di Luciano Gallino 16 ottobre 2015
Anticipazione di un brano da Il denaro, il debito e la doppia crisi di Luciano Gallino (Einaudi, pagg. 200, euro 18)
Quel che vorrei provare a raccontarvi,
cari nipoti, è per certi versi la storia di una sconfitta politica,
sociale, morale: che è la mia, ma è anche la vostra. Con la differenza
che voi dovreste avere il tempo e le energie per porre rimedio al
disastro che sta affondando il nostro paese, insieme con altri paesi di
quella che doveva essere l’Unione europea. A ogni sconfitta corrisponde
ovviamente la vittoria di qualcun altro. In realtà noi siamo stati
battuti due volte. Abbiamo visto scomparire due idee e relative pratiche
che giudicavamo fondamentali: l’idea di uguaglianza e quella di
pensiero critico. Ad aggravare queste perdite si è aggiunta, come se non
bastasse, la vittoria della stupidità.
L’idea di uguaglianza, anzitutto
politica, si è affermata con la Rivoluzione francese. Essa dice che ogni
cittadino gode di diritti inalienabili, indipendenti dal suo censo o
posizione sociale, e ogni governo ha il dovere di adoperarsi per fare in
modo che essi siano realmente esigibili da ciascuno. La marcia di tale
idea è stata per oltre due secoli faticosa e incerta, ma nell’insieme ha
avuto esiti straordinari. La facoltà di eleggere i propri
rappresentanti in Parlamento; la formazione di sindacati liberi; la
graduale estensione del voto sino a includere tutti i cittadini; la
tassazione progressiva; l’ingresso del diritto nei luoghi di lavoro;
l’istruzione libera e gratuita per tutti sino all’università; la
realizzazione dello stato sociale; i limiti posti alle attività
speculative della finanza: è una lunga storia, quella che vede il
principio di uguaglianza diventare vita quotidiana per l’intera
popolazione.
Due periodi furono specialmente
favorevoli a tale marcia: gli anni Trenta sotto la presidenza Roosevelt,
negli Stati Uniti, che videro un grande rafforzamento dei sindacati e
una severa regolazione della finanza, e i primi trent’anni dopo la
Seconda guerra mondiale, in quasi tutti gli Stati europei, Italia
compresa. Poi, sul finire degli anni Settanta, la ristretta quota di
popolazione che per generazioni aveva subito l’attacco dell’idea e delle
politiche di uguaglianza decise che ne aveva abbastanza. Si tratta
della classe dei personaggi superpotenti e super- ricchi che controllano
la finanza, la politica, i media, che dopo i moti di piazza anti Wall
Street di anni recenti si usa stimare nell’1 per cento: un dato che le
statistiche sulla distribuzione della ricchezza confermano. Essa iniziò
quindi un feroce quanto sistematico attacco a qualsiasi cosa avesse
attinenza con l’uguaglianza, previa una preparazione che risaliva
addirittura agli anni Quaranta. (…)
Quando parlo di pensiero critico, che
costituisce la perdita numero due, mi riferisco a una corrente di
pensiero che oltre al soggiacente ordine sociale mette in discussione le
rappresentazioni della società diffuse dal sistema politico, dai
principali attori economici, dalla cultura dominante nelle sue varie
espressioni, dai media all’accademia. La tesi da cui tale corrente è (o
era) animata è che le rappresentazioni della società predominanti in un
paese distorcono la realtà al fine di legittimare l’ordine esistente a
favore delle élite o classi che formano tra l’1 e il 10 per cento della
popolazione. È una tesi che ha una lunga storia. È stata formulata tra i
primi da Machiavelli; ha toccato un vertice di spessore e complessità
con Marx e poi con la teoria critica della società, elaborata dalla
Scuola di Francoforte tra gli anni Venti e Cinquanta; si è prolungata in
Italia con Gramsci e in Francia con Bourdieu e Foucault, sin quasi ai
giorni nostri.
La suddetta tesi trova una clamorosa
conferma nella società contemporanea, a cominciare dalla nostra. La
rappresentazione di quest’ultima che vi propongono i giornali, la Tv, i
discorsi dei politici, le scienze economiche, la stessa scuola,
l’università, sono soltanto contraffazioni della realtà, elaborate a uso
e consumo delle classi dominanti. È la funzione che svolgono
quotidianamente le dottrine neoliberali. E guai se uno osa contraddirle.
Il richiamo alle distorsioni che l’enorme aumento della disuguaglianza
ha prodotto in campo sociale, politico, morale, civile, intellettuale
viene confutato con l’idea che l’arricchimento dei ricchi solleva tutte
le barche – laddove un minimo di riguardo all’evidenza empirica mostra
che nel migliore dei casi, ha scritto un economista americano, esso
solleva soltanto gli yacht. (…) Al posto del pensiero critico ci
ritroviamo, come si è detto, con l’egemonia dell’ideologia neoliberale,
la sua vincitrice. È un’ideologia strettamente connessa
all’irresistibile ascesa della stupidità al potere. È l’impalcatura
delle teorie e delle azioni che prima hanno quasi portato al tracollo
l’economia mondiale, poi hanno imposto alla Ue politiche di austerità
devastanti per rimediare a una crisi che aveva tutt’altre cause – cioè
la stagnazione inarrestabile dell’economia capitalistica, il tentativo
di porvi rimedio mediante un accrescimento patologico della finanza, la
volontà di riconquista del potere da parte delle classi dominanti. Oltre
alla crisi ecologica, che potrebbe essere giunta a un punto di non
ritorno.
Resta pur vero che senza l’apporto di
una dose massiccia di stupidità da parte dei governanti, dei politici, e
ahimè di una porzione non piccola di tutti noi, le teorie economiche
neoliberali non avrebbero mai potuto affermarsi nella misura
sconsiderata che abbiamo sott’occhio. (…) Pensate a quanto è successo
nell’autunno 2014. All’epoca i disoccupati sono oltre tre milioni. I
giovani senza lavoro sfiorano il 45 per cento. La base produttiva ha
perso un quarto del suo potenziale. Il Pil ha perso 10-11 punti rispetto
all’ultimo anno prima della crisi. E che fa il governo? Si sbraccia
allo scopo di introdurre nella legislazione sul lavoro nuove norme che
facilitino il licenziamento, riprendendo idee e rapporti dell’Ocse di
almeno vent’anni prima. Come non concludere che siamo dinanzi a casi
conclamati di stupidità? (o forse di malafede: discutere di come
licenziare con meno intralci legali è anche un modo per non discutere
dei problemi di cui sopra. Lascio a voi il giudizio).
Nessun commento:
Posta un commento