I nostri notiziari di regime, non li si può chiamare
diversamente, uniti nella lotta alla verità, ci informano zelanti di una
dichiarazione di 13 Stati latinoamericani che “non riconoscono”
l’Assemblea Costituente voluta da Maduro in Venezuela. Al di là del dato
privo di significato (“non riconoscono”! Che cosa vorrebbe dire?
In sintesi:
1. Si accetta come ovvio e legittima la presa di posizione dei 13 Stati.
2. Non si rileva che tali Stati che “non riconoscono” sono quelli che grazie a dubbie operazioni elettorali, o a veri e propri golpe anche quando variamente camuffati, sono tutti posti sotto l’ombrello USA, da cui in sostanza prendono ordini.
3. Si tace della contemporanea Dichiarazione (qui di seguito), di ben 57 Stati che, questa sì del tutto legittima, invitano a un processo di pace, e soprattutto chiedono che venga preservata la sovranità e l’integrità della Repubblica Bolivariana del Venezuela, davanti alle minacce neppure più troppo velate che giungono da Washington, in un coro a cui l’Unione Europea si è accodata tranquillamente, come sempre priva di una sua politica estera autonoma dagli USA.
Personalmente non sono un fanatico di Maduro (che è lontano dalla capacità politica e anche dal carisma di Hugo Chavez), e ritengo abbia commesso numerosi, e gravi errori, e certamente operato delle forzature istituzionali.
Ma la questione è: ci si può difendere dalle azioni golpiste – quelle portate avanti da anni dal fronte delle opposizioni, con boicottaggio, guerra commerciale e forme di crescente estremismo violento, sostenuto dall’esterno, in particolare dalla Colombia, e soprattutto dagli USA – in modo “democratico”? la storia proprio non ci insegna nulla? Le questioni davanti alle quali ci si trova a me pare siano le seguenti: chi sono e cosa rappresentano le “opposizioni”? E che cosa è in gioco in Venezuela? La mia risposta è in primo luogo in una parola magica e maledetta: “petrolio”. Il controllo delle risorse petrolifere più estese del Pianeta è evidentemente un dato fondamentale, oggi più che venti o trent’anni fa. Ma la risposta deve altresì guardare al significato, reale e simbolico, di quella parola d’ordine del “socialismo del XXI secolo” lanciata con ardimento da Chavez, e che in qualche modo Maduro e i suoi cercano di portare avanti.
Non si tratta soltanto di slogan (che possono anche risultare fastidiosi), ma di una realtà importante: i progressi sociali del Venezuela sono documentati, e sono di straordinaria importanza. Chi non è in malafede farà presto a documentarsi. E quei progressi sono un messaggio sostanziale a tutto il Subcontinente latinoamericano e, oltre gli Oceani, a tutti i popoli della Terra soggiogati dagli imperialismi di Stati Uniti e dell’Unione Europea. Fa paura questo soprattutto, come faceva paura negli anni Novanta del secolo scorso “l’anomalia jugoslava”, un Paese che si proclamava orgogliosamente socialista nel cuore dell’Europa post-1989. Sappiamo come venne spenta quella anomalia, a suon di bombe, con una aggressione da parte di una “grande coalizione democratica” di ben 19 Stati (compresa l’Italia, guidata allora da Massimo D’Alema, che diede prova di una pronta, servile collaborazione alle potenze imperialistiche, USA in testa). Contro il Venezuela si sta delineando l’ennesima “Santa Alleanza”, come nel ’99, contro la Repubblica Federale di Jugoslavia, o in forma meno estesa nel 2003 in Iraq, per detronizzare Saddam Hussein, riducendo il Paese, avanzato e laico, a un cumulo di macerie, divenuto la culla devastata e mostruosa dell’ISIS; o come nel 2011, in Libia, per eliminare Gheddafi e il socialismo della sua “Giamahiria Araba Libica”; e oggi la Libia risultato dell’azione dei “liberatori” è divenuto un vero inferno. E come si è tentato di fare nel corso degli ultimi anni con la Repubblica Siriana di Assad. Non ci piacciono i dittatori, sento ripetere. Ma quello che è venuto dopo ci piace di più? A chi attribuire le centinaia di migliaia di morti, le distruzioni di beni di economie di civiltà, in tutti questi Paesi? E chi ha il diritto di decidere sulle forme di governo degli Stati? Washington o Bruxelles? E quale, infine, sarebbe il modello da esportare, con le buone o le cattive? La nostra democrazia fallimentare? Ricordiamoci che in nome della tutela delle libertà “democratiche” abbiamo visto cadere regimi progressisti, nel passato remoto o nel passato prossimo. Quando il gioco si fa duro, ritengo che la causa del popolo vada difesa con ogni mezzo, anche al di là del galateo istituzionale. Se perde Maduro, perde il popolo, potremmo dire con uno slogan, e me ne scuso, ma la sostanza è quella. Se perde Maduro vincono i ricchi, gli evasori fiscali, le grandi multinazionali, e gli appetiti nordamericani.
Perciò, anche se abbiamo dubbi e riserve, mettiamoli da parte: oggi la causa che Maduro rappresenta non può non essere la causa di chi non accetta che Washington comandi il mondo; anche se siamo perplessi o peggio indifferenti, ma ci consideriamo “di sinistra”, se vogliamo tenere fede al principio primo e fondamentale del “Manifesto” di Marx ed Engels, quello espresso nell’appello finale (“Proletari di tutti i Paesi, unitevi!”), ossia l’internazionalismo proletario, oggi il nostro dovere è stare dalla parte della Repubblica Bolivariana del Venezuela e del suo presidente, Nicolás Maduro.
- storico, docente emerito dell’Università di Torino
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