mercoledì 23 marzo 2016

Profughi e Migranti. Il patto Ue-Turchia è ignobile e inapplicabile.


La Grecia ha già chiesto di posticiparne la partenza effettiva. Per rendere operativo il meccanismo ipotizzato nell'accordo, siglato venerdì 18 marzo ed effettivo da domenica notte, saranno necessarie almeno 4.000 persone tra giudici, interpreti, esperti nelle gestione delle domande di asilo, circa 1.000 poliziotti, oltre ad una logistica che prevede 8 navi da 400 posti e almeno 28 autobus.
Nel frattempo gli sbarchi durante il fine settimana sono continuati ad un ritmo se possibile ancor più intenso del solito. Lo stesso governo greco attraverso la portavoce del Governo, Olga Yerovasili, non dà per scontata la ratifica dell'accordo da parte del parlamento di Atene. È difficile anche praticamente realizzare la sostanza di quanto deciso, che di fatto segna la rinuncia dell'Europa alla gestione del problema profughi, prefigurando una esternalizzazione per conto terzi della crisi umanitaria subappaltata di fatto alla Turchia.

Subappalto quanto mai incerto e pericoloso perché non regge in uno dei suoi presupposti legali: il riconoscimento della Turchia come "paese terzo sicuro" e come "paese di primo asilo". In entrambi i casi queste definizioni non possono essere applicate a un paese che mantiene la "riserva geografica" all'applicazione della Convenzione di Ginevra, escludendo siriani, iracheni e afghani dal riconoscimento dello status di rifugiato, e che non rispetta le condizioni previste dalla Direttiva Ue 32/2013 che definiscono il concetto di paese terzo sicuro.
Quindi, nonostante il tentativo di correggere la più evidente violazione palese del diritto di asilo ipotizzata in precedenza, garantendo l'esame individuale di ogni singola domanda, gli ostacoli di carattere legale e pratico permangono e non è dato sapere se e come verranno superati. Difficile non parlare di respingimenti (se non di massa certamente improntati alla selettività discriminatoria) in un quadro che non garantisce né le strutture né le regole del diritto alla protezione internazionale. D'altra parte, l'accordo prevede esplicitamente il rimpatrio di "migranti illegali" siriani: come se fosse possibile non riconoscere a chi fugge dalla Siria una qualche forma di protezione internazionale.
Un altro aspetto inaccettabile dell'accordo riguarda poi l'effettivo reinsediamento di tutti quelli che verranno indirizzati secondo il meccanismo "uno per uno", già di per sé insensato: un rifugiato verso la Turchia e uno verso l'Europa. Le cifre sbandierate dall'Europa (72.000 posti per i siriani che saranno reinsediati dalla Turchia) non rappresentano un nuovo impegno per gli Stati membri, ma sono conteggiate nell'ambito degli impegni già presi dall'Europa in merito di resettlement (22.500 posti decisi a luglio 2015) e relocation (160.000 decisi a settembre 2015), che stanno andando praticamente deserti, visto che fino ad ora solo 4.500 persone sono state reinsediate e nemmeno mille sono state ricollocate. Considerando poi che il meccanismo sarà ancora una volta su base volontaria, è lecito chiedersi cosa aspetta le centinaia di migliaia di persone che sfuggono da guerre e persecuzioni.
Serve un sussulto di dignità politica da parte dei governi più lungimiranti e consapevoli; da parte del Parlamento europeo che non più tardi di alcuni giorni fa si è pronunciato con un rapporto sull'immigrazione che propone approcci radicalmente diversi da questo accordo, basati sulla solidarietà e su una visione di interessi comuni nell'area mediterranea.
Prima che quello che temiamo accada, il governo italiano, che ne avrebbe la legittimità per quanto fatto con Mare Nostrum, potrebbe prendere una iniziativa. Come di grande significato, pratico e simbolico, sarebbe la realizzazione di un accordo bilaterale con la Grecia che garantisca la creazione di un canale umanitario attraverso l'Adriatico per i profughi che si trovano in quel paese. Garantendo loro un passaggio sicuro attraverso l'Adriatico e un visto umanitario temporaneo. Evitando così che anche questa via obbligata si trasformi in una rotta di morte.

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