dinamopress Riccardo Carraro
Un movimento popolare che dura da più di venticinque anni ha sempre bisogno di rinnovarsi, di sperimentare nuovi metodi e nuovi linguaggi per continuare a comunicare e a ispirare.
Per il secondo anno di fila il movimento No Tav ha sperimentato il linguaggio del festival per avere un momento di massima visibilità e per raggiungere persone diverse e nuove, raccontandosi e incontrando tutti coloro che sono giunti in valle attirati da un notevole programma ricco di dibattiti, concerti di alto livello, cibo, passeggiate e molto altro ancora.I giorni di festival in Valsusa sono stati così multiformi che non è neppure facile riuscire a riassumerne i tratti, provo con qualche cartolina.
Sentieri
Il sentiero di montagna è uno dei tanti simboli della lotta No Tav. Durante il festival si è voluto andare oltre il “solito sentiero” verso il cantiere, e si è permesso ai partecipanti di esplorare in altri luoghi la montagna valsusina. Si è però mantenuto il sentiero come filo rosso storico: un elemento geografico e paesaggistico ma anche un contenitore simbolico ed emblematico ove si incontrano e si intrecciano resistenze presenti e passate. Per due giorni si sono percorsi perciò “sentieri partigiani”, accompagnati dall’ANPI di Condove, nei luoghi dell’eccidio di 16 partigiani il 20 aprile del 1945 sulla montagna sovrastante il paese. Si è così rivissuto con estrema intensità una pagina drammatica della lotta antifascista in valle.Attraverso “il sentiero” si sono raccontate anche lotte più recenti, e si è percorso il percorso che porta ai luoghi della battaglia del Seghino, dove ebbe inizio il primo vero confronto tra No Tav e le forze dell’ordine, nel 2005. Il Seghino è stato raccontato magistralmente da Wu Ming 1 nel recente “Un viaggio che non promettiamo breve”, e lo stesso autore ha accompagnato i presenti su quelle tracce. Si è esplorato poi anche il sentiero dei Quattro Denti che porta ad un alto punto panoramico oltre i 2000 metri da cui è possibile vedere tutta la vallata, e da ultimo si sono pure attraversati i sentieri che portano ai vari presidi nei paesi della bassa valle. Tali presidi sono ancora oggi animati da anziani, signore, pensionati che in Clarea magari non riescono più a salire da tempo, ma che hanno scritto la storia della resistenza al progetto alta velocità con la loro imperterrita determinazione quotidiana alla difesa del proprio territorio.
Partecipanti
A Venaus vi era una grossa componente di attivist* che giungevano al festival perché già vicini alla resistenza. Molti infatti sono le compagne e i compagni che infinite volte in questi anni hanno risalito la penisola e sono giunti fino a questo estremo occidentale, rimanendone colpiti e coinvolti. Qualche volta sarà stato per le parole di un anziana al presidio, altre volte per la forza popolare dei momenti di protesta, altre ancora per le emozioni e la sensazione potente di stare in una comunità sociale e solidale, che si è resa “comunità” proprio grazie alla lotta. In tanti di noi continuano per tante ragioni simili a tornare e a voler provare le stesse emozioni e lo stesso affetto per i valligiani. Il Festival offriva un ottimo pretesto.Molti altri presenti a Venaus invece questo background politico non lo avevano, e sono arrivati più per la line-up del festival o per curiosità. Questa componente era chiara nelle passeggiate diurne al cantiere, partecipate per lo più da persone che evidentemente la strada da Giaglione a Chiomonte la percorrevano per la prima volta. Non possiamo dire quanti di questi saranno tornati a casa fomentati dalla lotta No Tav e quanti invece rimarrà solo una esperienza in una cornice, da raccontare al collega che ne sa ancora di meno.
Sorprendentemente però, il contesto del festival è riuscito a costruire “comunità” anche (o sopratutto) tra queste persone, e lo si vedeva da gesti semplici, come l’estrema attenzione a mantenere puliti i prati, la socialità rilassata anche durante le file più lunghe in attesa del cibo, o l’attenzione posta ai racconti dei valsusini. Questi ultimi erano spesso disponibili (nonostante il grande sforzo organizzativo) a condividere un pezzo della loro lotta, sopratutto nei momenti di confronto e di racconto che si venivano a creare durante le giornate. Tali momenti permettevano di percepire, anche a chi era lì per la prima volta, quella bella sensazione che si vive all’arrivo in valle, il “sentirsi a casa”.
Futuro
Più volte è emerso il tema. Il tunnel geognostico è concluso, anche se non è arrivato ai 7 chilometri previsti, ma solo a poco più di 5. Altre nubi però si avvicinano, tra i vari progetti vi è quello di trasformare il tunnel esplorativo in un vero e proprio tunnel ferroviario, raddoppiandolo, mentre continuano i progetti relativi alla stazione “internazionale” di Susa e agli sconvolgimenti urbanistici che la tratta comporterebbe. Il “ritiro” dal progetto del ministro francese non ha scalfito, ovviamente l’ottusità dei politicanti italiani. Altre battaglie quindi aspettano questo movimento, che ha bisogno estremo di non sentirsi solo, di continuare a ricevere e dare solidarietà, il festival è stato anche questo, e le richieste degli organizzatori, dal palco, mandavano messaggi inequivocabili in tal senso.Felicità
Non è un caso che si chiamasse Festival dell’Alta Felicità. Vale la pena ripetere sempre che quello che sta accadendo in Valsusa non è la lotta della popolazione locale contro un opera inutile, dannosa e esosa. In Val di Susa si confrontano in modo paradigmatico due sistemi di valori antitetici. Da un lato uno stato mafioso che vuole piegare la volontà popolare e l’ambiente con ogni strumento coercitivo al fine di garantire profitti alle proprie clientele. Dall’altra una comunità che lotta, che si organizza, che si fa portatrice di un sistema di valori quali la solidarietà e la socialità, la tutela dell’ambiente, la difesa del senso più profondo del termine democrazia, la possibilità di vivere nel proprio territorio, e sopratutto la possibilità di viverci felici, difendendolo e curandolo.Ed è proprio per questo che lo stato non può permettere alla lotta No Tav di vincere, perché quel sistema di valori, rappresentato dal movimento, non è compatibile con il sistema economico sociale e politico in cui viviamo. Per tali ragioni non può “passare” la lezione che si può vincere, che un mondo diverso non è solo una possibilità, ma una utopia concreta e realizzabile. Probabilmente, nella visione repressiva di chi ci governa, il rischio di risvegliare dall’anestesia altre lotte e resistenze in tutta la penisola sarebbe ingestibile.
Concludo rubando le parole a Daniele Giglioli, che così ha recensito in modo sorprendente sul Corriere della Sera, il 30 ottobre, il libro di Wu Ming 1 dedicato alla lotta valsusina. Davanti alle sue righe non riesco ad aggiungere altro, se non che è evidente, fino alla fine, che “sarà dura”!
“Nessuno sa come andrà a finire. Ma quanto a capacità di mostrare cosa possa produrre un esercizio di cittadinanza attiva in termini di solidarietà, partecipazione e presa di parola, gli abitanti della val di Susa (e l’autore che gli presta le sue pagine) hanno già vinto. Quanto invece al dividersi, è evidente che si confrontano qui due idee di modernità: quella di chi dice decido io, e quella di chi ribatte no, decidiamo noi, noi tutti. Se qualcuno ha buoni argomenti a favore della prima, si alzi e ce li dica.”
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