venerdì 16 marzo 2018

50 anni fa. Massacro di My Lai, cinquant'anni fa le foto che mostrarono al mondo la vergogna del Vietnam. Il fotografo: "Ai soldati dicevano: Andate e sparate, i vietnamiti non sono umani".

Il 16 marzo 1968 Ron Haeberle, in Vietnam con l'esercito americano, assistette alla carneficina in cui morirono 350 civili inermi. Con le sue fotografia l'America dovette svegliarsi dal torpore e interrogarsi.

Ronald L. Haeberle via Getty Images
Vietnamese civilians killed by US Army soldiers during pursuit of Vietcong militia, as per order of Lieut. Wm. Calley Jr. (later court-martialed), an incident which later became known as the My Lai Massacre, on March 16, 1968 in My Lai, South Vietnam. (Photo by Ronald S. Haeberle/The LIFE Images Collection/Getty Images)
 
Attenzione: alcune immagini potrebbero urtare la vostra sensibilità

"C'era un uomo con due bimbi al seguito e un cestino in mano che andava incontro ai soldati, sul volto la disperazione. Gridava 'No VC, No VC, No VC!'. Cercava di dire che loro non erano vietcong. Uno dei militari, non fece una piega. Sparò a tutti e tre". Cinquant'anni fa, il 16 marzo 1968, il massacro di My Lai fu una delle pagine più scure del Vietnam. Una carneficina in cui morirono 350 persone inerm per mano dell'esercito statunitense. A chi partiva per il fronte di quella che si rivelò una delle più logoranti e cruente guerre portate avanti dagli Usa dicevano "Andate e sparate, i vietnamiti non sono umani", racconta oggi al Time Ron Haeberle, testimone e fotografo di quella mattanza. Le immagini impresse sui suoi rullini servirono a dare la sveglia a un'America fino a quel momento intorpidita, che di fronte all'orrore di quei corpi fu costretta a interrogarsi e a guardare le sue mani sporche di sangue.

Partito per conto del Cleveland Plain Dealer, il giornale della sua città, a 26 anni Ron era uno dei più vecchi della Compagnia Charlie impegnata nella missione nel Sud Est asiatico: l'età media dei compagni non superava i vent'anni. Erano in Vietnam da poche settimane, carne fresca armata di fucile sotto la guida del tenente 24enne William L. Calley. "Il giorno del mio arrivo erano pronti a intervenire. Girava voce che i Vietcong fossero nascosti nel villaggio di My Lai", ricorda il fotografo, che aveva incontrato i commilitoni la mattina stessa. Informazione che poi si rivelò sbagliata, in giro non c'era traccia dei guerriglieri. "Udii molti spari, pensai che fossimo all'inferno, in una zona calda, ma dopo un paio di minuti mi fu chiaro che non era così. Vidi un soldato che sparava a un civile, non capivo cosa stesse succedendo".

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An American soldier firing his M16 rifle during the My Lai massacre on March 16, 1968 in My Lai, South Vietnam. (Photo by Ronald S. Haeberle/The LIFE Images Collection/Getty Images)

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Civilians killed by US Army during pursuit of Vietcong militia, as per order of Lieut. William Calley Jr. (later court-martialed), it became known as the Mylai Massacre. (Photo by Ronald S. Haeberle/The LIFE Images Collection/Getty Images)
Follia omicida e delirio di onnipotenza. Le donne furono violentate e uccise, i vecchi massacrati. Non furono risparmiati neppure i bambini. A un certo punto Haeberle si imbattè insieme a Jay Roberts, reporter dell'esercito, in un gruppo di abitanti terrorizzati, che si tenevano stretti stretti tra loro sotto il tiro dei soldati. "Pensavo li stessero interrogando", racconta Haeberle. "Poi sentii gli spari. Non potevo voltarmi per guardare ma li vidi cadere, con la coda dell'occhio".
"Avevo una sensazione di potenza, di distruzione...in Vietnam ti rendevi conto che potevi violentare una donna e nessuno poteva dirti nulla", dirà poi uno dei soldati che presero parte alla carneficina. L'arrivo di un elicottero pose fine alla mattanza, ma a inchiodare l'esercito furono anche le foto di Haeberle. I cadaveri ammassati su un sentiero della giungla vietnamita sferrarono un pugno nello stomaco dell'America dalla prima pagina del Plain Dealer il 20 novembre 1969. Era passato quasi un anno dalla tragedia, ma quelle immagini, scattate non con la Leica ufficiale fornita dall'esercito, ma con la Nikon personale di Haeberle (quindi sfuggite al controllo e alla censura) circolavano già da un po' tra riunioni di quartiere e qualche aula di scuola. E facevano tremare i polsi. Nella gloriosa narrazione del Vietnam prima scorrevano le diapositive della propaganda, truppe in posa con i bambini vietnamiti sorridenti o medici-salvatori in missione nei villaggi. Poi il colonizzatore si toglieva la maschera: ed ecco donne e bambini mutilati, cadaveri che riempivano di orrore gli schermi, e di angoscia le coscienze . "La gente era incredula, non si capacitava. Tutti dicevano, non può essere accaduto veramente".

 
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Group of civilian women and children rounded up to be killed by US Army during massacre of village while in pursuit of Vietcong militia, as per order of Lieut. Wm. Calley Jr. (later court-martialed), later known as the Vietnam War's Mylai massacre. (Photo by Ronald S. Haeberle/The LIFE Images Collection/Getty Images)

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Vietnamese children about to be shot by US Army soldiers during pursuit of Vietcong militia, as per order of Lieut. Wm. Calley Jr. (later court-martialed), an incident which later became known as the My Lai Massacre, on March 16, 1968 in My Lai, South Vietnam. (Photo by Ronald S. Haeberle/The LIFE Images Collection/Getty Images)
Una crepa nella versione ufficiale americana del Vietnam la aprì per primo Seymour Hersh, un giornalista investigativo freelance, che scoprì la storia di My Lai il 12 novembre 1969. Alcune grandi testate si rifiutarono di pubblicare la storia. Ebbe il coraggio di farlo la piccola agenzia "Dispatch News Service". Nel giro di una settimana il massacro di My Lai campeggiava su Time, Life e Newsweek, e anche le foto di Haeberle. "Per me è stato automatico continuare a fotografare anche in quella situazione. Come fotografo il mio ruolo era catturare quel che stava accadendo durante l'operazione. Sentivo che ero testimone di un fatto storico, soprattutto la carneficina. Continuavo a pensare: Non è giusto". In un'immagine si vede anche il riflesso di Haeberle che scatta una foto a un cadavere in un pozzo. "Mi dissero che l'avevano buttato lì per avvelenare l'acqua".

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Head of man floating in well during Mylai massacre. (Photo by Ronald S. Haeberle/The LIFE Images Collection/Getty Images)

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Corpses of Vietnamese civilians killed by American soldiers during Mylai Massacre. (Photo by Ronald S. Haeberle/The LIFE Images Collection/Getty Images)
A distanza di mezzo secolo da quella tragedia solo il tenente William L. Calley, considerato criminale di guerra, è stato condannato all'ergastolo, convertito in arresti domiciliari dal presidente Richard Nixon. Ha scontato la pena per tre anni e mezzo, poi la corte federale l'ha liberato definitivamente il 25 settembre 1974. Nel 2009 si è ufficialmente scusato per il massacro. Il Capitano Ernest Medina - che Haeberle e Roberts tentarono per due volte di avvisare su quel che avevano visto - è stato assolto dalla corte marziale nel 1971, mentre il pilota dell'elicottero americano Hugh Thompson, l'artigliere Lawrence Colburn e il capo dell'equipaggio Glenn Andreotta, arrivati ​​nel mezzo della mattanza, hanno ricevuto la Medaglia del Soldato per l'eroismo nel 30°anniversario di My Lai, in riconoscimento dei loro tentativi di intervenire e salvare le vite degli abitanti dei villaggi, mettendo a repentaglio la loro stessa vita. E Haeberle? Nel 2011 ha incontrato uno dei sopravvissuti al massacro Duc Tran Van, ai tempi aveva otto anni. E ha scoperto di essere stato lui a fotografare per l'ultima volta sua madre. Così gli ha regalato la sua macchina fotografica, la Nikon di allora. Oggi veglia su di lei, accanto alla sua tomba.

The LIFE Images Collection/Getty Images
Houses burned by American soldiers during the My Lai massacre on March 16, 1968 in My Lai, South Vietnam. (Photo by Ronald S. Haeberle/The LIFE Images Collection/Getty Images)

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