosciuto esempi di riconversione efficace, può davvero trovare rispondenza nella realtà tarantina?
La riconversione operata nella Ruhr, così come quella realizzata a Lussemburgo ed in Francia, ha fatto leva su poderosi progetti che hanno puntato all’ammodernamento di infrastrutture, di reti di trasporti, all’insediamento di nuovi progetti di servizi e cultura ben accolti anche dalla popolazione.
Cosa accadrebbe, invece, a Taranto in caso di chiusura? Su quali realistiche attività produttive alternative si potrebbe contare nell’immediato se l’Ilva dovesse chiudere? E come verrebbe accompagnato il processo a livello nazionale per evitare l’effetto Bagnoli? Taranto necessita di azioni calate concretamente nella realtà.
Il timore, oggi, è che la questione continui ad essere un terreno di scontro tra forze politiche che non hanno una visione chiara ed attuabile né in un senso né nell’altro.
Il Sindaco di Taranto ha annunciato di volere un confronto con il Governo, al fine di superare la questione del ricorso al TAR, presentato da Regione e Comune, che aveva inasprito i rapporti tra le Istituzioni. Ma quali sono le strategie sulle quali ci si confronta? Quali le proposte a beneficio della popolazione e dei lavoratori?
Il Ministro dello Sviluppo Economico ha nuovamente puntualizzato in alcuni tweets recenti la sua posizione in merito alla questione: investimenti di 3.5 miliardi di euro per ambiente e produzione.
I partiti, nella loro dovuta ed auspicabile presa di coscienza dei bisogni reali, dovrebbero adottare la questione Taranto come questione madre della politica italiana tutta. Perché coniugare il diritto al lavoro, alla salute, al benessere della popolazione sono assi portanti di qualsiasi sana e reale azione politica.
A Taranto si gioca il principio di protezione che lo Stato deve ai suoi cittadini.
La questione dell’Ilva e il futuro dei tarantini, si ha l’impressione siano diventati un oggetto di bagarre a livello di comunicazione politica ma non di approfondita riflessione né sul presente né sul futuro.
E’ prevista per Aprile la decisione dell’AntriTrust europeo sulla vendita del Gruppo Ilva ad Arcelor Mittal, decisione che comporterà il via libera alla cessione o lo stop alla stessa, con la necessità, per il prossimo governo, di un totale riposizionamento operativo sull’argomento. Chi scrive continua a interfacciarsi con la Commissione Europea, con l’obiettivo di contribuire nel migliore dei modi alla risoluzione delle numerose problematiche dello stabilimento.
Il futuro di Taranto deve rimanere quanto mai libero da condizionamenti politici di parte, e godere di un respiro molto ampio, condito di grande coraggio politico. In una più ampia visione strategica, il supporto della Commissione Europea, nelle sue diverse declinazioni - ambiente, politiche regionali, sviluppo, concorrenza - può giocare un ruolo determinante. Il dovere, più che mai, è quello di guardare al futuro con la chiara presa di coscienza che la produzione non può continuare a causare malattia e morte.
Le soluzioni facili ed immediate, per una questione così complessa, non esistono. È tuttavia pressante la necessità di avere chiara la visione del futuro rispondendo a due criteri fondamentali tra i tanti: il bene di Taranto; la concretezza e la fattibilità delle scelte. Il resto sono slogan politici che non risolveranno il nostro futuro ma produrranno solo dannose perdite di anni, salute, lavoro, distacco dei cittadini dalle Istituzioni.
(16 marzo 2018)
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