mercoledì 16 marzo 2016

Stop alle trivelle, preferiamo l'oro blu all'oro nero.


Organizzazione internazionale no profit
Gli italiani potranno mandare un messaggio chiaro al governo: dire che il Mare Nostrum non è un giacimento di idrocarburi ma una ricchezza enorme, che porta un quantitativo di risorse e ricchezza al Paese assolutamente imparagonabile alla miseria delle fonti fossili che giacciono sotto i suoi fondali.
Più specificamente, si voterà per cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti temporali alla durata delle concessioni. Infatti, sebbene le società petrolifere non possano più ottenere nuovi permessi per estrarre in quella fascia di mare, le ricerche e le attività petrolifere già in corso - secondo una norma approvata lo scorso dicembre - non hanno più scadenza certa. Per mettere definitivamente al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere, nel tratto incluso tra la costa e le 12 miglia, si deve votare "Sì" al referendum. In questo modo le attività di estrazione andranno progressivamente a cessare, e nei prossimi anni le nostre acque sotto costa saranno libere dal giogo dei petrolieri.

Per questo referendum, di cui si sa ancora poco ma per il quale in molti si stanno battendo con passione, ognuno fa la sua parte: i Consigli regionali che lo hanno promosso, i comitati locali, le associazioni che hanno costituito un comitato nazionale a sostegno del "Sì" e molti cittadini che, nella loro cerchia sociale, cercano di spiegare, convincere, motivare le persone al voto.
La sua parte prova a farla anche Greenpeace, a modo suo. Per questo un team di 10 climber dell'associazione è entrato in azione su una delle più belle scogliere italiane, la "Montagna Spaccata", nei pressi di Gaeta: per richiamare l'attenzione sul referendum sulle trivelle del prossimo 17 aprile. I climber di Greenpeace hanno aperto due enormi striscioni, per un totale di circa 250 metri quadrati, dove si poteva leggere: "Stop trivelle, il 17 aprile vota sì". Intanto, un altro team stendeva sulle acque antistanti la scogliera un secondo striscione che ribadiva anche dal mare il messaggio "Stop trivelle".


Crediamo che sul referendum si stia facendo troppa poca informazione. E visti i tempi ridottissimi della campagna referendaria - imposti dal governo per scongiurare il quorum - si rischia di arrivare alla data del voto con una buona parte dell'opinione pubblica poco o per nulla informata. Il governo, peraltro, non ha voluto emanare un decreto per accorpare il referendum con la tornata di elezioni amministrative prevista a giugno, aumentando i costi e riducendo la possibilità di partecipare. Consideriamo questa strategia di strisciante sabotaggio del voto referendario un atteggiamento lesivo della democrazia. Per questo facciamo appello a tutte le personalità, le organizzazioni e i singoli cittadini che hanno a cuore il libero confronto e la sovranità popolare affinché si mobilitino, per fare informazione e coinvolgere gli italiani in una consultazione della massima importanza.

Ci stiamo battendo per spiegare che il referendum sulle trivelle del prossimo 17 aprile è un appuntamento che riguarda il nostro Paese nella sua interezza. Votare Sì significherà chiarire al governo che non vogliamo le trivelle nei nostri mari, che preferiamo l'oro blu all'oro nero, che il turismo, la pesca sostenibile e la qualità dei paesaggi valgono molto più dei pochissimi barili di greggio o delle misere riserve di gas che potremmo estrarre dai nostri fondali.

Greenpeace ritiene che il voto dei cittadini possa fermare la miope strategia energetica del governo, basata sulle vecchie e inquinanti fonti fossili, e incoerente con gli impegni per ridurre le emissioni di gas serra assunti dall'Italia nell'ultimo vertice sul clima di Parigi. Una strategia che non accresce l'indipendenza energetica del Paese, non crea nuova occupazione (se non in quantità irrisoria) e non porta soldi nelle casse pubbliche, visto che i petrolieri in Italia pagano le royalties più basse al mondo. Serve solo a mantenere l'Italia nell'era delle fonti fossili, causa principale dei cambiamenti climatici e di sanguinosi conflitti che continuano a ripetersi, oltre che a rappresentare un rischio per il mare e per alcuni dei più preziosi patrimoni paesaggistici del Paese.

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